Luisa Sanfelice

(1764 - 1799)

Luisa Sanfelice in carcere,

 Gioacchino Toma, 1875
Olio su tela

E più, la reggia fu rallegrata perché nacque da Maria Clementina e da Francesco un principe erede al trono, cui si diede il nome dell'avolo, Ferdinando. La principessa, dopo il parto aspettando, come è costume della real casa, visita del re, preparò atto benigno che importa descrivere a parte a parte, a memoria e maraviglia dei secoli futuri. E' pietosa costumanza della famiglia dei re di Napoli, concedere, per la ventura di quei natali, a dimanda della principessa, tre grazie splendide e grandi; ma colci, per meglio accertare il successo e palesare l'ansietà del suo desiderio, strinse le tre grazie in una;: per la misera Sanfelice, la quale, giorni avanti sgravatasi di un bambino, stava tuttora in carcere aspettando che le tornassero le forze per tollerare il viaggio da Palermo a Napoli, dove la condanna di morte si eseguiva. Un foglio contenente la supplica di lei e le preghiere della principessa fu posto tra le fasce dell'Infante, così che il re lo vedesse; a diffatti quando egli andò a visitare la nuora, ed allegro e ridente tenea su le braccia il bambino, lodandone la beltà e la robustezza, vide il foglio e dimandò che fosse.  E' grazia, disse la nuora, che io chiedo; ed una sola grazia, non tre, tanto desidero di ottenerla dal cuore benigno di Vostra Maestà". Ed egli, sorridendo sempre: "Per chi pregate?"- " Per la misera Sanfelice..." e più diceva, ma la voce fu tronca dal piglio austero del re che, mirandola biecamente, depose, o quasi per furia gettò l'infante su le coltri materne, e, senza dir molto, uscì dalla stanza, né per molti giorni vi tornò. La severità di lui, la pietà disprezzata, il caso acerbo, trassero dagli occhi della principessa lagrime dolorose ed incaute. La preghiera fu ricordo al re, e la misera Sanfelice, mal sana, mandata in Napoli, ebbe il capo reciso dal carnefice nella piazza infame del Mercato, quando già, per il perdono del 30 di maggio, erano quei supplizi disusati, e innanzi al popolo, impietosito al tristo fato di bella giovine donna, chiara di angue e di sventure, solcata in viso dalla tristezza e dagli stenti, rea di amore o per amore, e solamente dell'aver serbata la città dagl'incendii e dalle stragi.
Questo il racconto, che sottolinea la pietà della principessa e la crudeltà del re, dello storico napoletano suo contemporaneo Pietro Colletta,  nel  libro
"Storia del reame di Napoli", dell'infelice fine della seconda vittima femminile illustre (la prima  fu Eleonora De Fonseca Pimentel) che salì al patibolo,  travolta dai tumultuosi eventi della rivoluzione partenopea del 1799: Luisa Sanfelice.
Nata a Napoli nel 1764, Luisa Fortunata De Molina a soli 17 anni sposò suo cugino Andrea Sanfelice, della nobile famiglia dei duchi di Bagnoli, di Acquavella, di Lauriano e di Agropoli (come apprendiamo dai Giornali del Marinelli e da La Rivoluzione napoletana del 1799 di Benedetto Croce), con il quale ebbe tre figli.
Luisa Sanfelice brillava, però, nelle relazioni mondane (ma anche suo marito conduceva vita non troppo regolare), per le avventure amorose, tanto da dover "essere relegata in monasteri lontani" (B. Croce), di certo non come la De Fonseca Pimentel per meriti intellettuali, e la sua sfortuna fu che, durante la Repubblica del '99, tramite un suo corteggiatore, venne a sapere della congiura di Baccher.
Gerardo Baccher era uno svizzero  filoborbonico che,  insieme ai suoi fratelli, faceva parte di un nucleo di reazionari; aveva concordato, con i capitani delle navi borboniche ed inglesi, che a Napoli, durante un giorno di festa, da una nave sarebbe stata lanciata una bomba sulla città, con lo scopo  di creare disordini per catturare ed uccidere i repubblicani.
Gerardo, fratello del capo dei congiurati,  era innamorato di Luisa e, temendo che potesse accaderle qualcosa, per proteggerla le consegnò un biglietto di riconoscimento (che, però, fu la sua condanna a morte) che le avrebbe salvato la vita se fossero ritornati i monarchici, un salvacondotto che le garantiva l'incolumità,  ma lei, in uno slancio d'amore, lo donò all'uomo al quale allora era legata, il giovane Ferri , repubblicano, che si premurò di rivelare al governo la congiura che era in atto.
E così i Baccher vennero imprigionati e successivamente fucilati; lei, interrogata, dovette raccontare tutto, anche molti particolari  della sua vita amorosa.
Sconfitta la Repubblica, i parenti dei Baccher chiesero vendetta contro i ribelli; iniziò, così, anche il processo a Luisa Sanfelice, che fu arrestata e condannata a morte per alto tradimento verso i Borboni.
Disperata, allora, la donna, per guadagnare tempo, sperando in una revisione del processo,  pensò di dichiararsi incinta, dal momento che, secondo l'antica legge emanata da Federico II, una condannata a morte incinta potere avere l'esecuzione della pena  posticipata  a quaranta giorni dopo il parto.
Su richiesta del padre dei fratelli Baccher, già giustiziati, per ordine del re fu mandata a Palermo, perché la visitassero medici di fiducia, ma l'inganno fu svelato (secondo una tesi, accolte anche dal Colletta, poi rivelatasi errata, invece la donna avrebbe effettivamente dato alla luce una bambina) e le fu riconfermata la condanna a morte.
Per lei si mosse la principessa Clementina che, come raccontato dal Colletta, chiese  la grazia al re,  pare che anche la regina Carolina ad un certo punto perorasse la sua causa, ma fu tutto inutile.
R
iportata a Napoli, Luisa Sanfelice fu giustiziata in piazza Mercato: era l'11 settembre del 1800.
La sua salma fu tumulata nella chiesa di Santa Maria del Carmine.
Tremendi furono i suoi ultimi istanti di vita! Il boia, per sbaglio, lacerò anzi tempo la corda,  e la scure, cadendo, le si conficcò in una spalla; allora, dal suo povero corpo agonizzante nel sangue, la testa dovette essere staccata con un coltello.

 

Francesca Santucci