La caratteristica
più evidente del verismo italiano fu il suo frazionamento nel
regionalismo, che in letteratura ebbe illustri cantori come
Verga, Capuana e De Roberto per la Sicilia, Fucini per la
Toscana, Ciampoli per l’Abruzzo; Napoli, che fu una delle
capitali del verismo, poté gloriarsi dell’attivissima scrittrice
Matilde Serao, una delle prime donne giornaliste, che godette di
larga popolarità. Profondamente legata alla sua terra mosse,
appunto, dal verismo per sconfinare, variamente dispiegando la
sua scrittura, nella narrativa rosa e d’appendice.
Particolarmente nota agli albori del secolo scorso, sia per la
collaborazione a “Il Mattino” di Napoli, diretto dal marito
Edoardo Scarfoglio, sia per aver fondato, nel 1904, “Il Giorno”,
ai giorni nostri è quasi del tutto dimenticata dal pubblico,
trascurata o vilipesa dalla critica già ai suoi tempi.
Così rilevò Anna Banti:
le disgrazie della Serao somigliano molto a quelle di
Napoli, città decantata, adorata, detestata e infine ridotta a
canzonetta.1
Così Lidia Ravera nell’introduzione al libro “Il ventre di
Napoli”, sottolineando la minore considerazione di Matilde Serao
e delle scrittrici in generale:
Non è mai stata considerata una grande scrittrice, Matilde
Serao. Del resto: a quali donne, a quante è toccato l'alto
onore? L'Olimpo è maschio. E la letteratura ha da essere soffusa
di delicatezza, ellittica, astratta ed artistica, per essere
alta. Per essere buona deve tenere il segno dell'ambiguità,
muoversi nella metafora, evocare senza dire, rivelare senza
spiegare. Per trovare un posto a sedere nell'Olimpo è più
conveniente essere magnanimi e disperati sulle sorti dell'Essere
che parziali, rissosi e appassionati appresso a varie battaglie.
Il Letterato fine lambisce appena con occhio ad un tempo
distratto e valutativo il campo di battaglia. Fruga in ironia
fra la sua polvere, non partecipa, non si schiera. Vede e
commenta, se decide di guardare, se no, niente, rivolge su se
stesso, in solenne autodafé, il proprio augusto sguardo. Non
così la Serao. Anzi, tutto il contrario.2
Eppure Matilde Serao fu scrittrice valida, appassionata,
instancabile, curiosa, prolifica, impegnata nell’analisi della
realtà sociale e, insieme a Salvatore Di Giacomo, il padre della
letteratura napoletana, capace di offrire l’immagine più
concreta e viva della Napoli di fine Ottocento, descrivendo nei
suoi romanzi, con vivace realismo e colorita efficacia, la vita
del popolo partenopeo.
Nata il 26 febbraio del 1856 a Patrasso, in Grecia, da padre
napoletano in esilio e da madre greca, crebbe a Napoli, dove si
diplomò maestra elementare e lavorò per breve tempo ai telegrafi
di Stato.
Intrapresa l'attività letteraria e giornalistica, dinamica e di
vivace ingegno, non tardò molto ad affermarsi.
Il suo esordio letterario, con lo pseudonimo di Tuffolina, è
legato alla pubblicazione nel 1878 di “Opale”, una raccolta di
novelle, cui seguì, nel 1881, “Cuore infermo”, un romanzo
sentimentale; l’anno successivo si trasferì a Roma, dove
collaborò a diversi giornali e conobbe un famoso giornalista
dell’epoca, Edoardo Scarfoglio, che sposò nel 1885, e dal quale
ebbe quattro figli.
In fecondo sodalizio, la Serao ed il marito intrapresero molte
iniziative, come la fondazione, nel 1885, del giornale “Il
Corriere di Roma”; due anni dopo, a Napoli, diedero vita al
quotidiano “Il Corriere di Napoli“, che nel 1892 diventò “Il
Mattino”.
Ben presto, però, il matrimonio entrò in crisi, tuttavia la loro
collaborazione continuò ancora per qualche tempo, finché, nel
1903, la Serao abbandonò il giornale e fondò il quotidiano
rivale “II Giorno”, che guidò fino alla fine della sua vita.
Di mentalità aperta e lontana dai conservatorismi di certi suoi
colleghi intellettuali, attenta alle istanze sociali e culturali
del tempo, sensibile alle condizioni disagiate di vita delle
classi più povere, ma anche acuta osservatrice dei conflitti del
mondo intellettuale, fu pure partecipe della mondanità romana e
napoletana, entrando in contatto con i principali scrittori del
suo tempo, come Gabriele D’Annunzio, che le dedicò il suo
secondo romanzo, “Giovanni Episcopo”:
a voi, signora, a voi che ricercando il meglio date in
Italia l’esempio di una operosità così virile…3
Per quanto riguarda la sua scrittura, d’impronta realista e
verista, ma pure intrisa di suggestioni tardo romantiche e
decadenti, in attento ascolto dell’ambiente che ritraeva, non
sempre corretta, ma capace “d’infondere nelle opere sue il
calore”, come lei stessa riconosceva, con la descrizione minuta
del dettaglio, degli oggetti, si arricchì di sfumate analisi
psicologiche, ma anche di misticismo e spiritualismo,
soprattutto in seguito ad un viaggio compiuto in Palestina nel
1893 e, con gli anni, adeguandosi al gusto di un pubblico
piccolo-borghese, finì per divenire sempre più sentimentale e
vicina al romanzo d’appendice.
Intensa fu la sua attività, sia come giornalista che come
narratrice, e vasta la sua produzione; in tutto pubblicò
venticinque volumi di raccolte novellistiche, come “Dal vero”
(1879), “Leggende napoletane” (1881), “Piccole anime” (1883),
“Il romanzo della fanciulla” (1886), e sedici romanzi, come
“Fantasia” (1883), “II ventre di Napoli” (1884), “La conquista
di Roma” (1885) , “Telegrafi dello Stato” (1885), “Vita e
avventure di Riccardo Joanna” (1887), “Il paese di cuccagna”,
pubblicato a puntate nel 1890 sul giornale “Il Mattino”, “Suor
Giovanna della Croce” (1900), “Mors tua” (1926).
Grande fu la delusione di Matilde Serao quando, nel 1926, sfumò
il suo sogno di ricevere il premio Nobel, del quale fu
insignita, invece, l’illustre rivale: Grazia Deledda.
Già in declino il suo successo, si spense a Napoli il 24 luglio
del 1927.
Donna esuberante, cordiale, comunicativa, curiosa, giornalista
solerte, scrittrice prolifica, quasi disordinata, pressata
dall’urgenza d’esprimersi e denunciare, seppe ritrarre al vivo
le figure della piccola borghesia di Napoli, sullo sfondo
brulicante di una folla rumorosa e vivace, descrivendone il
colore locale, la realtà quotidiana in tutti i suoi aspetti,
anche minimi, nei riti, nelle superstizioni.
Profonda conoscitrice dell’animo femminile, indugiò spesso su
figure di singole donne, prediligendo le creature semplici, che
tratteggiò con mano delicata e cura amorosa, come nel brano
seguente, che descrive le ansie ed i timori di alcune giovani
studentesse alla vigilia di un esame.
Fingevano, chi la
tranquillità, chi la disinvoltura, chi un'indifferenza assoluta:
tutte fingevano, come meglio sapevano e potevano, per nascondere
la paura, l'inquietudine, la tristezza, la nervosità. Riunite in
due o tre gruppi, sedute a caso sui banchi in disordine, nella
sala del terzo corso, esse fingevano di ammirarsi
scambievolmente, una pel vestito nuovo, tagliato e cucito in
casa, l'altra pel cappellino nuovo che costava in tutto nove
lire e cinquanta, la terza per certa sciarpetta ricamata nei
piccoli, brevissimi intervalli di ozio; parlavano dei bagni di
mare... Sì, cercavano di avere l'aria disinvolta: ma sotto tutti
quei sorrisi il tormento trapelava, sotto quei discorsi di
vestiti, di bagni, di seratine, trapelava il pensiero
angoscioso, l'altro, quello per cui nessuna di loro aveva
dormito alla notte, quello per cui si erano affaticate otto mesi
e per cui negli ultimi mesi estivi, giugno e luglio, avevano
sgobbato dalla mattina alla sera sui libri, sui quaderni, sui
sunti, sulle formule; il pensiero profondo e dominante, per cui
in quel giorno, chiamate in scuola alle nove, si erano alzate
alle sei, erano uscite di casa alle sette, e dopo molti giri di
passeggiata erano tutte capitate lì, alle otto, un'ora prima.
Quello era il giorno dell'esame orale, pel diploma superiore. E
l'esame, l'esame era il pensiero pauroso, angoscioso, profondo e
dominante. Tanto che, non reggendo a lungo la finzione in quelle
anime giovanotte, involontariamente, non vergognandosi più,
nella comune inquietudine, ognuna si abbandonò alla propria.
Pallida e sgomenta Annina Casale, appoggiata ai vetri della
finestra, guardava nel cortile, senza vedere; e Caterina
Borrelli, la sua prepotente amica, per darle coraggio, la
sgridava.
«Sei una stupida ad aver paura. Non hai studiato tutto l'anno?
Di che ti spaventi? »
«Di tutto.»
«E tu fa' una cosa: pensa che gli esaminatori di là ne sanno
tottà meno di tè. Ci pensi? Cerca di convincertene e non avrai
più paura. Hai capito?»
«Sì: ma non lo penso.»
«Pensane un'altra: rimanderanno anche me. Faremo l'esame di
riparazione insieme, ci prepareremo insieme.»
«Ma che, ma che, vuoi che ti riprovino, tè, che sei così brava e
così ardita?»
«Ti giuro che mi riproveranno. Nanni', ho un cattivo
presentimento.»
Altrove, parlando a voce bassa, ognuna narrava il proprio
terrore speciale.
Poi, quando suonarono le nove, un silenzio si fece: la bidella
Rosa comparve sotto la porta, con una carta in mano e lesse i
primi quattro nomi.
(Da “Il romanzo della
fanciulla”, Garzanti, Milano)
L’opera ancora oggi
più significativa della Serao è, probabilmente, “Il ventre di
Napoli” (così intitolato ispirandosi ad una frase pronunciata dal
Depretis4, preoccupato per il dilagare dell’epidemia di colera a
Napoli nel 1884, ma forse anche ricordando “Il Ventre di Parigi”,
di E. Zola), atto di accusa contro la cattiva amministrazione
della città da parte del governo della Sinistra dell’epoca, libro
che raccoglie gli articoli, pubblicati nel 1884 sul “Capitan
Fracassa” di Roma, poi raccolti in volume nello stesso anno, di un
servizio giornalistico sulla situazione napoletana.
Bisogna sventrare Napoli: così aveva detto in Parlamento Depretis,
intendendo che, per risanare Napoli, bisognava abbattere le
abitazioni malsane e fatiscenti delle zone più interne della
città; in relazione a ciò la Serao produsse sei articoli (ai
quali, poi, ne aggiunse altri tre che, a distanza di vent’anni,
arricchirono la seconda edizione del libro, dopo la costruzione,
nell’ambito dell’opera di risanamento5 della città, del
“rettifilo”, il lungo stradone che, in realtà, non faceva altro
che nascondere il povero mondo pullulante di miseria e degrado dei
malsani quartieri napoletani), articoli polemici e di denuncia:
“Sventrare Napoli”, “Quello che guadagnano”, “Quello che
mangiano”, “Il lotto”, “L’usura” e “La pietà”.
Oltre al j’accuse contro il malgoverno (“Sventrare Napoli “), la
Serao descrisse, appunto, il ventre di Napoli, cioè i quartieri
disagiati (senz’aria, senza luce, senza igiene6) abitati dai
napoletani più poveri, attraverso i loro usi, le abitudini,
l’alimentazione, la religiosità, il gioco del lotto, l’usura, ma
anche esaltandone le qualità, come la laboriosità, la solidarietà,
la pietà (E i poveri che girano, sono aiutati alla meglio da
quella gente povera7).
Pagine tirate d’un fiato, descrizioni rapide, aneddoti narrati con
semplicità, calorosa eloquentissima perorazione a pro del popolo
napoletano, piena di quell’affetto materno del quale ella possiede
il segreto:8 come, giustamente, rilevò Benedetto Croce,
eccezionali furono in questi scritti la capacità di osservazione e
l’ abilità narrativa dell'autrice che, attraverso uno stile sobrio
ed essenziale, riuscì a conciliare la lucida analisi con la
passionalità che l’animava per l’adesione emotiva all’offesa
realtà napoletana, descrivendo, attenta anche alle più piccole
sfumature, le condizioni di vita della varia umanità che, come in
una corte dei miracoli, fra odori di pietanze tipiche preparate in
economia (commestibili che costano un soldo), suoni di strada,
rosari e avemarie, si contorceva in un’esistenza misera,
improvvisata, precaria, costretta in abitazioni minuscole e
fatiscenti, abitando anche nei sottoscala, tra vicoli stretti e
tortuosi come budella, mal selciati, in condizioni igieniche
pessime, arrangiandosi nei mestieri più disparati, guadagnando
mercedi scarsissime9, sperando di poter cambiare vita con un po’
di fortuna al gioco del lotto (il popolo napoletano rifà ogni
settimana il suo grande sogno di felicità), invocando l’aiuto
miracoloso per risolvere i malanni (vi è il piede di Sant’Anna che
si mette sul ventre delle partorienti, vi è l’olio che arde nella
lampada innanzi al corpo di San Giacomo della Marca…che fa guarire
i mali di testa10), umanità dolente ma che pure riusciva a
conservare bellezza e dignità.
La Serao non descrisse di Napoli l’oleografico paesaggio da
quadretto, ma soprattutto le avvilenti condizioni di degrado dei
ceti più poveri; attraverso la rappresentazione della miseria del
popolo partenopeo, ne intese denunciare i reali problemi,
reclamando a gran voce l'esigenza di rifare Napoli non solo dal
punto di vista urbanistico, ma anche dal punto di vista sociale,
favorendo norme igieniche migliori, costruendo abitazioni decenti,
diffondendo l’istruzione, operando affinché venisse debellato lo
sfruttamento dei lavoratori e fossero offerti posti di lavoro a
giuste condizioni, ben comprendendo che soltanto eliminando la
miseria e l’ignoranza, fonti di mali sociali, sarebbe stato
possibile garantire a tutti un vita più umana.
BISOGNA SVENTRARE
NAPOLI
Efficace la frase.
Voi non lo conoscevate, onorevole Depretis, il ventre di Napoli.
Avevate torto, perché voi siete il Governo e il Governo deve saper
tutto. Non sono fatte pel Governo, certamente, le descrizioncelle
colorite di cronisti con intenzioni letterarie, che parlano della
via Caracciolo, del mare glauco, del ciclo di cobalto,delle
signore incantevoli e dei vapori violetti del tramonto: tutta
questa rettorichetta a base di golfo e di colline fiorite, di cui
noi abbiamo già fatto e oggi continuiamo a fare ammenda onorevole,
inginocchiati umilmente innanzi alla patria che soffre; tutta
questa minuta e facile letteratura frammentaria, serve per quella
parte di pubblico che non vuole essere seccata per racconti di
miserie. Ma il Governo doveva sapere l'altra parte; il Governo a
cui arriva la statistica della mortalità e quella dei delitti; il
Governo a cui arrivano i rapporti dei prefetti, dei questori,
degli ispettori di polizia, dei delegati; il Governo a cui
arrivano i rapporti dei direttori delle carceri; il Governo che sa
tutto: quanta carne si consuma in un giorno e quanto vino si beve
in un anno, in un paese; quante femmine disgraziate, diciamo così,
vi esistano, e quanti ammoniti siano i loro amanti di cuore,
quanti mendichi non possano entrare nelle opere pie e quanti
vagabondi dormano in istrada, la notte; quanti nullatenenti e
quanti commercianti vi sieno; quanto renda il dazio consumo,
quanto la ventre di Napoli, se non lo conosce il Governo, chi lo
deve conoscere? E se non servono a dirvi tutto, a che sono buoni
tutti questi impiegati alti e bassi, a che questo immenso
ingranaggio burocratico che ci costa tanto? E, se voi non siete la
intelligenza suprema del paese che tutto conosce e a tutto
provvede, perché siete ministro?
(Matilde Serao, “Il
ventre di Napoli”)
Francesca Santucci
1) “L’occhio di
Napoli”, Milano, 1962.
2) Il “ventre di Napoli,” II Italiana, l’Unità, Cles, 1993.
3) G. D’Annunzio, “Giovanni Episcopo”, A Matilde Serao.
4) Agostino Depretis (1813-1887) fu deputato del parlamento
subalpino e capo dell'opposizione democratica, ma con la Sinistra
parlamentare, ebbe dal re l'ufficio di creare il nuovo Governo.
Durante il suo ministero ci fu la dissoluzione della Sinistra e
della Destra come partiti in opposizione, applicando la politica
del trasformismo.
5) In seguito alla grave epidemia di colera che si ebbe a Napoli
nel 1884, il sindaco Nicola Amore fece "sventrare" la città.
Allora si costituì la società del Risanamento che edificò
abitazioni più razionali, dove prima sorgevano fatiscenti tuguri.
6) op. cit.
7) op. cit.
8) B. Croce, “Letteratura della nuova Italia”, III, 1915.
9) op. cit.
10) op. cit.
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