Francesca Da Rimini

1260?- 1283/1285?

 

Presunto ritratto di Francesca in un affresco

di scuola riminese del Trecento,

 nella chiesa di S. Maria in Porto Fuori,

ora distrutta,  a Ravenna.

(estratto da "Virgo virago")

 

Siamo stati una vita, e degna cosa

è che noi siamo una morte…

 

(Gabriele D’Annunzio, Francesca da Rimini, atto V)

 

La prima donna viva e vera

apparsa sull’orizzonte poetico

 de’ tempi moderni.

(F. de Sanctis)

 

Sulla realtà storica della vicenda d’amore e morte di Francesca, o Franceschina, nata a Ravenna,  figlia di Guido da Polenta il Vecchio, signore di Ravenna, e di Paolo e Giovanni, figli di Malatesta da Verucchio e di Concordia, abbiamo da un lato le fonti documentarie, dall’altro le fonti letterarie, che tramandano la tragedia familiare con eccessivi particolari, che ne rendono sospetta la versione.
Alcune carte d’archivio testimoniano l’indubbia esistenza storica di Giovanni, nato, forse, nel 1245, sciancato dalla nascita, “Johannes Zoctus”, Giovanni ciotto, zoppo, o “Gian giotto”, ma valente uomo d’arme e di governo, marito di Francesca (risposato con la faentina Zambrasina di Tebaldello degli Zambrasi),  e Paolo, Paolotto, Pauloccio, “Paulotius”, detto il Bello, uomo molto bello nel corpo e molto costumato…acconcio più a riposo che a travaglio, nato intorno al 1246, Capitano del Popolo, conservatore della pace,  a Firenze  nel 1282 (e probabilmente qui Dante Alighieri ebbe occasione di conoscerlo), sposato ad Orabile Beatrice di Ghiaggiolo, dei quali, comunque, si hanno scarse notizie, che non citano, però, né l’adulterio né il duplice omicidio. Se degli uomini della tragica vicenda  si hanno scarse notizie, meno ancora sappiamo della vita di Francesca da Rimini (in provincia di Forlì), moglie di Giovanni Malatesta, amante di suo fratello Paolo, la protagonista del dramma passionale immortalato da poeti, scrittori, pittori e musicisti nelle diverse epoche.
Si ignora il nome della madre, si ignora la data di nascita (forse, nacque intorno al 1260), ed è da Dante, che fu il primo fra i contemporanei a scrivere della tragedia (idealizzandola, forse, come pensò il Foscolo, per compiacere Guido da Polenta, nipote di Francesca e suo ospite a Ravenna) che ne apprendiamo il nome e, per perifrasi,  il luogo di nascita: Ravenna.

 

Siede la terra dove nata fui

Su la marina dove ‘l Po discende

Per aver pace co’ seguaci sui.

Inferno, V, 98-99

 

Ebbe una sorella più giovane, Samaritana, e, tra legittimi e bastardi, 8 fratelli.
Da testimonianze di poco posteriori alla sua morte sappiamo che era bellissima nell’aspetto, di animo altero, che, com’era consuetudine per le fanciulle nel Medioevo, trascorse la fanciullezza nel silenzio, poco avvezza ai divertimenti, molto dedita alle pratiche religiose.
Sempre secondo le usanze del tempo, con matrimonio combinato, andò sposa presto (forse nel 1275, quando aveva quindici o sedici anni) a Giovanni (Gianciotto) Malatesta, al quale diede sicuramente due figli: una femmina, Concordia, ed  un maschio, Francesco, morto in tenera età.
Per quanto riguarda la sua relazione adulterina (e, per la mentalità del tempo, pure incestuosa, poiché un cognato era considerato un fratello) con Paolo, non c’è nessun documento, non una sola carta d’archivio che la menzioni, né direttamente né velatamente,  e nemmeno è citata l’uccisione da parte di Giovanni, ma si sa che il marito si risposò non più tardi del 1286, dunque si può desumere che la morte di Francesca sia avvenuta fra il 1283 e il 1285, quando aveva tra i 23 e i 26 anni.
I documenti del tempo, probabilmente per il silenzio imposte dalle potenti famiglie,  non parlano della sua vicenda passionale, e l’unico narratore sincrono è Dante.
Tre in tutto sono le parole che, in data prossima all’evento tragico, riportano la morte di Francesca, e si leggono, trent’anni dopo la sua scomparsa,  nel testamento dettato dal suocero in Rimini il 18 febbraio  1311: olim domina Francischa.
La principale fonte letteraria dell’accaduto è Dante che, all’epoca dei fatti, doveva avere all’incirca vent’anni, dal quale apprendiamo, oltre al nome e alla località  di nascita di Francesca, che era cognata dell’altra anima inquieta, Paolo, che i due erano stati amanti, non platonici (perciò assegnati al girone dei lussuriosi) e che ad ucciderli era stato un congiunto ancora in vita (il viaggio dantesco si compie nel 1300, Gianciotto effettivamente morì nel 1304).
Molto informato sulla storia dimostrò essere Giovanni Boccaccio che, nel suo commento pubblico alla “Commedia”, dettato fra il 1373 e il 1375, narrò che Francesca fu perfidamente ingannata, perché le fu fatto credere che lo sposo sarebbe stato Paolo e non Gianciotto, ed infatti fu Paolo a condurla all’altare, ma per sposarla per procura, e che solo all’indomani della prima notte di nozze si sarebbe accorta d’aver, invece,  preso come marito lo storpio Gianciotto. Ma si tratta di un’invenzione, è difficile credere che Francesca non conoscesse Paolo (il bello) e Gianciotto (lo storpio), dal momento che le due famiglie, entrambe guelfe, erano ben in contatto fra loro, che potesse non accorgersi dell’inganno (che Dante avrebbe anche potuto citare per sminuire la colpa di Francesca), dello scambio del marito, e pure risulta macchinosa la dinamica dell’omicidio raccontata dallo scrittore, e cioè che fu un servo ad informare della relazione Gianciotto,  che costui scoprì moglie e fratello in flagrante adulterio, che il mantello di Paolo s’impigliò ad un chiodo, che per errore Gianciotto uccise Francesca e che, spinto dall’ira e dalla disperazione, uccise Paolo.
E poi il Boccaccio, oltre che per il fatto di essere fonte tarda, e per l’esuberanza di elementi chiaramente romanzeschi, probabilmente dovuta all’inventiva di scrittore,  non risulta affidabile perché erronei sono i dati storici, le famiglie dei Malatesta e dei da Polenta sono dette nemiche quando, invece, entrambe guelfe, erano allora in pace, anzi alleate.
Dati certi del drammatico accadimento restano l’identità dei protagonisti, l’adulterio dei “cognati”, l’uccisione di entrambi da parte del marito tradito.
Comunque, anche nei secoli successivi, fu accreditata la versione del Boccaccio, dell’uccisione in flagranza di reato, tramandando Francesca come provocatrice e peccatrice, Gianciotto come marito modello ed esempio di rassegnazione e sopportazione, fino alla scoperta del tradimento che gli armò la mano.
Nel 1324 nel suo commento in latino, Graziolo Bambagliuoli  e, successivamente Jacopo Alighieri, figlio di Dante, si limitarono a dire che:

 i due giovani furono a tal punto attratti l’uno dall’altra, che Giovanni uccise madonna Francesca, sua moglie, e Paolo, suo fratello, avendoli sorpresi insieme.

Jacopo della Lana annotò:

Or questa istoria si fu che Jhoanni Ciotto, figliuolo di Messer Malatesta d’Arimino, avea una sua mogliera [di]  nome Francesca et figliuola di messer Guido da Polenta da Ravenna, la quale Francesca giacea con Polo, fratello di suo marito, ch’era suo cognato. Correptane più volte del suo marito, non se ne casticava. Infine trovolli in sul peccato, prese una spada et conficcolli insieme in tal modo che abbracciati ad uno morirono.

L’anonimo riminese del secolo XIV accennò:

Accadde caso così facto che el dicto Gianne Sciancato trovò Paulo so’ fradello cum la donna sua et habelo morto subito lui et la donna.

Nella “Marcha”, di Marco Battagli, in latino, stesa fra il 1350 e il 1355, così recita il passo tradotto:

Paolo fu ucciso da suo fratello a causa della lussuria commessa con Francesca, figlia di Guido da Polenta, moglie del fratello di Paolo, insieme alla quale Paolo stesso trovò la morte.

E nella  “Cronaca Malatestiana” del sec. XIV, che va dal 1295 al 1385, si legge:

Accadde caso così facto, ch’el ditto Zanne sancado suo fratello trovò Paulo so fratello con la donna sua età belo morto subito, lui e la donna sua.

Testimonianza tardissima, della seconda metà del XV secolo, è quella del cronista riminese Baldo Branchi, che scrisse:

In questo mezzo occorse ne la casa de’ Malatesti uno strano caso, che avendo el prefato messer Malatesta dato per moglie già più tempo fa una gentil donna da Ravenna chiamata Francesca al prefatoGianciotto, la quale era bellissima, et come se passasse volse dire per alcuni che lei et Paulo Bello usavano insieme, et trovandoli il detto Gianciotto suso el fatto, gli ammazzò tutti duoi.

Nel ‘500 Vincenzo Carrari, nella sua “Istoria della Romagna”,  annotò:

Paolo et essa s’innamorarono sì fattamente insiem nel legger un lascivo libro di Cavalieri erranti dalla Tavola Ritonda, che consumarono il loro amore, sicchè più volte si diedero trastullo, finchè ritrovati dormir, et abbracciati insieme con uno istesso ferro dal detto Giovanni furono ammazzati.

E nel 1848 l’anonimo commentatore in volgare edito dal Vernon, a proposito di Paolo e Francesca ribadì:

 ispesso usavano carnalmente l’amore loro, onde di questo s’accorse Anciotto, e esso di queste cose fece più volte riprendere Paulo suo fratello. ..Anciotto…gli trovò ambedue congiunti insieme. Allora esso Anciotto collo spuntone suo gli conficcò in quello medesimo luogo, sì e in tal modo che subito moriro.

Non è certo nemmeno il luogo dove sia stata consumata la tragedia, forse la rocca di Gradara, o in una delle case dei Malatesta a Rimini, distrutte per costruire il castello Sigismondo che vediamo oggi, e nemmeno Dante ne fa menzione; Boccaccio dice chiaramente che il duplice assassinio avvenne a Rimino, nella camera di madonna Francesca, ed anche altri commentatori successivi non ebbero dubbi che fosse accaduto nella camera da letto e a Rimini, in una delle case dei Malatesta, ma di volta in volta, ipotesi più o meno suffragate, sono state, poi indicate varie località, romagnole o marchigiane, come Rimini, Pesaro, Gradara, Santarcangelo, Verucchio, Cattolica, Meldola, Giaggiolo, Belluria,  tutto, però, porta a credere che sia la relazione clandestina che l’uccisione si siano verificate a Rimini, nella prima dimora dei Malatesta, tra il 1283 e il 1285: Giovanni doveva avere più di 40 anni, Paolo fra i 37 e i 39, Francesca fra i 23 e i 25, Dante vent’anni o poco meno.
Francesca lasciò una bambina, Concordia, che fantasia popolare volle ritirata nel convento delle Clarisse di Santarcangelo, da lei stessa istituito, e dove condusse vita ascetica. Sulla facciata di una casa di Santarcangelo di Romagna una piccola lapide in ceramica oggi la ricorda, con un sorriso di lacrime.
Oscura o meno la vicenda, incerte le date, confusi gli avvenimenti, molteplici e varie le interpretazioni, resta a brillare la Francesca immortale consegnata ai posteri da Dante, la creatura poetica che, avvinta al suo Paolo, trascinata per l’eternità dalla bufera infernal che travolge per l’eternità le anime dei lussuriosi, unita a lui dall’amore anche dopo la morte, simbolo privilegiato dell’amore romantico, che conserva gentilezza d’animo anche nella follia della passione:

Francesca è donna e non altro che donna, ed è una compiuta persona poetica, di una chiarezza omerica. Non ha Francesca alcuna qualità volgare o malvagia, come odio, o rancore, o dispetto. e neppure alcuna speciale qualità buona; sembra che nel suo animo non possa farsi adito altro sentimento che l'amore. « Amore, Amore, Amore ! ». Qui è la sua felicità e qui è la sua miseria…. La prima donna viva e vera apparsa sull’orizzonte poetico de’ tempi moderni. (F. de Sanctis)

Sull’onda del culto dantesco  enorme fu la fortuna letteraria ed iconografica di questa coppia di amanti, immortalata soprattutto nell’Ottocento romantico, ma con isolati casi di fortuna anche nel Trecento e nel Novecento.
Silvio Pellico, con la “Francesca da Rimini” del 1818, ne ricostruì la vicenda umana, ma fiaccamente, sia nella rappresentazione dei personaggi, sia nello stile, di tutt’altra tempra, invece la fascinosa versione della tragedia, rappresentata nel 1901, proposta da Gabriele D’Annunzio, fra inquietudine,  sensualità, lussuria e ferocia delle armi, che ebbe favori controversi fin dalla sua prima rappresentazione (ritenuta teatralmente inferiore a quella del Pellico), accusata di essere opera ibrida, con poco in comune con la tragedia storica, impregnata di vacuo estetismo e di pre-raffaellitismo di maniera, ma dall’indubbio merito d’ aver ambientato la storia d’amore e morte perfettamente nel Medioevo (secolo al quale appartenne, dove imperversavano violenza, inganno, crudeltà e ferocia, rappresentati dall’emblematico personaggio del Malatestino),  e di essere intrisa della straordinaria  ricchezza verbale dell’autore , potentemente espressivo dei sentimenti straordinari fra Paolo e Francesca, del loro impossibile amore.
Diversi gli approcci pittorici al soggetto, molto amato soprattutto nell’Ottocento, incentrati prevalentemente sulla vicenda terrena e romanzesca, sull’amore proibito fra i due cognati (il momento della lettura, il bacio strappato, spiata o meno, dal marito, la flagranza del reato, l’uccisione degli amanti), ma non è mancato anche l’approccio ultraterreno, l’incontro delle due anime che tendono  alla fusione assoluta, simbolo d’amore mistico.

 

Jean AugusteDominique Ingres, Paolo e Francesca sorpresi da Gianciotto, 1819.

In “Paolo e Francesca sorpresi da Gianciotto”, del 1819, Jean AugusteDominique Ingres, pittore anche di dipinti di ambientazione storico-medievale, propose un momento topico della storia di Paolo e Francesca, la scena del bacio, evidenziando la pudicizia di Francesca e  sottolineando l’ardore amoroso di Paolo, inserendo, però, Gianciotto Malatesta che, in disparte, li osserva.

Ari Scheffer, Paolo e Francesca, 1835.


Ari Scheffer, nella tela del 1835, “Paolo e Francesca”,  incentrò l’attenzione sulle figure dolenti delle anime dei due amanti che, abbracciati, Francesca in più scoperta nudità di Paolo, volano spinti dal disìo sotto gli occhi di Dante e Virgilio.

Anselm Feuerbach,  Paolo e Francesca, (1863-1864).


Anselm Feuerbach, in “Paolo e Francesca” (1863-1864), interpretò il soggetto in chiave idilliaca, scegliendo di rappresentare un momento tranquillo della vicenda; nella sua tela  i due giovani sono immersi nella lettura del libro che favorirà la manifestazione del loro sentimento, il romanzo cavalleresco degli amori di Ginevra e Lancillotto.

 

   

 Gaetano Previati, Paolo e Francesca, 1887.

 

   

Gaetano Previati, artista che amò reinterpretare in chiave originale e anticonvenzionale anche i soggetti storici e letterari, affrontò il dramma (sul quale, poi, ritornò, nel 1909), offrendone una suggestiva interpretazione realistica e trasudante erotismo, secondo il gusto della Scapigliatura, ben diversa dalla chiave idilliaca o dolente, comunque rimandante al racconto dantesco,  offerta dai precedenti artisti, come, ad esempio,  Ingrès, Doré,  Scheffer,  Feuerbach. Nel suo superbo dipinto, fusione delle innovazioni stilistiche della scapigliatura e della pittura di storia lombarda,  abbandonò ogni elemento che potesse rimandare al canto dantesco per concentrare l’attenzione sul momento successivo al dramma: la scena è occupata dai due amanti ormai morti, riversi sul letto,  i loro corpi, trafitti dall’unica spada, simbolo indissolubile di amore e morte, che li unisce in un macabro amplesso,  sono immersi in un indistinto spazio buio, ove pare brillare, unica luce, quella che  proviene dal letto che accoglie i loro cadaveri.

Francesca Santucci

 leggi anche:

Paolo e Francesca

 

NOTE

1) anonimo autore della Divina Commedia, in N. Matteini, Francesca da Rimini, pag. 37.

 

 

 

 

FONTI

G. Dossena, Dante, 1995, Longanesi.

(curatore Claudio Poppi), Sventurati amanti, il mito di Paolo e Francesca nell’800, Mazzotta, 1994, Milano.

N. Matteini, Francesca da Rimini, Cappelli, 1965, Rocca San Casciano.

D’Annunzio, Tutto il teatro, Newton, 1995, Roma.

Alighieri, Inferno, Editori riuniti, Milano, 1980.

V. Capelli, La Divina Commedia. Percorsi e metafore, Jaca Book, Milano, 1994.

Episodi e personaggi della letteratura, Electa, I parte, l’Espresso, Mondadori, Pomezia (Roma), 2004.