La
commedia dell'arte
Nacque nel Cinquecento la Commedia dell’Arte, così chiamata perché
la buona riuscita della rappresentazione scenica non si fondava
tanto sulla bellezza del testo, come per la commedia colta, quanto
sulla bravura di attori professionisti, che improvvisavano, su di
un “canovaccio” appena abbozzato, le battute e la vivace mimica,
ma fu nell’età barocca che trovò la sua massima diffusione. La
professionalità degli attori si basava sulla specializzazione del
repertorio di un tipo umano o ruolo fisso, la maschera, attraverso
“lazzi” e trovate buffonesche di presa immediata sul pubblico,
perciò la storia della Commedia dell’Arte non è storia di opere,
ma di attori, che associarono per sempre il loro nome alla
maschera rappresentata, e di capocomici e Compagnie che portarono
in giro per l’Italia le loro commedie, irriverenti, sboccate,
rumorose, scostumate, perciò spesso bersagliate dalle autorità
ecclesiastiche. Pochi
i ruoli (gli Innamorati, i Vecchi, i Capitani, i Zanni, cioè i
servi, le Servette), varie le maschere (costituitesi storicamente
nell’Italia dei secoli XVI- XVIII, con le differenti coloriture
regionali, linguistiche e caratteriali), Pantalone, Brighella,
Arlecchino, Truffaldino, Colombina, Rosaura, Pulcinella, perciò
gli attori si specializzarono nel personaggio fisso (la maschera),
o nelruolo, e in tutte le recite, qualunque fosse l’intreccio,
l’attore era sempre quella maschera, indossando costumi tipici con
i quali il personaggio fosse meglio riconoscibile.
Nacquero, così, le maschere italiane, diffuse soprattutto nel
XVIII secolo: Brighella, il tipo del servitore avveduto;
Pantalone, il vecchio avaro e brontolone che parla sempre in
veneziano; Arlecchino, il buffone per eccellenza, dalla veste
variopinta, la mimica burattinesca, la voce stridula ed un parlato
veneziano-bergamasco; Pulcinella, buffone anch’esso, ma maschera
tipicamente napoletana.
Così, sinteticamente, Ludovico Zorzi,1 illustrò la morfologia
della Commedia dell’Arte:
Il canovaccio dell’Arte
si fonda, com’è noto, sull’intreccio e sulla combinazione
simmetrica di otto parti fisse, alle quali si aggiungono
saltuariamente alcune parti mobili: le quattro parti comiche delle
maschere (due vecchi e due zanni) e le quattro parti serie degli
innamorati (due coppie); più le parti della soubrette, del
capitano, del mago deus ex machina (o di altri tipi affini); in
più, comparse e oggetti (le “robbe”).
PULCINELLA
Pulicenella è furbo
e chesto non se pegne;
ma pe n’avè disturbo
chillo fa marcangegna.
Polecenella è triste
lo dice d’ogne lato
ma quello fa l’insisto
pe n’essere accoppato.
Polecenella è smocco
credono pe sta terra;
ma chillo fa lo locco
pe non ghire a la guerra.
(“Dizionario Napoletano
Toscano, D’Ambra, 1873”)1
Aniello Scotto,
“Pulcinella e Colombina sulla scena”,
olio su tela, cm. 80x80
Furbo,
semplicione, vivace, spensierato, triste, ottimista, pigro,
attaccabrighe, goloso, spiritoso, caustico, cinico, irriverente,
farfallone (infedele alla moglie Zeza, di volta in volta
innamorato di Colombina, sfrontata, bugiarda e manesca,
Colombina vendica Zeza: ben fatto!,
scrive Benedetto Croce, e poi di Smeraldina, Pasquella, Serpina,
Lisetta), talvolta pure ladro (ma come se col furto esercitasse un
diritto); tante le definizioni per Pulcinella (in origine
Policinella), che leggenda vuole nato dall’uovo (“Pulcinella” da
“pulcinello”, “piccolo pulcino” dal latino Pullicenus, in
assonanza fra il suono prodotto dalla pivetta, il piccolo
strumento metallico spesso usato, posizionato in prossimità della
gola, e il verso della chioccia), ma le cui origini, lontanissime
nel tempo, si fanno risalire alle favole atellane, gli spettacoli
teatrali licenziosi sorti presso gli Osci di Atella (cittadina
della Campania) e poi importati a Roma; nel suo “Dizionario
geografico ragionato di Napoli” del 1797, Giustiniani riferì del
ritrovamento ad Ercolano di un’immagine di Pulcinella,e Schleger
annotò d’averlo visto sui vasi etruschi e su alcuni fregi di
Pompei.
Antichissima, dunque, l’origine di questa maschera in cui l’osco
Maccus, lazzarone, invadente, e a volte ladro, e il latino Pappus,
fifone e saccente hanno originato, amalgamandosi, la tipica vis
comica partenopea.
Per quanto riguarda il nome di Pulcinella, il Fainelli lo fa
risalire a Pulcinella Dalle Carceri, veronese, che viveva di
espedienti e finì in carcere (ma non spiega come il nome sarebbe
giunto a Napoli); il Levi lo rileva in alcuni versi del ‘300 del
De Bonis (Perseguendo
i pulcinelli/ perché voltan mantelli/ e mutansi di senno in ora in
ora);
secondo altri deriverebbe dal nome di un attore che lo
impersonava, Paolo Cinelli (che i francesi, allora dominatori,
chiamavano Paul Cinelli), oriundo di Acerra, località in provincia
di Napoli ove ancora c’è un palazzetto settecentesco detto “la
casa di Pulcinella”, E
nella Nferta
del barone Zezza, del 1839, così Pulcinella si presenta:
Io, don Polecenella
Cetrulo, nato a la Cerra ‘ntra li ciucce, e cresciuto e pasciuto a
Napoli ‘ntra li sartibanche…
Cetrulo forse da cedro, limone, il frutto dell’albero che simboleggia la
Verità (che sempre Pulcinella rivela…nonostante nasconda per metà
il suo volto con la mascherina), o forse da
citron, citrocille (imbecille, testardo), oppure, napoletanamente, insipido, come,
appunto, il cetriolo.
Aniello Scotto, “Pulcinella”, carboncino
La
prima volta che ci s’imbatte nel personaggio di Pulcinella in un
lavoro letterario è nel “Viaggio di Parnaso”, scritto nel 1621,
dello scrittore napoletano Giulio Cesare Cortese (1570-1640),
autore d’importanza fondamentale, insieme al Basile, per la
letteratura dialettale, perché diede dignità letteraria ed
artistica alla lingua partenopea, contrapponendola a quella
toscana; la maschera fu, poi, perfezionata da Andrea Calcese,
detto "Ciuccio", un giureconsulto morto di peste nel 1656, che ne
indossò la maschera per la prima volta nel 1618, ma già nel secolo
XVI la commedia napoletana annoverava Pulcinella tra i suoi
personaggi. Pier
Maria Cecchini, nel 1628, disse che Pulcinella era nato da pochi
anni, e con Silvio Fiorillo, attore e commediografo che indossò la
mezza maschera nera e la portò in giro per l’Italia.
Per quanto riguarda il costume, s’ignora quale fosse quello
iniziale, e la maschera talvolta è stata bianca, talvolta nera,ma
a Parigi il comico romano Argieri, alla fine del XV secolo,
indossava un costume quasi simile a quello attuale, però con barba
e lunghi baffi, in testa un cappello di feltro a larghe tese sopra
una berretta bianca; nelle illustrazioni di Jacques Callot del
1621,“I balli di Sfessania”, alla maschera, bianca, manca il
“coppolone” in testa ed ha i baffi, e Pulcinella ha doppia
gobba;il Barbançois, alla corte del cardinale Mazarino, nel 1645,
lo rappresentava con giubba e calzoni gialli e rossi rifiniti con
un gallone verde, un berretto, un mantello corto, maschera con
naso ad uncino e baffi; nel XVIII secolo il Tiepolo rappresentò i
“Pulcinelli acrobati” sia con la maschera bianca che con quella
nera; il disegnatore, ritrattista e caricaturista Pier Leone
Ghezzi (1674-1755) con la maschera nera. Nelle
descrizioni delle rappresentazioni allo storico teatro San Carlino
Pulcinella indossa, invece,gli abiti usuali che conosciamo.
Aniello Scotto, “Maschera o volto”,
tecnica mista su tavola, cm. 72x84
Pulcinella oggi
Oggi
quasi tutte le maschere sono estinte; Colombina, Arlecchino,
Stenterello, Pantalone, Gianduia: chi più le ricorda? Forse solo
Pulcinella sopravvive, malinconico superstite di un tempo che più
non è, costretto ancora nel suo bianco camicione, con il volto
parzialmente celato dalla mezza maschera nera. Gli ultimi fasti
teatrali li celebrò con Eduardo De Filippo, che lo riportò in vita
nella sua commedia “Il figlio di Pulcinella”, ma lontano, ormai,
dalla bonarietà che lo aveva contrassegnato.
Così Mario Stefanile commentò la doppia natura della maschera in
relazione a quest’opera:
…una natura statica,
fermamente ancorata alle convenzioni della maschera che l’ha
fissato così come appare, arruffone, e affamato, pronto al lazzo
ed all’ossequio, lazzarone e furbastro e una natura invece
allarmata su nuove inquietudini… In
tempi più recenti, il Maestro napoletano Aniello Scotto, docente
di Tecniche dell’Incisione e di Disegno Artistico presso il Liceo
artistico e l’Accademia di Belle Arti di Napoli,ha
rivisitato il mito della maschera napoletana, Pullicenella: la
maschera e l’uomo
(Tutte le
iconografie ci hanno trasmesso un aspetto esteriore di Pulcinella,
ma non vi è stato mai chi abbia cercato di sbirciare cosa vi
fosse, in effetti, sotto il nero di quella maschera. A. Scotto),2
presentando, nella mostra intitolata “Fuori dal mito”, dipinti,
carboni ed incisioni fortemente ispirati da un’intensa
reinterpretazione(Sembra
che Scotto, col tratto forte del suo disegno, con la potenza della
rappresentazione personalissima, voglia dare un volto a
Pulcinella. Voglia non solo togliergli la maschera, ma
costruirgliene un’altra che lo sottragga, come abbiamo detto, ai
luoghi comuni, agli stereotipi iconografici della tradizione
antica e recente),3
testimonianza tangibile che Pulcinella è vivo più che mai, che
Pulcinella sconfigge il tempo, l’oblio, e persino la morte.
Le Mort - Pulcinella…Pulcinella…Où vas-tu te coucher cette
nuit?
Pulcinella
-
Je me couche dans mon lit…
La Mort - Je
viendrai dans ton lit…je t’étoufferai!
Pulcinella -
Alors, je me coucherai…sous mon lit…
La Mort - Je
viendrai sous ton lit…et je t’étoufferai!
Pulcinella
-
Et moi je prenderai le pot de chambre plein de pisse et te le
foutrai à la gueule!
(“Dialogue traditionnel du Théatre des Marionettes”)
Repertorio di "lazzi" per Pulcinella
Per
documentare l’attività dei comici dell’Arte, mancando opere, ci si
riferisce a testi non letterari, ma riguardanti le tecniche
teatrali, cioè gli schemi di sceneggiatura, i canovacci, l’arte
mimica, il repertorio dei lazzi assegnati alle singole maschere,
come il testo di Placido Adriani, “ Selva ovvero Zibaldone di
concetti comici”, del 1734, raccolta di repertori di lazzi e
trovate buffe largamente usate dai comici dell’Arte. Tra l’altro,
anche vari lazzi, tanti surreali,per Pulcinella (maschera
introdotta nell’Arte da Silvio Fiorillo, dalla veste bianca, con
gobba, naso adunco, espressione della logica istintuale plebea
associata a ricchezza di risorse e di umori, beffato e beffatore),
espressivi dell’umor faceto delle situazioni indecenti, basati sul
doppio senso, combinando gli opposti (ridere e piangere), giocando
sul modo di dire preso alla lettera, sulla sostituzione di
persona.
Lazzo
del precipitare
Questo lazzo è quando uno prega o Pulcinella o Coviello a farli un
servizio e li esibisce denaro: quello se lo piglia e dice: “Mi
vuoi far precipitare”.
Lazzo
della pellegrina
Il lazzo della pellegrina è quando li amanti, pregando Coviello o
Pulcinella, s'inginocchiano, e Coviello, parlando ad uno, volta il
preterito all'altro.
Lazzo
dell'orina fresca
Il lazzo dell'orina fresca è che Pulcinella dice tutte l'orine
esser calde; la servetta dice che fresca s'intende quando è fatta
allora, ciò di fresco, e lo sincera.
Lazzo
del piangere e ridere
Il lazzo del piangere e ridere è che uno va gabbando l'altro, come
allor che il vecchio piange per la partenza del figlio e ride per
aver campo aperto senza gelosia di goder l'innamorata. L'istesso
fa il figlio.
Lazzo
della creanza
Il lazzo della creanza è che Pulcinella dimanda alla moglie se
alcuno la saluta; lei risponde che con la creanza ce lo
restituisce, e così siegue in aprirli la porta, farlo entrare,
farlo sedere, e Pulcinella dice che con la creanza è un becco
cornuto. L'istesso si può dire in altra persona.
Lazzo
di frutti e baci
Il lazzo di frutti e baci è che Coviello finge la voce della donna
amata da Pulcinella; Pulcinella dimanda i frutti di amore;
Coviello da dietro lo batte; Pulcinella dice non essere quelli li
frutti d'amore, ma baci; Coviello da dietro li da schiaffetti.
Lazzi
impasticciati
Li lazzi impasticciati sono che Coviello impara a Pulcinella a
parlare amoroso e da dietro li dice mille spropositi; Pulcinella
li replica; Coviello da dietro per afocarlo e Pulcinella fa
l'istesso alla donna.
Lazzo
del cucire e legare
Il lazzo del cucire è che Coviello discorre con Pulcinella.
Pulcinella si scosta; Coviello lo chiama e li dice si cuci seco;
Pulcinella piglia ago e filo per cucirsi con Coviello; Coviello
che faccia; lui volersi cucire seco; Coviello li dice “attaccati
con me”; Pulcinella si leva la fune per legarsi con Coviello;
Coviello che faccia, che pigli le parole sue; e, mentre Coviello
parla. Pulcinella piglia le parole dalla bocca di Coviello e le
mette dentro la coppola o berretta; poi Coviello li dice se ha
pigliato le sue parole: Pulcinella apre la coppola e non ci trova
niente.
Lazzo
di bontà di Pulcinella
Il lazzo della bontà di Pulcinella è che lui, sentendo dal
Capitano o da altri dire che lo vogliono uccidere, e non essendo
conosciuto lui loda se stesso con dire: «Pulcinella è orno faceto,
semplice e buono».
Il
lazzo della mosca
Il lazzo della mosca è che Pulcinella, essendo stato lassato a
guardia della casa del padrone e dimandato se in casa vi è
nessuno, lui dice non esserci una mosca. Il padrone vi trova
gente, rinfaccia Pulcinella e lui dice: “Non ci hai trovato
mosche, ma omini”.
Francesca Santucci
Note
1) Estratto della poesia in dialetto che traccia il ritratto di
Pulcinella.
2) A. Scotto, “Fuori dal Mito, Scotto”.
3) Ernesto Paolozzi, “Fuori dal Mito, Scotto”.
Bibliografia
V. Gleijeses, “Feste, farina e forca”, SEI Napoli 1977.
V. Gleijeses, “La storia di Napoli”, S.E.N. Napoli 1974.
F. Zanobini, Il presente della memoria, 2 vol.Biulgari, Firenze
1990.
E. Paolozzi, “Fuori dal Mito, Scotto” , catalogo della mostra,
marzo 2005.
|