Il giorno 8, alle ore 20, nella mensa del
Presidio di Lubiana, ascolto per radio il
proclama di Badoglio annunciante
l'armistizio. Quale ufficiale di passaggio,
io, secondo ordini superiori mi rifugio
presso il Comando Tappa, nei pressi della
stazione. Il 9 primi contatti con i
tedeschi, disarmo e partenza, insieme a
molti altri ufficiali, per S. Vito, località
nei pressi di Lubiana, adibita a centro di
smistamento dei prigionieri italiani. Qui
riceviamo le prime proposte di arruolamento
nell’esercito tedesco. Alcuni ufficiali
della Milizia aderiscono. L’11 partiamo per
la Germania, 52 ogni carro. Il viaggio dura
4 giorni, 11, 12, 13 e 14. Prima di partire
scrivo in fretta una cartolina ai miei, e la
consegno ad una donna slovena. Durante il
viaggio non riceviamo viveri dai tedeschi:
fortunatamente quasi tutti avevamo gallette
e scatolette prese nei magazzini di Lubiana.
[1],
sull’Oder, 60 km ad est di Berlino.
Provvisoriamente siamo sistemati alla meglio
nella platea del teatro comunale. Il 15 i
tedeschi, per la prima volta, ci fanno
assaggiare la loro minestra e il loro pane:
porcherie inqualificabili. Ben presto però
mi abituo a questo nuovo regime alimentare
e, orribile a dirsi, dopo qualche settimana
di dieta, comincio a gustare questi nuovi
prodotti dell’arte culinaria, a me prima
sconosciuti.
Il primo giorno non ho potuto prendere la
minestra per mancanza di stoviglie: ne
richiedo al Comando tedesco. Una lattina
metallica, di quelle dove si usa conservare
grassi ed olii pesanti, un cucchiaio di
ferro arrugginito, e la mia richiesta è
esaudita.
Bisogna adattarsi, penso. Vado nel locale
adibito al lavatoio e per circa due ore
strofino con uno straccio e con terra la
lattina e il cucchiaio tentando invano di
ridar loro una parvenza di lucentezza. Il 16
finiscono le sigarette, nuova sofferenza,
prima non conosciuta. Il 18 i tedeschi
portano una radio nel nostro dormitorio, e
così la sera possiamo ascoltare il discorso
pronunciato da Mussolini subito dopo la
liberazione. Come è cambiato il tono della
sua voce: niente più spavalderia e
sicurezza; sembra la voce di un uomo stanco,
sfinito, vinto. Restammo insensibili,
contrariamente alle previsioni dei nostri
carcerieri. Domenica 19: un cappellano, che
si trova con noi, ottiene di poter celebrare
la S. Messa, e per questo siamo condotti in
un vicino campo, dove ci incontriamo con
migliaia e migliaia di nostri soldati. Il
giorno dopo torniamo in questo campo: ci
fanno la fotografia e ci assegnano il numero
(305573).
Il 22 torniamo di nuovo al campo: c’è
l’adunata di tutti gli italiani che si
trovano in quella regione. Motivo: arrivo di
un rappresentante della nuova Repubblica
sociale fascista. Nuovo invito di
arruolamento, questa volta nelle S. S.
Rifiuto quasi unanime sia da parte degli
ufficiali che da parte dei soldati. La sera
dello stesso giorno noi ufficiali partiamo
per una nuova destinazione.
22 – 23 – 24 – 25 – 26 – 27 – 28 settembre.
Viaggio disastroso fra sofferenze atroci:
fame, sete, sonno, stanchezza. Per mancanza
di spazio bisogna restare o in piedi o
seduti per terra con le ginocchia piegate
contro lo stomaco. Essendo la linea ingombra
per i numerosi convogli trasportanti
materiali e soldati tedeschi al fronte
russo, restiamo due giorni fermi in mezzo
alla campagna polacca, a metà strada tra
Cracovia e Leopoli, chiusi entro i vagoni,
senza viveri ed abbandonati dalle sentinelle
che si sono rifugiate in un vicino paese.
Alcune famiglie di contadini polacchi, con i
quali abbiamo parlato attraverso il
finestrino dei vagoni, ci portano pane,
marmellata, patate lesse, latte ed altra
roba. Le sentinelle, tornate d’improvviso,
sfogano la loro collera picchiandoli col
calcio dei fucili. Il 28 finalmente
arriviamo a destinazione, a Przemysl[2],
nella Galizia polacca. Nel campo situato a
qualche chilometro dal paese, vi sono circa
200 olandesi, che il giorno dopo vengono
trasferiti. Il 29 e il 30 alcuni ufficiali
superiori, di loro iniziativa, assumono il
comando del campo, ci organizzano per gruppi
e ci distribuiscono nelle varie baracche.
Ottobre
L’1 e il 2 arrivano altri ufficiali, un
migliaio circa, Fra questi trovo Giulio
Mosca, e il nostro Severini. In totale siamo
circa 2200. Il 3 un cappellano celebra la
prima messa al campo. La razione viveri è
leggermente diminuita rispetto a Fürstenberg.
Invece di una le minestre sono due,
inferiori per quantità e qualità. Io le
divoro in un attimo, talvolta senza
adoperare il cucchiaio, a differenza di
molti altri che ne assaggiano un po’ ogni
tanto, quasi per avere più a lungo
l’illusione di mangiare qualcosa. Quanta
fame. Al mattino mi sveglio, mi alzo sul
letto, mi si annebbia la vista, mi gira la
testa; passato questo primo attimo di
stordimento, avverto dei crampi allo
stomaco. Mi dicono che sono i muscoli
indolenziti dal forzato riposo. E sono
appena le 9,30; ancora due ore per l’arrivo
della prima minestra con un tozzo di pane
nero. Alcuni, avuto il pane, lo dividono
accuratamente in due parti, ne mangiano una
con la prima minestra, e conservano l’altra
per la sera: io non ci sono ancora riuscito.
Il giorno 4 altro invito di arruolamento,
questa volta nell’Esercito repubblicano,
agli ordini del Duce: rifiuto quasi
collettivo. Il giorno 5 apprendiamo che gli
inglesi sono sbarcati a Termoli: cosa starà
succedendo a Loreto? Il giorno 12 si sparge
la notizia che i tedeschi hanno chiesto una
tregua d’armi ai russi. Che sia la fine? Il
giorno 14 la notizia viene smentita. Ho
scritto oggi prima lettera a casa con gli
appositi moduli datici dai tedeschi. Il 15
il tempo cambia improvvisamente: freddo
intenso con fortissimo vento. Dopo 6 o 7
giorni torna finalmente il bel tempo. Il 24
ci distribuiscono il primo tagliando per
pacco. Il 28 il tempo cambia nuovamente. Gli
ufficiali superiori partono per un altro
campo ed il 31 arrivano altri 350 ufficiali
inferiori. Vengo a sapere che nel campo di
provenienza di questi vivono molti ufficiali
catturati a La Spezia. E Zopito[3]?
Novembre
Il colonnello De Micheli, per fortuna non è
partito, è rimasto quale comandante italiano
del campo. Il giorno 3 arrivano le prime
lettere dall’Italia settentrionale.
Il 4 il colonnello Carloni, ex-comandante il
6° Regg. Bersaglieri, ed ora repubblicano,
viene nel nostro campo a scopo
propagandistico: raccoglie circa 130
adesioni su 2200. Ha pronunciato un lungo
discorso, facendoci restare per un paio
d’ore sotto una bufera d’acqua e neve e
vento freddissimo. Il giorno s’incendia una
baracca: noi giovani accorriamo subito e
riusciamo, dopo parecchie ore, a spegnere il
fuoco: la baracca però è andata distrutta.
Il capitano tedesco, come premio per il
nostro buon comportamento, ci regala 2 ql.
di patate. Se ne incendiasse una al giorno
di baracche, mormora qualcuno. Le altre
giornate, invece, trascorrono lente e
monotone; il freddo aumenta. Il 18 i
tedeschi distribuiscono 75 sigarette a
testa. Con 50 ci compro una maglietta a
mezze maniche e un paio di calze; le altre
invece le fumo un po’ per volta. Quando mi
finiscono cedo la mia penna stilografica ad
un operaio polacco, in cambio di tabacco e
di un po’ di pane.
Dicembre
Il giorno 8 il col. De Micheli fa celebrare
il giuramento al Re degli ufficiali di 1a
nomina che non avevano ancora giurato. Il
cap. tedesco viene informato da una spia
italiana e fa trasferire il col. De Micheli
in un campo di detenuti politici. La razione
di viveri viene di nuovo diminuita. Spinto
dalla fame, e desiderosa di fare qualche
provvista per le prossime feste natalizie,
mi decido a vendere il mio cronometro ai
polacchi. Tabacco, pane, marmellata, burro e
zucchero. Tutto sparisce in pochi giorni, ad
eccezione del tabacco che mi dura per
qualche mese. Per Natale, insieme ad un
siciliano, ho preparato alcuni dolci, a base
di pane nero, zucchero, margarina e
marmellata. Il giorno di Natale ha nevicato
abbondantemente ed ha continuato, senza
interruzione, sino alla fine dell’anno. Il
27 riceviamo una visita del comm. Vaccaro,
repubblicano. Ci porta come dono natalizio
da parte della Repubblica sigarette “tre
stelle”, e una domanda di arruolamento
nell’esercito repubblicano. Abbiamo
accettato tutti le sigarette: pochi la
domanda di volontariato.
Gennaio 1944
I Russi avanzano verso la nostra regione.
Qualcuno spera che arrivino presto per
liberarci. Invece il giorno 3 il cap.
tedesco ci fa comunicare che presto il campo
si sarebbe sciolto, e noi saremmo partiti
per altra destinazione. Arrivano molti
pacchi ai colleghi dell’Italia
settentrionale. A me niente; almeno
ricevessi notizie da casa.
Il giorno 9 partiamo. C’è tanta neve. Sono
le 8 del mattino. Le pareti e il tetto del
vagone sono ricoperti da un sottile strato
di ghiaccio. Siamo in 45 ogni carro. Ben
presto l’ambiente si riscalda e il ghiaccio
comincia a sgocciolarci sopra. Il pavimento
in legno si inzuppa di acqua ma noi dobbiamo
sdraiarvici sopra se vogliamo riposare un
po’. I miei compagni di viaggio sono molto
collerici: Quattro mesi di sofferenze hanno
scosso il sistema nervoso di tutti. Presto
s’iniziano discussioni: “il tale occupa più
spazio dell’altro”. Le discussioni finiscono
sempre in odiosi litigi resi ancora più
insopportabili dalla ristrettezza
dell’ambiente. Quattro lunghi giorni dura
questo inferno. Arriviamo la sera del 16.
Sono sfinito. Leggiamo, nella facciata della
stazione, il nome della località, è
Hammerstein[4],
Prussia orientale.
Il campo dista 4 km; iniziamo la marcia
trascinandoci dietro i bagagli. È quasi
notte quando facciamo il nostro ingresso
nella nuova prigione. Per mancanza di tempo
i tedeschi decidono di rinserrarci tutti
(siamo in 800) in un solo baraccone,
mancante di porte e di vetri. Io entro fra i
primi, preoccupandomi di trovare un
angoletto dove potermi stendere. Illusione.
In piedi tutta la notte dobbiamo restare,
stretti e pigiati l’uno contro l’altro. Ben
presto un capitano piuttosto anziano, poggia
la sua testa sulla mia spalla: “Tu sei
giovane, hai più forza di me” mi dice. A
tratti s’addormenta appoggiandosi con tutto
il corpo sopra di me. Al mattino apprendo
che molti hanno passato la notte fuori. Alle
ore 8 iniziano la disinfestazione:
terminiamo alle 3 del pomeriggio. Poi
finalmente ci danno una minestrina dove
dovrebbe essere dell’orzo. In ultimo ci
assegnano nelle varie baracche: ci stendiamo
a terra e dormiamo sino al giorno dopo. Sino
ad oggi, è stata questa la settimana più
dura. Il carattere delle nuove sentinelle,
autentici prussiani, è tutt’altro che
raccomandabile. Fucilate, calci pugni;
persino i cani ci scagliano contro. Il 18,
il 19 e il 20 siamo occupati per sistemarci
il meglio possibile, nelle nuove baracche.
Apprendiamo presto che ci troviamo in un
campo di punizione per prigionieri russi, e
i russi ci sono ancora, per lo più tisici o
affetti da tifo petecchiale. Gli ultimi
giorni di questo mese li trascorro sdraiato
continuamente nella mia cuccetta. Risento
degli sforzi fatti in questi ultimi giorni:
le forze cominciano a mancarmi, e deprimo
paurosamente.
Febbraio 1944
Il giorno 2, alle sei del mattino, siamo
destati da un furioso latrar di cani, e da
imperiosi comandi di sentinelle tedesche –
adunata generale. Non abbiamo il tempo per
vestirci, e per ripararci dal freddo, ci
buttiamo addosso chi una coperta, chi un
cappotto. Crediamo di dover restare fuori
per poco tempo ed invece siamo rientrati in
baracca dopo 9 10 ore. Durante questo tempo
siamo rimasti tutti in un vasto campo
all’aperto, digiuni, deboli, esposti, con
pochi indumenti addosso, al freddo, al
vento, all’acqua, alla neve, in attesa che i
tedeschi terminassero una accurata
perquisizione alla baracca per ritrovare una
radio clandestina che invece non sono
riusciti a trovare. Io, Occioni e Pirovine,
stretti l’uno contro l’altro, a braccetto,
cominciamo a passeggiare furiosamente per
vincere il freddo, ma dobbiamo smettere ben
presto per mancanza di forze. Ci sdraiamo a
terra, rassegnati, in attesa della fine.
Vediamo così un vecchio stramazzare a terra
privo di forze; alcuni soldati lo raccolgono
e lo conducono all’infermeria. Prima che la
perquisizione finisca altri 9 o 10 hanno la
stessa sorte. Noi osserviamo tutto e non
possiamo reagire, per non aggravare le
nostre sofferenze: sappiamo quello che i
tedeschi riservano a chi osa rivoltarsi ai
loro ordini. Per la metà di febbraio
cominciano ad arrivare i primi pacchi.
Marcello mi offre di spedire i miei
tagliandi a casa sua, naturalmente dividendo
a metà il contenuto dei pacchi che
arriverebbero al mio indirizzo: accetto.
Alla fine del mese Marcello riceve il suo
primo pacco. Lo consumiamo in due giorni. I
tedeschi ci distribuiscono un po’ di
sigarette fatto con uno pseudotabacco di
marca russa.
Marzo 1944
Fa molto freddo. Il vento non accenna a
diminuire. Le pareti e il pavimento della
nostra cameretta sono bagnate. Io dormo a
pianoterra di un castello a 3 posti. Le
poche assicelle di legno che costituiscono
il mio giaciglio sono a 20 cm dal pavimento
e, a causa dell’umidità, sulla faccia
inferiore del mio pagliericcio s’è formata
una incrostazione di muffa. Il giorno 7, S.
Tommaso, rape, acqua, pane nero, sale e un
cucchiaio di marmellata. Sono estremamente
debole. Alla sera annunciano a Marcello
l’arrivo del suo secondo pacco. Pianto di
gioia. Quando tutto è finito ci accorgiamo
che di pacchi ce ne vorrebbero uno ciascuno
ogni settimana, per poter tirare avanti
discretamente. Per non consumare inutilmente
energie, me ne sto sempre sdraiato sul
letto. Leggo quando posso, e quando mi
mancano i libri, lavoro con un temperino due
pezzi di legno, cercando di ricavarne un
paio di zoccoli.
Aprile 1944
Solita vita. Il tempo non accenna a
rimettersi. Il 9, Pasqua, minestra di
piselli e patate a mezzogiorno, la sera pane
nero, margarina e sale. Verso la metà del
mese i tedeschi ci fanno una visita di
controllo, con relative analisi del sangue,
forse per constatare il nostro grado di
deperimento. In seguito a queste visite la
sera del 29 sono ricoverato in infermeria,
insieme ad altri 12 ufficiali, quasi tutti
della mia stessa età. 30 aprile. Primo
giorno trascorso in infermeria. Leggero
miglioramento vitto, almeno
quantitativamente.
Maggio 1944
1 Maggio. Compleanno di Marcello. Secondo
giorno di permanenza in infermeria. Siamo in
14. Un caporalmaggiore infermiere, un pazzo
paranoico, ed altri undici ricoverati come
me, per estremo deperimento. La nostra
cameretta è fornita di 13 castelli in legno,
in buono stato. Manca la stufa, di cui
avevamo molto bisogno. Non ho altro addosso
che una maglietta a mezze maniche e una
camicia tutta stracciata. Il tempo continua
ad essere rigidissimo. Spira un forte vento
e l’aria è satura di umidità. In complesso
l’ambiente è tutt’altro che adatto per
costituire un luogo di cura per malati come
noi. Il vitto peraltro è sempre
insufficiente e di scarso valore nutritivo e
il deperimento invece di scomparire aumenta
progressivamente. I nostri medici non sono
ancora venuti a trovarci. La loro noncuranza
è certamente delittuosa. Unica persona
simpatica ed affettuosa è Don Mario, giovane
cappellano, che tutte le sere viene a
recitare il Rosario, s’intrattiene
volentieri con noi. Solo Iddio può aiutarci.
I tedeschi ci maltrattano, e, fra gli
italiani, chi può ci trascura.
2 - 3 - 4 – 5 maggio. Forte bufera di
pioggia e vento freddissimo di giorno, di
notte, continuamente tremo per il freddo.
Chi sa quando tornerà un po’ di sole. Ho un
forte raffreddore, con tosse e mal di gola.
Invece di migliorare sto peggiorando.
6 - 7 – 8 Mi arriva un pacco da Venezia, e
ne divido con Marcello. Qualche gallettina,
un po’ di latte in polvere e un barattolo di
condimento: poca roba, ma meglio che niente.
L’8 scrivo una lettera alla signora Tonini
Adelia. Il tempo non accenna a migliorare.
Nelle brande vicine sono arrivati dei
prigionieri russi affetti da tifo
petecchiale. Vi sono anche due donne.
10 – 14) Visita di un capitano medico
tedesco. Probabilmente saremo ricoverati
all’Ospedale francese. Sarebbe una fortuna.
Si dice infatti che lì c’è da mangiare e da
fumare. E poi si sarebbe lontano dai russi
affetti da tifo e tubercolosi. I capannoni
sono in muratura, puliti, con lavatoi e
gabinetti interni. L’altra sera la
sentinella tedesca ha ammazzato un russo
che, scavalcando il reticolato, era passato
nella nostra infermeria, non si sa con quali
intenzioni.
L’11 il tempo s’è rimesso; il 12 abbiamo
finalmente rivisto il sole per un po’ di
tempo. Ieri, 13, il cielo s’è oscurato di
nuovo, ed oggi piove abbondantemente. Il
freddo però è diminuito. Da diversi giorni,
grazie a un fortunato contratto con un
infermiere, mangio razione doppia di
minestra e pane tedesco. Mi si sta gonfiando
la pancia. Sembra che il resto del corpo non
risenti di questo aumento di alimentazione,
perché la carne, i muscoli non accennano a
tornarmi. Ci vorrebbero spaghetti,
bistecche, uova, ecc… Mi viene in mente
talvolta tutto quello che mamma e Italia
volevano forzarmi a mangiare e che io
stupidamente rifiutavo. Quando ritornerò
però non rifiuterò mai niente. Quante
sofferenze all’arrivo dei pacchi dei
colleghi, per la vista di un po’ di
marmellata, di un pezzo di cioccolata, di
qualche gallettina. E la carne, da quanto
tempo non ne mangio. Ieri Giulio mi disse
che Torelli, la cui famiglia era sfollata a
Loreto, aveva ricevuto una cartolina, dove
gli comunicavano che Pescara era quasi
completamente distrutta, ma che a Loreto si
stava ancora benino. Se ricevessi anch’io
qualche notizia dai miei, sarebbe una vera
grazia di Dio: il sapere che essi mi sanno
vivo, e il saperli tutti in vita. Oggi ho
scritto una cartolina a Vera, nella speranza
che almeno lei sappia darmi qualche notizia
di Antonio.
15) Sono arrivati 1200 pacchi: stasera vi
sarà un primo elenco di 200 nomi: speriamo
bene. Giorni fa hanno isolato Parasani (il
pazzo): è stato per noi un vero sollievo,
perché la cameretta cominciava ad avere un
certo odore di fogna. Di nuovo vento freddo
dal Nord: siamo in maggio e il tempo non
vuol rimettersi.
16 – 31) Hanno letto tre liste: niente per
me e Marcello. È morto un soldato affetto di
tifo petecchiale. Abbiamo ripetuto il bagno
e la disinfestazione alla biancheria e alle
baracche. Il 22 è arrivato un mio pacco con
riso e pasta. Giulio ha avuto un po’ di
febbre malarica. Il tempo è sempre brutto:
vento, pioggia, freddo. Soltanto il 24 il
cielo si è un po’ aperto; il vento è
diminuito e quindi anche il freddo.
Giugno 1944
Il 2 siamo andati all’Ospedale francese per
una visita di controllo. Bernava, Salvestri
e Bigatti, rimessi completamente, sono stati
dimessi dall’infermeria. Ho scritto una
lettera a Zaccaria (Ravenna), Il 5 sappiamo
che gli alleati sono entrati a Roma. Il 6
che gli inglesi sono sbarcati sulle coste
bretoni: lancio di paracadutisti a Ville
(?); attacco in forze delle truppe russe
contro Varsavia; Spalato conquistata dalle
truppe di Tito; Viterbo e Rieti occupate.
Alle ore 19,30 (6 del 6) Giulio mi fa
chiamare e mi annuncia che ha visto al
Comando una mia cartolina proveniente da
Loreto. Incurante del pericolo che correvo
uscendo dall’infermeria, dopo aver accennato
alla guardia tedesca che avevo bisogno di
andare al blocco, mi precipito alla baracca
comando. Mi si dice che la posta è già stata
smistata. Vado alla baracca dove sono
alloggiato prima e finalmente riesco ad
avere fra le mani la cartolina. È in data 14
– 3, scritta in risposta ad una mia da
Przemysl: è firmata da tutti: buone notizie.
L’8 arriva un mio pacco. Continua l’avanzata
degli alleati in Italia: Civitavecchia e
Bracciano (?) occupate. Sulla costa francese
continua lo sbarco con accaniti
combattimenti. Sarà la fine? Il giorno 7 è
venuto un sergente tedesco ad ispezionare
l’infermeria. Il dottor Fanelli, che già da
tempo covava desideri di vendetta contro la
nostra cameretta che non voleva mai
accettare i suoi soprusi, la sera ci priva
arbitrariamente del tozzo di pane che i
tedeschi ci avevano mandato; secondo lui il
sergente tedesco non era rimasto sodisfatto
della cameretta. E pensare che avrebbe
dovuto preoccuparsi della nostra salute
vacillante appunto a causa del poco
nutrimento. Abbiamo riferito l’accaduto al
cap. Capelli[5],
comandante del campo, il quale non ha
esitato a definirlo “il gesto più inumano
compiuto da un italiano ai danni di
connazionali ammalatisi in seguito al grave
deperimento organico”. Le notizie militari
riguardanti il fronte d’invasione e quello
italiano sono buone. I bollettini non
parlano del fronte adriatico, ma tutti
credono che in quella zona i tedeschi si
sono ritirati senza combattere. Il giorno 27
devo mettermi a letto a causa di un doloroso
accesso alla guancia destra.
Luglio 1944
Il 2 luglio, giorno della Madonna delle
Grazie, ho sofferto fino a piangere. Sono
dovuto andare al laboratorio dentistico,
dove un medico chirurgo, per più di un’ora,
mi ha visitato, facendomi anche delle
punture di esplorazione per vedere se era il
caso di incidere l’accesso. Tornato dal
laboratorio, Mosca viene a trovarmi: ha
ricevuto due lettere, nelle quali gli
parlano dei bombardamenti di Loreto del 13 e
14 gennaio: fra l’altro molte case colpite
anche a San Nicola: e la mia casa? È stata
una delle giornate più brutte, peggiore
anche di quelle di gennaio, febbraio e
marzo, quando le sofferenze della fame me ne
facevano dimenticare tante altre. Quando
finirà questa maledetta prigionia? Il giorno
4, dopo quasi una settimana di impacchi
caldissimi, l’accesso finalmente comincia a
migliorare. Il 5 scompare completamente.
Ricomincio la solita vita, monotona e
noiosa. Io e Piombini giochiamo spesso a
“Bridge” con Don Mario e padre Roger e
riusciamo quasi sempre a vincere una
sigaretta ciascuno agli sfortunati
cappellani. Il 15 io e Marcello abbiamo
fatto un buon pranzetto: pasta all’uovo con
salsa di pomodoro. Il 17 il dottor Fanelli
viene sostituito, con nostra grande gioia,
dal capitano medico Antinozzi. Non lo
conosco: dicono sia un brava persona.
Speriamo che non si guasti. Il 24 Piombini,
Franzi e Ventura sono usciti
dall’infermeria. Sono rimasto solo e mi
annoio mortalmente. Le riserve dei pacchi
sono esaurite; le minestre sempre più
liquide e condite male, anzi non condite
affatto, di un gusto infernale. Avevamo
iniziato con Piombini, che conosceva un po’
il tedesco, un fruttuoso commercio con le
sentinelle; pane contro sigarette. Ora tutto
è finito. Il 20 abbiamo saputo
dell’attentato contro Hitler le notizie
politiche e militari di tutti i fonti sono
soddisfacenti e fanno sperare in una fine
non molto lontana. È arrivato da Stettino il
cap. Ghionda (fiduciario degli aderenti al
lavoro) il quale ci ha riferito che gli
ufficiali che si trovano alla scuola sono
trattati abbastanza bene sotto ogni punto di
vista. Nuove richieste di lavoro per una
fabbrica di areoplani. Nessuna adesione.
Agosto 1944
Le notizie politiche e militari circolanti
per il campo sono buone e fanno sperare in
una prossima fine della guerra. Molte di
esse certamente sono senza fondamento,
create soltanto dalla fantasia di qualche
ottimista. Le principali sono: morte di
Hitler in seguito a ferite; uccisione di
Mussolini; importanti città francesi
occupate dai patrioti; dissidio, in
Germania, tra partito ed esercito; divisioni
tedesche accerchiate, altre arresesi al
nemico; costituzione a Mosca di un nuovo
governo tedesco e a Londra di un governo
austriaco; ed altre di minore importanza. Il
31 luglio, compleanno di Piombini, abbiamo
fatto una buona cenetta; io, Piombini,
Franzi, Marcello e Renza. Minestra di riso e
fagioli, gallette con marmellata, cioccolata
e, in ultimo, una zuppa di biscotti in caffè
dolcissimo e concentratissimo procurato da
Renza in cucina: dopo la cena una sigaretta
nazionale a testa.
Il due sono andato all’ospedale francese per
una visita di controllo. Nessun
miglioramento sensibile, purtroppo. Il 5 o
il 6 è arrivato un vagone carico di
gallette, inviate dal governo repubblicano.
La spettanza per ognuno è di kg 3, ossia 15
gallette di cui sei ammuffite. Il Comando
tedesco ci ha fatto distribuire per 4 giorni
pane ammuffito. In questo modo ho
brillantemente collaudato il mio stomaco
contro la muffa. Le diarree, i dolori di
stomaco, le dissenterie, ecc. …. in questi
giorni superano di molto la percentuale
ordinaria. Anche io, il 14, sono rimasto un
paio di giorni a letto con vitto speciale:
minestrina di acqua calda e limpida senza la
più piccola macchiolina di grano. Il tempo è
cambiato improvvisamente. Una forte ondata
di freddo ha costretto a riprendere gli
indumenti invernali a chi ne possedeva. Io
ho sofferto molto, specialmente la notte dal
14 al 15, quando sono stato costretto ad
alzarmi 4 o 5 volte per raggiungere la fossa
adibita a gabinetto.
19 agosto: mio compleanno. Caffè amaro ed
affatto gustoso. Alle 8 visita di Bruno per
gli auguri. Alle 9 è la volta di Marcello e
Renza, con i quali ho giocato qualche
partita a scacchi. Alle 11 arriva la
minestra “farina” ci gridano i portatori, In
verità si tratta di una poltiglia di colore
scuro, che i tedeschi chiamano farina, e due
o tre patate marce che hanno un gusto
ributtante. Ho mangiato tra le patate le
meno guaste, rinunciando al resto. Poi mi
sono sdraiato un po’ sul letto. Nel
pomeriggio sono andato al blocco a trovare
gli amici. Aspettiamo l’arrivo della spesa;
nell’attesa abbiamo preparato un tavolo con
delle panche dietro la baracca. Alle 18,30
cominciamo a cenare. Oltre la razione
tedesca qualche gallettina conservata
gelosamente per l’occasione e un barattolo
di latte condensato; caffè dolce proveniente
dalla cucina e riservato ai cucinieri. Dopo
aver discusso un po’ ce ne torniamo nelle
nostre baracche per dormire. Il 21 sono
arrivati circa 300 pacchi. Bruno e Renza
sono tra i fortunati. Il 2 disinfestazione
generale. Il 1° blocco deve ripeterla perché
alcuni ufficiali non si sono presentati. È
arrivato un vagone di zucchero e marmellata,
inviato dalla Croce Rossa Italiana. Per noi
ricoverati in infermeria la razione è più
abbondante. La sera del 27 il dottore mi
annuncia che sono in uscita; mia immensa
gioia. Al blocco sono stato assegnato alla 2a
cameretta della 6a baracca del
III blocco. Marcello viene subito a
stabilirsi con me. Le notizie militari sono
sempre migliori e speriamo tutti in una
prossima fine.
Settembre 1944
La notte dal 5 al 6 sono stato costretto ad
alzarmi più volte per forti dolori
intestinali. Ho preso molto freddo e la
mattina resto a letto con la febbre a 41°.
Il medico mi porta sei solfamidici da
prendere durante i pasti, o meglio durante i
digiuni. Il febbrone dura tutto il giorno:
alla sera mi sento un po’ meglio e la notte
riposo abbastanza bene. Il giorno dopo tutto
è passato: il febbrone però ha lasciato i
suoi segni; delle piaghe attorno alle labbra
e sul mento, e delle scottature nell’interno
della bocca, nel palato e nella gengiva;
posso mangiare soltanto delle pappette di
acqua e pane grattugiato, condite con
margarina e sale. Qualsiasi cosa sfiori il
palato mi provoca atroci dolori. E così
avanti per una settimana. S’avvicina intanto
il raccolto delle patate, ed il cap. tedesco
comincia a far opera di propaganda fra noi
ufficiali affinché si aderisca in massa a
questo genere di lavoro. Purtroppo molti
aderiscono, alcuni per fame, e questi sono
scusabili; molti altri invece, che ricevono
continuamente pacchi dall’Italia, per motivi
inspiegabili. Avrei voluto aderire anch’io,
ma ho pensato che questo genere di lavoro
manuale e faticoso avrebbe potuto nuocere
alla mia salute, divenuta ormai tropo
delicata a causa delle prolungate
privazioni. Marcello è andato, ed ogni sera
riporta 8 o 10 kg. di patate e mi ha
raccontato che fuori sono trattati molto
bene: il vitto è abbondante e buono. Qualche
volta hanno mangiato anche minestra con
brodo di pollo o tacchino e per secondo un
buon pezzo di carne; spesse volte anche il
dolce. Dopo tre giorni Marcello mi ha
confessato di essere stanco, e mi ha pregato
di sostituirlo per una volta. Ho accettato
volentieri.
Ottobre 1944
Il 2 sono andato a lavorare in sostituzione
di Marcello. Il lavoro non mi è sembrato
eccessivamente pesante: piuttosto molto
umiliante. Al ritorno anche io ho riportato
una decina di kg di patate e così in poco
tempo, fra me e Marcello, abbiamo fatto una
discreta provvista. Il giorno 9 gli
ufficiali del I blocco sono partiti diretti
a Norimberga. Si dice che presto si vada via
anche noi. Ho dato delle patate a Giulio,
Osvaldo e a Borgatti che ne erano
sprovvisti. Per timore di uno spostamento io
e Marcello in poco tempo consumiamo tutta la
nostra provvista. Bruno è andato a lavorare
come ragioniere. Sono arrivate da parte
della C.R.I., gallette, formaggini, che
finiscono in breve tempo. Le patate sono
pure finite; la razione pane è stata di
nuovo diminuita; le minestre sempre più
liquide e ributtanti. Il freddo comincia a
tormentare di nuovo. Siamo senza
illuminazione, e, alla sera, ci corichiamo
tutti per le ore 17. Il cap. ha stabilito di
concedere riscaldamento e illuminazione solo
a quelle camerette che avessero fornito un
buon numero di ufficiali disposti ad andare
in un bosco vicino a far legna per gli usi
del campo. Molti si sono adattati. Invece i
componenti della mia cameretta, dopo
lunghissime ed esasperantissime discussioni,
hanno deciso di voler soffrire il freddo e
di voler restare al buio. Io spero in
qualche avvenimento che modifichi la nostra
situazione, divenuta ormai insostenibile. Il
24 anniversario della morte di papà, ho
fatto la SS. Comunione.
Novembre 1944
Le patate le gallette sono finite, e,
naturalmente, si ricomincia a soffrire la
fame come sempre. Per nostra maggiore
disgrazia il freddo aumenta: la pompa
dell’acqua comincia a ghiacciare. La maggior
parte degli ufficiali componenti la
cameretta ricevono pacchi in gran numero,
io, Marcello e pochi altri stringiamo la
cinghia. Indebolisco di nuovo e deperisco a
vista d’occhio. Al mattino la testa mi gira
e la vista mi si annebbia e l’inverno è
appena cominciato. Oltre 6 lunghi mesi di
freddo: questa volta non resisterò di certo.
L’idea di una morte così terrificante mi dà
la forza di compiere un passo pericoloso. Mi
metto in nota per andare a lavorare come
agricoltore a Kempten in Baviera, vicino al
lago di Costanza. Marcello è d’accordo con
me. All’ultimo momento però non ce la
sentiamo di rinunciare alla nostra qualifica
di ufficiale per prendere quella di
lavoratore civile; e così ci rifiutiamo di
firmare e restiamo nel campo. Dure giornate,
fino al 26. Finalmente il 26, domenica,
nella baracca di fronte alla nostra, vengono
installati una ventina di russi. Si sparge
subito la voce che sono gli addetti ai
forni, e quindi ben provvisti di pane.
Allora i più affamati, i “senza pacchi”, ci
precipitiamo da loro con un oggetto
qualsiasi da barattare con pane. Io ho un
portasigarette in “Plexiglass”, vecchio e
rotto, e lo cedo molto volentieri in cambio
di pane che in poco tempo faccio fuori con
l’aiuto di Marcello. E così, per quel
giorno, è scomparso il pericolo della fame.
Il giorno dopo, 27, arriva un pacco a
Marcello: grande gioia per entrambi. Ma cosa
può durare un pacco in due. Il ricordo delle
recenti sofferenze ci fa decidere entrambi a
smettere di fumare. Conserviamo le sigarette
ricevute per mutarle in pane nei momenti
peggiori. Facciamo anche un piccolo
inventario della roba che ci resta da
barattare. A me resta poco; Marcello ha
deciso di cedere, in casi estremi, anche il
vestito borghese. Abbiamo calcolato di poter
tirare avanti ancora per un mese o poco più.
Alla fine, se proprio non riusciamo a
cavarcela, ci decidiamo anche a fare il
doloroso passo. Molti vanno fuori in questi
giorni a lavorare come agricoltori. Eravamo
circa 200: siamo rimasti in 100, e fra
giorni ci ridurremo ancora. Una notte, non
ricordo bene se quella del 16 o del 17, ho
sognato mamma che si recava a Pescara su di
una biga per mancanza di altri mezzi.
L’altra mattina poi mi sono svegliato
proprio mentre nelle vicinanze passava un
treno. Il rumore era uguale a quello che
sentivo tanti anni fa svegliandomi a casa,
nelle stesse giornate di novembre quando
funzionava il frantoio. Ho pianto pensando
che in quel momento il frantoio funzionava
veramente; alla sveglia ho fatto la SS.
Comunione ed ho pregato Iddio affinché la
mia immaginazione fosse realtà.
Dicembre
Il giorno 4 ci avvertono che presto dovremo
ripartire forse per Norimberga.
Evidentemente i russi hanno sferrato
l’attacco nel nostro settore. E così, dopo
quasi un anno, abbandono la Pomerania dove
ho tanto sofferto, e dove certamente non
tornerò mai più per nessun motivo. Partiamo
il 7 dopo aver fatto due disinfestazioni per
me disastrose. Marcello la sera del 6 ritira
due pacchi: perciò siamo abbastanza carichi.
Il trasporto dei bagagli dal campo alla
stazione è stato certamente avventuroso.
Valigette, scatole, sacchetti confezionati
alla buona per mancanza di tempo,
pacchettini di ogni forma e dimensioni,
legati l’uno con l’altro con uno spago
tutt’altro che resistente, tutto avevamo
caricato sulle nostre spalle. All’uscita dal
campo abbiamo dovuto disfare tutto per la
perquisizione. Abbiamo percorso a passo
bersagliero i 6 km che ci separavano dalla
stazione e, dopo numerosi incidenti,
finalmente siamo riusciti a sdraiarci nel
nostro meraviglioso carro merci. Dopo una
mezz’ora di riposo ci guardiamo intorno per
dare una sistemazione ai nostri fagotti e ci
accorgiamo, miracolo, di avere una stufa
pronta per il carico, ai piedi della stufa
un bel mucchietto di carbone, ed una lampada
ben carica di petrolio. Prima della partenza
riusciamo a spiegarne il motivo: tre
autentici campioni della razza teutonica ci
fanno l’onore della loro compagnia in
qualità di “sentinelle”. Benvenuti gli
apportatori di luce e calore. Il viaggio
dura 5 giorni e le provviste erano per tre:
ormai siamo abituati a questi piacevoli
giochetti. Alla stazione di Stettino trovo
un soldato di Loreto, Di Pietro Tommaso, che
lavorava come facchino. Questi mi regala un
po’ di pane, una galletta, una scatola di
formaggini, un po’ di miele e 5 sigarette.
Il giorno 11 arriviamo a Norimberga[6].
Qui ritrovo Giulio, Palladini, Severini e
Osvaldo. La sera dell’11 Giulio riceve posta
in data 15 ottobre; così indirettamente ho
notizie dei miei che stanno bene. La nuova
sistemazione è discreta; persino la luce
elettrica fino a tardi: dopo 15 mesi
finalmente un po’ di luce. Il vitto pure è
terribilmente scarso. Non so come riusciremo
a cavarcela io e Marcello quando avremo
finito le riserve dei pacchi che stiamo
rigorosamente razionando. Prima di Natale
c’è stata una distribuzione di gallette,
riso, zucchero e sigarette inviateci dalla
S.A.I.M. E così, a differenza, dell’altr’anno,
tutti possiamo trascorrere le feste
relativamente sereni, senza la
preoccupazione di restare con la pancia
vuota. A Norimberga ritrovo il magg.
Zuccardi, mio ex-comandante di compagnia.
Gennaio 1945
Il 2 gennaio, alla sera, c’è stato un forte
bombardamento alla città. Qualche vetro
delle baracche è andato in frantumi; le
stoviglie, che riponevano su delle mensole
improvvisate, sono cadute a terra e si sono
rotte. Abbiamo saputo qualche giorno dopo
che la città è stata totalmente distrutta: i
danni ingentissimi, le vittime
numerosissime. Molti italiani, che
lavoravano nelle fabbriche belliche, sono
morti. Il freddo in questi giorni è
pungentissimo. Dietro nostra richiesta il
comando tedesco ci ha autorizzati a recarci
in un vicino bosco per rifornirci di legna
da ardere. La vigilia dell’Epifania sono
stato invitato, per la seconda volta, a cena
da Giulio, che in un pacco aveva ricevuto
della pasta bianca. Il giorno 16, per
celebrare l’onomastico di Marcello,
organizzo una cenetta, alla quale partecipa
anche il magg. Grando, zio della fidanzata
di Marcello. Menù: risotto, spezzatino, di
carne e patate, frutta (noci) e dolce
(budino di riso). Il tutto preparato
magistralmente da me, ormai espertissimo
cuoco ed ansioso di gareggiare un giorno con
mamma ed Italia. Dopo il pranzo il magg.
Grando ci offre una sigaretta nazionale a
testa; e così, dopo 16 giorni, ho fumato una
sigaretta intiera. Le rimanenti giornate di
gennaio trascorrono monotone e fredde
(abbiamo raggiunto i –20°), senza sigarette
né tabacco, con vitto insufficiente, e
sistemazione sempre peggiore per l’arrivo
continuo di nuovi ufficiali. Sin dai primi
del mese, a causa del bombardamento di
Norimberga, siamo rimasti senza sale.
Minestra e pane insipidi, una cosa veramente
orribile. Verso la fine del mese il campo
comincia a sciogliersi. Parte un primo
scaglione di 500 diretto nelle vicinanze di
Berlino, ed un secondo di 300 diretto a
Meulberg[7],
tra Dresda e Lipsia. Io e Marcello, lo zio,
e il gruppo completo dei paesani siamo
riservati per il terzo scaglione, del quale
non si conosce ancora la destinazione.
Febbraio 1945
Il giorno 1, di buon ora, i tedeschi
iniziano la rituale perquisizione, che
precede ogni cambiamento di campo. Il giorno
dopo bagagli in spalle ci rechiamo alla
stazione. Il treno non è ancora pronto, ma
si formerà presto, ci assicurano i tedeschi.
Ed invece abbiamo aspettato tutta la
giornata, sotto una pioggerella sottile e
penetrante. Stanchi, affamati ed intirizziti
dal freddo, con le coperte e la biancheria
bagnate completamente, alla sera facciamo
ritorno nelle baracche in disordine, senza
più lettini e pagliericci. Il giorno dopo di
nuovo alla stazione. Questa volta aspettiamo
soltanto sino alle 2 del pomeriggio:
finalmente arriva il convoglio. I carri sono
in pessimo stato: le tavole delle pareti,
del pavimento e del tetto sono spostate,
consumate o rotte addirittura e lasciano
penetrare vento, pioggia e freddo. Partiamo
alla sera destinazione ancora ignota.
Speriamo tutti che si vada a sud; poter fare
un altro passo verso l’Italia o verso la
Svizzera. Al mattino, dopo una nottata
infernale trascorsa quasi tutta in piedi,
abbiamo la sgradita sorpresa di trovarci
diretti decisamente verso il nord. Dove ci
vorranno portare? Intanto si fa una prima
sosta per la distribuzione dei viveri: pane
duro e nero, salame guasto e puzzolente per
quattro giorni. Quasi tutti siamo colpiti da
diarree o altre forme dissenteriche più o
meno gravi. E così avanti per 4 giorni.
Arriviamo finalmente a Meppen, in Westfalia,
sui confini dell’Olanda. Mentre usciamo
dalla stazione vediamo i cadaveri di due
colonnelli morti per gli stenti, abbandonati
lì sulla muratura dello scalo merci. Con gli
zaini e i vari bagagli in spalla
attraversiamo tutta la città, derisi e
scherniti da molti, compatiti da pochi,
compresi forse da nessuno. Eppure questi
vecchi e queste donne che ancora si vedono
per le città tedesche, avranno anch’essi i
loro figli o i loro mariti in guerra,
prigionieri o addirittura morti. Continuiamo
la marcia verso il campo. Ad un bivio
leggiamo scritto su una targa che dobbiamo
percorrere ancora 12 km. Siamo usciti dalla
stazione alle 8 del mattino, e siamo
arrivati alla cinque del pomeriggio. Durante
la marcia siamo stati mitragliati anche da
un aereo inglese: per fortuna nessun
incidente grave. Molti ufficiali, svenuti
per la debolezza, sono stati caricati su dei
carri in modo tale da farmi ricordare i
monatti che caricavano gli appestati nei
“Promessi sposi”. E successivamente il modo
in cui siamo stati sistemati nel nuovo campo
(Gross-Hesepe)[8]
mi fa ricordare la scena degli appestati nel
lazzaretto di Milano descritta nello stesso
romanzo. Siamo in 550 e forse più persone in
baracche che attrezzate bene potrebbero
ospitare al massino 100 persone. Le baracche
sono nude, senza lettini, senza tavole,
qualche finestra senza vetro. Dormiamo tutti
a terra. Lo spazio riservato a ciascun
ufficiale è di 40 cm di larghezza per m.
1,80 di lunghezza. Il pavimento in legno ben
presto s’inzuppa d’acqua e di fango, portati
dentro da noi stessi che siamo costretti ad
uscire più volte al giorno per recarci al
gabinetto. In pochi giorni l’ambiente
diventa sudicio, lurido, umido; s’incomincia
sentire anche all’interno della baracca un
certo odore d’orina, odore che di giorno in
giorno diventa sempre più acuto. Nessuno
reagisce a tanta lordura, per mancanza di
forze; e se c’è qualcuno che potrebbe, non
lo fa, perché sa che quelle poche forze che
gli restano non può consumarle per delle
cose di importanza non vitale. E così
passano i giorni; il vitto diminuisce sempre
più; e gli alleati avanzano sempre. Non so
come, anche qui circolano notizie militari
di ignota provenienza ma enormemente
confortevoli. Il giorno 23, io, Osvaldo ed
una quarantina di ufficiali, quasi tutti
malati o in stato di grave deperimento,
siamo trasferiti a Fullen, campo ospedale, a
10 km da Gross-Hesepe, in attesa che si
formi un treno ospedale ed essere
rimpatriati come inabili al servizio (D.U.).
Facciamo la marcia di trasferimento a piedi,
confortati da una pioggerella sottile e da
un gelido vento. Arrivati dobbiamo attendere
per più di un’ora, sempre sotto l’acqua,
l’arrivo del maresciallo tedesco. Il nuovo
campo rigurgita di malati di ogni sorta:
tubercolosi, pazzi, mutilati. Il primo
giorno siamo sistemati alla meglio insieme
agli ammalati più gravi, T.B.C. forma
aperta, quasi tuti soldati che lavoravano
nelle miniere. La notte, sebbene
stanchissimo, non riesco a dormire. Il posto
che occupo è stato reso libero da un soldato
morto qualche ora prima del nostro arrivo.
In poche ore la notte ne muoiono altri due.
Gli altri, quasi tutti, tossiscono
rumorosamente e si lamentano presi dal
delirio. Il secondo giorno, dopo una visita
sommaria, mi mandano, insieme ad Osvaldo e a
qualcun altro, in una baracca dove sono
alloggiati ufficiali non malati, ma
gravemente deperiti, tutti in attesa del
famoso treno per D.U.
L’ambiente qui è migliore dell’altro. I
lettini in legno sono pieni di cimici e
pulci, contro le quali notte e giorno
combattiamo epiche lotte. Il vitto è
peggiorato di molto: ¾ di acqua calda con
qualche pezzetto di rapa legnosa per
minestra, circa 200 gr. di pane nero con 18
gr. nominali di margarina per cena. Niente
più zucchero, mai marmellata. Per non
consumare energia, restiamo sempre sdraiati
sul nostro tavolato e scendiamo solo per i
bisogni più stringenti. Se non avessimo la
speranza di un poco probabile rimpatrio e di
una fine della guerra, non so come potremmo
tirare avanti. Io sono abbattutissimo; mai,
sino ad oggi, mi sono sentito così debole.
L’organismo, già fiacco, ha risentito di
questi ultimi sforzi: avrebbe potuto reagire
con una buona alimentazione, ed invece, con
questo vitto, continua a scendere giù
paurosamente. Fino a quando resisterò?
Marzo
Ho conservato, con indicibile sacrificio, 2
etti di riso e una scatoletta di sardine per
mangiarle oggi, 7 marzo, S. Tommaso, secondo
onomastico trascorso in prigionia. Con 50
gr. di riso ho comprato due sigarette; alla
sera ho cucinato tuto pazientemente, poi mi
sono rincantucciato nel mio lettino al 2°
piano per gustare meglio quel piatto tanto
raro. E infine ho fumato tutta intiera una
sigaretta “nazionale”. Ho fatto quindi i
preparativi per dormire, e, prima di
chiudere occhio, constatando di non avere
più alcuna risorsa, mi sono addormentato
nell’infinita misericordia di Dio.
Il resto del mese trascorso lento e
monotono. Caratterizzato dalla continua
diminuizione e peggioramento del vitto. Il
23, domenica delle Palme, il mio carissimo
amico Chinchiarelli, che aveva venduto il
suo cronometro, mi dà quasi mezzo chilo di
pane e qualche fetta di lardo, in cambio di
un originale coltello che avevo avuto dai
russi ad Hammerstein. È stato veramente un
giorno di festa. Verso le sei del pomeriggio
apprendiamo che gli alleati hanno sfondato
nella nostra zona a Funsten (?). Allora a
tutti torna un filo di vitalità, e cantiamo
in coro le canzoni più belle della nostra
patria lontana.
Aprile
I primi del mese cominciamo a sentire i
bombardamenti nelle vicinanze del nostro
campo. Il cielo è sempre pieno di formazioni
di velivoli che raggiungono i più vicini ed
importanti centri tedeschi. Se usciamo dalle
baracche e mostriamo chiaramente la nostra
gioia, le sentinelle ci sparano addosso.
Bisogna stare molto attenti in questi ultimi
giorni. La sera del cinque sentiamo
vicinissimo il rombo del cannone. Potranno
combattere massimo ad una decina di km. I
nostri volti riflettono la nostra immensa
gioia. La notte vegliamo quasi tutti. Ma
fatto strano, non si sente più alcun rumore
di battaglia. Al mattino, alle 5,30,
sentiamo un colpo di cannone sparato alle
nostre spalle. Chinchiarelli scende dal
letto per affacciarsi alla porta. Nel mentre
la battaglia si è riaccesa. Sentiamo
vicinissima la caratteristica voce della
mitragliatrice. Esultiamo tutti.
Chinchiarelli rientra gesticolando come un
pazzo, e finalmente grida: “Le sentinelle
tedesche sono scappate: siamo liberi.” A 500
m. da noi i carri armati americani inseguono
i tedeschi in fuga.
[1]
Si tratta di Fürstenberg
sur Oder, attuale quartiere di
Eisenhüttenstadt, dove era lo STALAG III
B.
[2]
A Przemysl vi erano due campi. Quello in
questione è quello di Neribka, Stalag
327.
[3]
Zopito Di Pietro ha sposato la sorella
di Tommaso, Wanda.
[4]
La località, con il nome polacco di
Czarne, si trova nel nord della Polonia.
[5]
Dovrebbe riferirsi a capitano Giacomo
Capelli, il quale ha scritto nel 1964 a
Tommaso Vallozza per chiedere suo
notizie e di altri compagnia di
prigionia. La cartolina porta la
seguente dicitura: dott. Capelli
Giacomo, Via Petrella 8, Milano.
[6]
Si tratta dell’Offlag (campo per
ufficiale) XIIID, Langwasser.
[7]
Si tratta dello Stalag
IV B Mühlberg, dal quale dipendeva anche
il campo di prigionia Reservelazarett
Stalag IV B Zeithain.
[8]
Il campo Gross Hesepe e quello
successivo di Füllen
erano degli Zwieglager che
dipendevano dallo Stalag VI C di
Bathorn.