www.letteraturaalfemminile.it scritti su Napoli Matilde Serao di Francesca Santucci

 

 

 

Pulcinella maschera del teatro barocco

estratto dal libro

(Francesca Santucci, Suggestioni e meraviglie, Kimerik 2009)

 

 

 

La commedia dell'arte

Nacque nel Cinquecento la Commedia dell’Arte, così chiamata perché la buona riuscita della rappresentazione scenica non si fondava tanto sulla bellezza del testo, come per la commedia colta, quanto sulla bravura di attori professionisti, che improvvisavano, su di un “canovaccio” appena abbozzato, le battute e la vivace mimica, ma fu nell’età barocca che trovò la sua massima diffusione.
La professionalità degli attori si basava sulla specializzazione del repertorio di un tipo umano o ruolo fisso, la maschera, attraverso “lazzi” e trovate buffonesche di presa immediata sul pubblico, perciò la storia della Commedia dell’Arte non è storia di opere, ma di attori, che associarono per sempre il loro nome alla maschera rappresentata, e di capocomici e Compagnie che portarono in giro per l’Italia le loro commedie, irriverenti, sboccate, rumorose, scostumate, perciò spesso bersagliate dalle autorità ecclesiastiche.
Pochi i ruoli (gli Innamorati, i Vecchi, i Capitani, i Zanni, cioè i servi, le Servette), varie le maschere (costituitesi storicamente nell’Italia dei secoli XVI- XVIII, con le differenti coloriture regionali, linguistiche e caratteriali), Pantalone, Brighella, Arlecchino, Truffaldino, Colombina, Rosaura, Pulcinella, perciò gli attori si specializzarono nel personaggio fisso (la maschera), o nelruolo, e in tutte le recite, qualunque fosse l’intreccio, l’attore era sempre quella maschera, indossando costumi tipici con i quali il personaggio fosse meglio riconoscibile.
Nacquero, così, le maschere italiane, diffuse soprattutto nel XVIII secolo: Brighella, il tipo del servitore avveduto; Pantalone, il vecchio avaro e brontolone che parla sempre in veneziano; Arlecchino, il buffone per eccellenza, dalla veste variopinta, la mimica burattinesca, la voce stridula ed un parlato veneziano-bergamasco; Pulcinella, buffone anch’esso, ma maschera tipicamente napoletana.
Così, sinteticamente, Ludovico Zorzi,1 illustrò la morfologia della Commedia dell’Arte:
Il canovaccio dell’Arte si fonda, com’è noto, sull’intreccio e sulla combinazione simmetrica di otto parti fisse, alle quali si aggiungono saltuariamente alcune parti mobili: le quattro parti comiche delle maschere (due vecchi e due zanni) e le quattro parti serie degli innamorati (due coppie); più le parti della soubrette, del capitano, del mago deus ex machina (o di altri tipi affini); in più, comparse e oggetti (le “robbe”).

PULCINELLA

Pulicenella è furbo
e chesto non se pegne;
ma pe n’avè disturbo
chillo fa marcangegna.

Polecenella è triste
lo dice d’ogne lato
ma quello fa l’insisto
pe n’essere accoppato.

Polecenella è smocco
credono pe sta terra;
ma chillo fa lo locco
pe non ghire a la guerra. 

(“Dizionario Napoletano Toscano, D’Ambra, 1873”)1

 

 

Aniello Scotto,
“Pulcinella e Colombina sulla scena”,
olio su tela, cm. 80x80

Furbo, semplicione, vivace, spensierato, triste, ottimista, pigro, attaccabrighe, goloso, spiritoso, caustico, cinico, irriverente, farfallone (infedele alla moglie Zeza, di volta in volta innamorato di Colombina, sfrontata, bugiarda e manesca, Colombina vendica Zeza: ben fatto!, scrive Benedetto Croce, e poi di Smeraldina, Pasquella, Serpina, Lisetta), talvolta pure ladro (ma come se col furto esercitasse un diritto); tante le definizioni per Pulcinella (in origine Policinella), che leggenda vuole nato dall’uovo (“Pulcinella” da “pulcinello”, “piccolo pulcino” dal latino Pullicenus, in assonanza fra il suono prodotto dalla pivetta, il piccolo strumento metallico spesso usato, posizionato in prossimità della gola, e il verso della chioccia), ma le cui origini, lontanissime nel tempo, si fanno risalire alle favole atellane, gli spettacoli teatrali licenziosi sorti presso gli Osci di Atella (cittadina della Campania) e poi importati a Roma; nel suo “Dizionario geografico ragionato di Napoli” del 1797, Giustiniani riferì del ritrovamento ad Ercolano di un’immagine di Pulcinella,e Schleger annotò d’averlo visto sui vasi etruschi e su alcuni fregi di Pompei.
Antichissima, dunque, l’origine di questa maschera in cui l’osco Maccus, lazzarone, invadente, e a volte ladro, e il latino Pappus, fifone e saccente hanno originato, amalgamandosi, la tipica vis comica partenopea.
Per quanto riguarda il nome di Pulcinella, il Fainelli lo fa risalire a Pulcinella Dalle Carceri, veronese, che viveva di espedienti e finì in carcere (ma non spiega come il nome sarebbe giunto a Napoli); il Levi lo rileva in alcuni versi del ‘300 del De Bonis (
Perseguendo i pulcinelli/ perché voltan mantelli/ e mutansi di senno in ora in ora); secondo altri deriverebbe dal nome di un attore che lo impersonava, Paolo Cinelli (che i francesi, allora dominatori, chiamavano Paul Cinelli), oriundo di Acerra, località in provincia di Napoli ove ancora c’è un palazzetto settecentesco detto “la casa di Pulcinella”,
E nella
Nferta del barone Zezza, del 1839, così Pulcinella si presenta: Io, don Polecenella Cetrulo, nato a la Cerra ‘ntra li ciucce, e cresciuto e pasciuto a Napoli ‘ntra li sartibanche…
Cetrulo
forse da cedro, limone, il frutto dell’albero che simboleggia la Verità (che sempre Pulcinella rivela…nonostante nasconda per metà il suo volto con la mascherina), o forse da
citron, citrocille (imbecille, testardo), oppure, napoletanamente, insipido, come, appunto, il cetriolo.

Aniello Scotto, “Pulcinella”, carboncino

La prima volta che ci s’imbatte nel personaggio di Pulcinella in un lavoro letterario è nel “Viaggio di Parnaso”, scritto nel 1621, dello scrittore napoletano Giulio Cesare Cortese (1570-1640), autore d’importanza fondamentale, insieme al Basile, per la letteratura dialettale, perché diede dignità letteraria ed artistica alla lingua partenopea, contrapponendola a quella toscana; la maschera fu, poi, perfezionata da Andrea Calcese, detto "Ciuccio", un giureconsulto morto di peste nel 1656, che ne indossò la maschera per la prima volta nel 1618, ma già nel secolo XVI la commedia napoletana annoverava Pulcinella tra i suoi personaggi.
Pier Maria Cecchini, nel 1628, disse che Pulcinella era nato da pochi anni, e con Silvio Fiorillo, attore e commediografo che indossò la mezza maschera nera e la portò in giro per l’Italia.
Per quanto riguarda il costume, s’ignora quale fosse quello iniziale, e la maschera talvolta è stata bianca, talvolta nera,ma a Parigi il comico romano Argieri, alla fine del XV secolo, indossava un costume quasi simile a quello attuale, però con barba e lunghi baffi, in testa un cappello di feltro a larghe tese sopra una berretta bianca; nelle illustrazioni di Jacques Callot del 1621,“I balli di Sfessania”, alla maschera, bianca, manca il “coppolone” in testa ed ha i baffi, e Pulcinella ha doppia gobba;il Barbançois, alla corte del cardinale Mazarino, nel 1645, lo rappresentava con giubba e calzoni gialli e rossi rifiniti con un gallone verde, un berretto, un mantello corto, maschera con naso ad uncino e baffi; nel XVIII secolo il Tiepolo rappresentò i “Pulcinelli acrobati” sia con la maschera bianca che con quella nera; il disegnatore, ritrattista e caricaturista Pier Leone Ghezzi (1674-1755) con la maschera nera.
Nelle descrizioni delle rappresentazioni allo storico teatro San Carlino Pulcinella indossa, invece,gli abiti usuali che conosciamo.
 

 

Aniello Scotto, “Maschera o volto”,
tecnica mista su tavola, cm. 72x84

 Pulcinella oggi

Oggi quasi tutte le maschere sono estinte; Colombina, Arlecchino, Stenterello, Pantalone, Gianduia: chi più le ricorda? Forse solo Pulcinella sopravvive, malinconico superstite di un tempo che più non è, costretto ancora nel suo bianco camicione, con il volto parzialmente celato dalla mezza maschera nera. Gli ultimi fasti teatrali li celebrò con Eduardo De Filippo, che lo riportò in vita nella sua commedia “Il figlio di Pulcinella”, ma lontano, ormai, dalla bonarietà che lo aveva contrassegnato.
Così Mario Stefanile commentò la doppia natura della maschera in relazione a quest’opera:
…una natura statica, fermamente ancorata alle convenzioni della maschera che l’ha fissato così come appare, arruffone, e affamato, pronto al lazzo ed all’ossequio, lazzarone e furbastro e una natura invece allarmata su nuove inquietudini… 
In tempi più recenti, il Maestro napoletano Aniello Scotto, docente di Tecniche dell’Incisione e di Disegno Artistico presso il Liceo artistico e l’Accademia di Belle Arti di Napoli
,ha rivisitato il mito della maschera napoletana, Pullicenella: la maschera e l’uomo (Tutte le iconografie ci hanno trasmesso un aspetto esteriore di Pulcinella, ma non vi è stato mai chi abbia cercato di sbirciare cosa vi fosse, in effetti, sotto il nero di quella maschera. A. Scotto),2 presentando, nella mostra intitolata “Fuori dal mito”, dipinti, carboni ed incisioni fortemente ispirati da un’intensa reinterpretazione(Sembra che Scotto, col tratto forte del suo disegno, con la potenza della rappresentazione personalissima, voglia dare un volto a Pulcinella. Voglia non solo togliergli la maschera, ma costruirgliene un’altra che lo sottragga, come abbiamo detto, ai luoghi comuni, agli stereotipi iconografici della tradizione antica e recente),3 testimonianza tangibile che Pulcinella è vivo più che mai, che Pulcinella sconfigge il tempo, l’oblio, e persino la morte.

Le Mort - Pulcinella…Pulcinella…Où vas-tu te coucher cette nuit?

Pulcinella - Je me couche dans mon lit…

La Mort - Je viendrai dans ton lit…je t’étoufferai!

Pulcinella - Alors, je me coucherai…sous mon lit…

La Mort - Je viendrai sous ton lit…et je t’étoufferai!

Pulcinella - Et moi je prenderai le pot de chambre plein de pisse et te le foutrai à la gueule!

(“Dialogue traditionnel du Théatre des Marionettes”)

 

Repertorio di "lazzi" per Pulcinella

Per documentare l’attività dei comici dell’Arte, mancando opere, ci si riferisce a testi non letterari, ma riguardanti le tecniche teatrali, cioè gli schemi di sceneggiatura, i canovacci, l’arte mimica, il repertorio dei lazzi assegnati alle singole maschere, come il testo di Placido Adriani, “ Selva ovvero Zibaldone di concetti comici”, del 1734, raccolta di repertori di lazzi e trovate buffe largamente usate dai comici dell’Arte. Tra l’altro, anche vari lazzi, tanti surreali,per Pulcinella (maschera introdotta nell’Arte da Silvio Fiorillo, dalla veste bianca, con gobba, naso adunco, espressione della logica istintuale plebea associata a ricchezza di risorse e di umori, beffato e beffatore), espressivi dell’umor faceto delle situazioni indecenti, basati sul doppio senso, combinando gli opposti (ridere e piangere), giocando sul modo di dire preso alla lettera, sulla sostituzione di persona.

Lazzo del precipitare
Questo lazzo è quando uno prega o Pulcinella o Coviello a farli un servizio e li esibisce denaro: quello se lo piglia e dice: “Mi vuoi far precipitare”.

Lazzo della pellegrina
Il lazzo della pellegrina è quando li amanti, pregando Coviello o Pulcinella, s'inginocchiano, e Coviello, parlando ad uno, volta il preterito all'altro.

Lazzo dell'orina fresca
Il lazzo dell'orina fresca è che Pulcinella dice tutte l'orine esser calde; la servetta dice che fresca s'intende quando è fatta allora, ciò di fresco, e lo sincera.

Lazzo del piangere e ridere
Il lazzo del piangere e ridere è che uno va gabbando l'altro, come allor che il vecchio piange per la partenza del figlio e ride per aver campo aperto senza gelosia di goder l'innamorata. L'istesso fa il figlio.

Lazzo della creanza
Il lazzo della creanza è che Pulcinella dimanda alla moglie se alcuno la saluta; lei risponde che con la creanza ce lo restituisce, e così siegue in aprirli la porta, farlo entrare, farlo sedere, e Pulcinella dice che con la creanza è un becco cornuto. L'istesso si può dire in altra persona.

Lazzo di frutti e baci
Il lazzo di frutti e baci è che Coviello finge la voce della donna amata da Pulcinella; Pulcinella dimanda i frutti di amore; Coviello da dietro lo batte; Pulcinella dice non essere quelli li frutti d'amore, ma baci; Coviello da dietro li da schiaffetti.

Lazzi impasticciati
Li lazzi impasticciati sono che Coviello impara a Pulcinella a parlare amoroso e da dietro li dice mille spropositi; Pulcinella li replica; Coviello da dietro per afocarlo e Pulcinella fa l'istesso alla donna.

Lazzo del cucire e legare
Il lazzo del cucire è che Coviello discorre con Pulcinella. Pulcinella si scosta; Coviello lo chiama e li dice si cuci seco; Pulcinella piglia ago e filo per cucirsi con Coviello; Coviello che faccia; lui volersi cucire seco; Coviello li dice “attaccati con me”; Pulcinella si leva la fune per legarsi con Coviello; Coviello che faccia, che pigli le parole sue; e, mentre Coviello parla. Pulcinella piglia le parole dalla bocca di Coviello e le mette dentro la coppola o berretta; poi Coviello li dice se ha pigliato le sue parole: Pulcinella apre la coppola e non ci trova niente.

Lazzo di bontà di Pulcinella
Il lazzo della bontà di Pulcinella è che lui, sentendo dal Capitano o da altri dire che lo vogliono uccidere, e non essendo conosciuto lui loda se stesso con dire: «Pulcinella è orno faceto, semplice e buono».

Il lazzo della mosca
Il lazzo della mosca è che Pulcinella, essendo stato lassato a guardia della casa del padrone e dimandato se in casa vi è nessuno, lui dice non esserci una mosca. Il padrone vi trova gente, rinfaccia Pulcinella e lui dice: “Non ci hai trovato mosche, ma omini”.

Francesca Santucci

Note
1) Estratto della poesia in dialetto che traccia il ritratto di Pulcinella.
2) A. Scotto, “Fuori dal Mito, Scotto”.
3) Ernesto Paolozzi, “Fuori dal Mito, Scotto”.

Bibliografia
V. Gleijeses, “Feste, farina e forca”, SEI Napoli 1977.
V. Gleijeses, “La storia di Napoli”, S.E.N. Napoli 1974.
F. Zanobini, Il presente della memoria, 2 vol.Biulgari, Firenze 1990.
E. Paolozzi, “Fuori dal Mito, Scotto” , catalogo della mostra, marzo 2005.