Nota introduttiva
di Giuseppe Risica
Francesca Santucci è una donna di vasta
cultura, innamorata della Letteratura in ogni
sua forma e -in particolare- della Poesia.
Attenta e sensibile, non si limita a scrivere
-con approfondite dissertazioni- sul mondo
vastissimo delle altrui parole, ma lei stessa
è una pregevole e raffinata Poetessa. Questa
sua più recente pubblicazione ce ne da la
puntuale conferma. Sono onorato di avere
redatto la mia prefazione a "L'ultimo viaggio",
un libro di poesie d'amore che, senza dubbio,
si colloca tra i migliori esempi del genere.
Non è certo casuale, a mio
parere, il titolo voluto
da Francesca Santucci per questo prezioso
florilegio, frutto di un lavoro attento e
meticoloso. L’Autrice, infatti, lungi
dall’adagiarsi sulle tranquille e in qualche
modo rassicuranti secche dell’attesa (“La vana
attesa” era il titolo della sua precedente
silloge), abbandonata ai viluppi di una
staticità che troppo rassomiglierebbe alla
morte, sceglie convinta il tema del viaggio
per mari tempestosi, pur con tutta la
difficoltà e l’imprevedibilità che esso
comporta. La parola poesia viene dal greco “poiein”,
che significa fare, pertanto il poeta è colui
che fa, contraddistinguendosi proprio per
l’incessante dinamismo creativo, e Francesca
non poteva sottrarsi certo a questa sorta di
missione, tesa al movimento, vis essenziale
per realizzare il
proprio complesso progetto culturale-
esistenziale. E’ un percorso non facile il
suo, intrapreso lungo i sentieri della
quotidianità e, soprattutto, all’interno della
sua anima, in quei luoghi remoti dove il
sentimento pervade l’atmosfera col suo
inquieto respiro, ed echeggiano irregolari i
palpiti del cuore. Il cammino procede
incessante, pur tra necessarie pause, devolute
ad accogliere percezioni, in apparenza
puramente sensoriali, che vengono quindi
trasformate, dopo un processo d’elaborazione
introspettiva e d’integrazione, con le
cognizioni che lo studio e le esperienze hanno
edificato, in parole perfettamente in grado
di evocare emozioni assolutamente intense ed
originali. Come in un crogiuolo su una fiamma
inquieta, si avverte un continuo ribollire
d’impulsi e moti affettivi spesso
contrastanti, desiderio, nostalgia, passione,
malinconia, spiritualità, tristezza, speranza,
comunque caratterizzati, in particolare, da
una sorta di prevalente pessimismo quasi
universale, che, in effetti, è un’accettazione
consapevole del senso dell’umana vicenda,
segnata, fondamentalmente, dalla sofferenza
interiore, e votata ad un destino
che molto poco concede. L’Amore, resta
però l’obiettivo finale da centrare, la meta
definitiva da raggiungere, la ragione ultima e
più vera della presenza in questo mondo
difficile, la sola, probabilmente, per cui
valga la pena di vivere e lottare.
L’Autrice coinvolge in modo pieno e
convincente il lettore in una estrema
“commotio animis”con la sua spiccata
sensibilità, offrendo immagini d’incredibile
effetto e situazioni in cui è spontaneo
identificarsi. Il verseggiare è gradevolmente
moderno, anche se appaiono evidenti le
influenze di un classicismo mai greve, che
anzi impreziosisce l’ordito poetico,
aggiungendo note solenni alla consistente
musicalità di fondo, già molto ben coniugata
alla ricchezza dei contenuti. Ogni fonema,
attentamente selezionato, appare posizionato
al
posto giusto, senza sbavature che possano
anche solo minimamente inficiare, la perfetta
armonia del canto, il suo lirismo di pregevole
fattura. E’ cominciato tanto tempo fa questo
cammino di Francesca Santucci, in epoche assai
lontane, ha attraversato le terre dei miti e,
probabilmente, i regni intangibili del sogno,
o chissà, forse proviene da vite già
trascorse, ma è il viaggio dell’Amore e reca
in sé qualcosa di luminosamente definitivo,
una certezza: quella del non ritorno, ecco
perché è l’ultimo. Eppure, ne sono sicuro,
esso mai conoscerà la fine, poiché è segnato
dal sacro crisma dell’immortalità.