...Amor
condusse noi ad una morte...
Francesca
Santucci
Paolo
e Francesca
…
Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende
prese
costui de la bella persona
che
mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende.
Amor, ch'a nullo amato amar perdona,
mi
prese del costui piacer sì forte,
che,
come vedi, ancor non m'abbandona.
Amor condusse noi ad una morte:
Caina
attende chi a vita ci spense!
...
(Divina commedia, V canto dell’Inferno)
È
nel V canto dell’Inferno, comunemente conosciuto come il canto di Paolo e
Francesca, il canto dei lussuriosi, i peccatori carnali che la ragion
sommettono al talento,
puniti da la bufera
infernal che mai non resta, continuamente travolti da una furiosa bufera
che non si ferma mai, simbolo ed insieme rappresentazione di quella bufera dei
sensi alla quale soggiacquero in vita,
che Dante affronta un motivo diffuso nella letteratura francese e
italiana del tempo: amore e morte.
E
come gli stornei ne portan l’ali…e come i gru cantando lor lai.
Tra
le anime dei lussuriosi, che in vita si lasciarono dominare dalla cieca passione
d’amore, suddivisi in due schiere, a seconda che la loro passione fu bassa e
bestiale o ardente e fatale, amanti infelici così cari all’immaginazione
medievale, come Semiramide, Didone, Cleopatra, Elena, Achille, Paride e
Tristano, Dante ne scorge due che vanno più leggere delle altre
in balìa del vento, simili a colombe che, guidate dal desiderio, volano
verso il nido: sono le anime di Paolo Malatesta e di Francesca da Rimini.
…Questa era bellissima del suo corpo; il
marito era sozzissimo et era sciancato e questo Lanciotto aveva un suo fratello
che aveva nome Paolo, ch’era bellissimo giovine, onde s’innamorarono insieme
Francesca e Paolo…e venne tanto palese il loro amore e usanza insieme che
venne a li orecchi di Lanciotto, onde apostali e trovatoli uniti insieme,
confisse l’uno insieme con l’altro con uno stocco, sì che amendue insieme
morirono.
Francesca da Rimini, figlia di Guido minore da Polenta, signore di Ravenna, andò
in sposa intorno al 1275 a Giovanni Malatesta, signore di Rimini, chiamato
Gianciotto perché "ciotto”, sciancato, uomo di valore ma brutto nella persona,
dal quale ebbe una figlia di nome Concordia.
Paolo,
cavaliere nobile, bello e cortese, fratello
minore di Giovanni, sposato con Orabile Beatrice di Ghiaggiuolo, con la quale
aveva due figli, s’innamorò della cognata, e Giovanni, messo in allarme da un
servitore, li colse in flagrante e li uccise.
I
particolari della tragedia,
accaduta tra il 1283 e il 1288, sono ignoti e confuse le notizie, perché nulla
di preciso riferiscono i cronisti del tempo; secondo alcuni il matrimonio fra
Francesca e Giovanni fu stipulato per sancire la pace tra i Polenta e i
Malatesta ma, da fonti storiche, risulta
che nella seconda metà del secolo XIII le relazioni tra le due famiglie fossero
ottime. Secondo altri, come sostenuto dal Boccaccio, spinto forse dalla fantasia di
narratore, Francesca fu ingannata
perché le fu indicato come sposo Paolo che, invece,
era
solo il procuratore di Giovanni.
L’amore
tra i due giovani, comunque, ci fu, ed ebbe il tragico epilogo così superbamente
immortalato nella Divina Commedia
da Dante, che, però, non accolse
la notizia inesatta dell'inganno, poiché Paolo era già sposato, ma, forse
per compiacere Guido da Polenta, nipote di Francesca, che lo ospitava a Ravenna,
idealizzò la storia e collocò le anime dei due amanti nel secondo cerchio
dell’Inferno, fra coloro che peccarono non per brutale sensualità, ma per una
violenta passione che non intaccò la nobiltà dei loro animi.
E’
Francesca a parlare a Dante, a narrargli di sé, della sua patria e, dopo
la rapida rievocazione del suo passato, arriva subito
all’evento fondamentale della sua vita, l 'Amore,
idealizzato come una divinità, secondo le concezioni della letteratura cortese, medievale, dello stilnovismo e dello stesso Dante.
Racconta di come Paolo s’innamorasse di lei ed ella di Paolo, mentre accanto
il compagno prima è silenzioso e poi piange, di come il sentimento fosse
inizialmente innocente e come si rivelò, Galeotto
fu il libro e chi lo scrisse, della loro caduta e
di come entrambi fossero uccisi in modo violento da
Giovanni.
Fu
così che tra lei e Paolo si
palesò l’amore: leggevano,
un giorno, per diletto, una storia d’amore,
la storia di Lancillotto del Lago, leggevano le pagine relative al
nascente sentimento tra Lancillotto
e Ginevra, moglie di re Artù, di quell’amore pure, celato a lungo, fino
ad essere svelato dal bacio dato dalla regina al cavaliere.
Tanti punti
della storia erano allusivi alla loro vicenda personale e, anche se gli occhi erano spinti a guardarsi, pervasi dal timore di
tradirsi si
evitavano. Avevano lottato finché solo un punto fu quel che ci vinse.
...Amor,
ch’al cor gentile ratto s’apprende…inizia così il dramma: l’amore, inizialmente
innocente, sgorgò rapidamente fra loro.
...Prese costui
della bella persona... amore
della mia bella persona prese costui, perché è l’amore che prende in quanto
l’atto non dipende, nel suo primo destarsi, dalla volontà dell’uomo, ma
scaturisce da una legge naturale.
...Che
mi fu tolta;e il modo ancor m’offende…che
fu violentemente separata dallo spirito e il modo in cui ciò avvenne ancora mi
danneggia, perché sono stata uccisa nella colpa, impedita a pentirmene.
...Amor, che a nullo amato amar perdona...Amore non perdona, non esonera
alcuno che sia amato dal riamare, chi è amato deve riamare; sentenza universale
in cui l’amore si afferma come
fatale, all’amore si deve rispondere con l’amore.
...Mi prese di costui piacer sì forte, che come vedi ancor non
m’abbandona…mi prese così
fortemente dell’amabilità di costui che, come vedi, ancora gli sono unita, e
in me non è venuto meno l’amore per lui.
...Amor condusse noi ad una morte... Amore, passando i limiti, divenne
peccaminoso e ci condusse a morte insieme.
...Caina attende chi vita ci spense... scenderà tra i traditori consanguinei chi ordì
l’agguato.
Il
poeta, pietoso verso gli sventurati amanti, e verso l’umana fragilità
in genere, si sente come vinto a se stesso, come se fosse per morire, perché le
forze e i sensi lo abbandonano.
Francesca, come Dante l’ha concepita, è viva e vera assai più che non ce la
possa dare la storia. Essa è la prima donna viva e vera apparsa sull’orizzonte
poetico dei tempi moderni…Gloria di Dante è stato d’averci mostrato intera la
passione, desiderio intenso e pieno di voluttà, ma innalzato a sentimento.
È
il De Sanctis ad esprimersi così su Francesca, non creatura idealizzata o
angelicata come Beatrice, ma donna vera, nobile e gentile, priva di qualità
volgari, presa da un ardente desiderio, avvinta dalla passione, nel cui animo
alberga un solo sentimento: l’amore, onnipotente e fatale, che
s’impadronisce di lei con tanta veemenza da non abbandonarla nemmeno dopo la
morte.
Dalla bocca di Francesca, che non è depravata dalla passione, ma conserva
inviolate la gentilezza, la nobiltà e la delicatezza dei sentimenti, sembra che
l’unica parola che possa uscire è amor, ripetuta
tre volte: amore che subito infiamma gli animi gentili, amore come destino,che
vuole che chi è amato non può a sua volta non riamare, e amore che conduce a
distruzione e che unisce per la vita e per la morte.
Amore per lei fu necessità di essere amata e per Paolo necessità di
cuore gentile, ma anche lotta implacabile fra desiderio e colpa, perché quell’amore fu peccato.
Nella rievocazione il tempo felice per Francesca è, certamente, quello nel quale lottava contro il sentimento
nascente, perché quando poi l’amore, come un seme inerte nel cuore suo e di Paolo,
comincia a germogliare e il sentimento colpevole si rivela con lo scambio del
bacio, è allora che il peccato non si cancella più, diviene l’Eternità.
(F. De Sanctis).
Da quel momento amore e morte si legano in
inscindibile binomio.
Attraverso
il personaggio di Francesca, fragile e gentile, che ha vissuto l'amore in modo
suggestivo e sognante, rivive tutto un mondo culturale e sentimentale: la pretesa di far coincidere l'amore
con la nobiltà di cuore e di trasformare la donna in un tramite verso Dio.
Francesca ha ceduto alle suggestioni di tale letteratura, abbandonandosi ad un
amore peccaminoso, teorizzandone la giustezza in nome di una presunta etica
cortese, ma Dante, che pure ha condiviso le dottrine neoplatoniche dell'amore
come via di perfezione, idoleggiando la donna, e conferendo nobiltà alla
passione amorosa,
ormai ne ha preso le distanze, e il distacco da quel mondo
avviene attraverso un modo fisico, la perdita di sé, e cade, come
corpo morto cade.
Francesca Santucci
Nella sezione
classici: "La Divina Commedia"