Una
nobile follia
Non è lontano il giorno in cui la condanna morale che pesa su questa
istituzione avrà trionfato degli ultimi pregiudizi che la sostengono. Protagonista del romanzo, pubblicato tra il 1866 e il 1867, è Vincenzo
D., un soldato mandato a combattere
in Crimea, nella sanguinosa battaglia della Cernaia, famosa perché il 16 agosto del
1855 i piemontesi sconfissero i russi, che, alla vista degli orrori della
guerra, cadaveri e uomini martoriati, matura una profonda avversione per la
guerra e per la violenza. Dopo aver ucciso, per legittima
difesa, un soldato nemico, quasi impazzisce, e diserta il campo di battaglia;
colpevole per la società, non lo lo è per se stesso, dal momento che, rifiutando
la guerra, riconquista la sua integrità morale, battendosi, da allora in poi,
contro il militarismo. Nucleo fondamentale del romanzo,
precursore della moderna letteratura antimilitaristica, che molti dissensi
suscitò in ambito militare (a molti soldati nelle caserme fu chiesto di bruciare
il libro di Tarchetti) è la polemica contro
l’istituzione militare e la guerra in generale. Il tema, drammaticamente
attuale ai tempi del Tarchetti, che si trovò a vivere gli anni cruciali del
Risorgimento, non si pone solo come discorso contro l’uomo che elimina
l’uomo, ma è analisi lucida contro l’atto di uccidere e la follia militare alla quale si può
opporre solo il rifiuto del singolo, appunto la “nobile follia”. Lunghe pagine sono dedicate alla
coscrizione obbligatoria che
strappa gli uomini alla libertà , alla vita di caserma, alla disciplina imposta,
all’addestramento dei soldati, ai rapporti gerarchici. Ed è
proprio nella descrizione della vita
nelle caserme che
più viva si sente l’esperienza
vissuta dall’autore nel
commissariato militare, tuttavia le idee espresse non sono solo considerazioni
personali, bensì riflettono l’atteggiamento antimilitaristico ben presente
nella cultura europea del secondo Ottocento.
Francesca Santucci
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