Siamo stati una vita, e
degna cosa
è che noi siamo una
morte…
(Gabriele D’Annunzio,
Francesca da Rimini, atto V)
La prima donna viva e
vera
apparsa sull’orizzonte
poetico
de’ tempi moderni.
(F. de Sanctis)
Sulla realtà storica della
vicenda d’amore e morte di Francesca, o
Franceschina, nata a Ravenna, figlia di Guido da
Polenta il Vecchio, signore di Ravenna, e di Paolo e
Giovanni, figli di Malatesta da Verucchio e di
Concordia, abbiamo da un lato le fonti documentarie,
dall’altro le fonti letterarie, che tramandano la
tragedia familiare con eccessivi particolari, che ne
rendono sospetta la versione. Alcune carte d’archivio
testimoniano l’indubbia esistenza storica di
Giovanni, nato, forse, nel 1245, sciancato dalla
nascita, “Johannes Zoctus”, Giovanni ciotto, zoppo,
o “Gian giotto”, ma valente uomo d’arme e di
governo, marito di Francesca (risposato con la
faentina Zambrasina di Tebaldello degli Zambrasi),
e Paolo, Paolotto, Pauloccio, “Paulotius”, detto il
Bello, uomo molto bello nel corpo e molto
costumato…acconcio più a riposo che a travaglio,1
nato intorno al 1246, Capitano del Popolo,
conservatore della pace, a Firenze nel 1282 (e
probabilmente qui Dante Alighieri ebbe occasione di
conoscerlo), sposato ad Orabile Beatrice di
Ghiaggiolo, dei quali, comunque, si hanno scarse
notizie, che non citano, però, né l’adulterio né il
duplice omicidio. Se degli uomini della
tragica vicenda si hanno scarse notizie, meno
ancora sappiamo della vita di Francesca da Rimini
(in provincia di Forlì), moglie di Giovanni Malatesta, amante di suo fratello Paolo, la
protagonista del dramma passionale immortalato da
poeti, scrittori, pittori e musicisti nelle diverse
epoche. Si ignora il nome della
madre, si ignora la data di nascita (forse, nacque
intorno al 1260), ed è da Dante, che fu il primo fra
i contemporanei a scrivere della tragedia
(idealizzandola, forse, come pensò il Foscolo, per
compiacere Guido da Polenta, nipote di Francesca e
suo ospite a Ravenna) che ne apprendiamo il nome e,
per perifrasi, il luogo di nascita: Ravenna.
Siede la terra dove nata
fui
Su la marina dove ‘l Po
discende
Per aver pace co’
seguaci sui.
Inferno, V, 98-99
Ebbe una sorella più
giovane, Samaritana, e, tra legittimi e bastardi, 8
fratelli. Da testimonianze di poco
posteriori alla sua morte sappiamo che era
bellissima nell’aspetto, di animo altero, che,
com’era consuetudine per le fanciulle nel Medioevo,
trascorse la fanciullezza nel silenzio, poco avvezza
ai divertimenti, molto dedita alle pratiche
religiose. Sempre secondo le usanze
del tempo, con matrimonio combinato, andò sposa
presto (forse nel 1275, quando aveva quindici o
sedici anni) a Giovanni (Gianciotto) Malatesta, al
quale diede sicuramente due figli: una femmina,
Concordia, ed un maschio, Francesco, morto in
tenera età. Per quanto riguarda la sua
relazione adulterina (e, per la mentalità del tempo,
pure incestuosa, poiché un cognato era considerato
un fratello) con Paolo, non c’è nessun documento,
non una sola carta d’archivio che la menzioni, né
direttamente né velatamente, e nemmeno è citata
l’uccisione da parte di Giovanni, ma si sa che il
marito si risposò non più tardi del 1286, dunque si
può desumere che la morte di Francesca sia avvenuta
fra il 1283 e il 1285, quando aveva tra i 23 e i 26
anni. I documenti del tempo,
probabilmente per il silenzio imposte dalle potenti
famiglie, non parlano della sua vicenda passionale,
e l’unico narratore sincrono è Dante. Tre in tutto sono le parole
che, in data prossima all’evento tragico, riportano
la morte di Francesca, e si leggono, trent’anni dopo
la sua scomparsa, nel testamento dettato dal
suocero in Rimini il 18 febbraio 1311: olim
domina Francischa. La principale fonte
letteraria dell’accaduto è Dante che, all’epoca dei
fatti, doveva avere all’incirca vent’anni, dal quale
apprendiamo, oltre al nome e alla località di
nascita di Francesca, che era cognata dell’altra
anima inquieta, Paolo, che i due erano stati amanti,
non platonici (perciò assegnati al girone dei
lussuriosi) e che ad ucciderli era stato un
congiunto ancora in vita (il viaggio dantesco si
compie nel 1300, Gianciotto effettivamente morì nel
1304). Molto informato sulla
storia dimostrò essere Giovanni Boccaccio che, nel
suo commento pubblico alla “Commedia”, dettato fra
il 1373 e il 1375, narrò che Francesca fu
perfidamente ingannata, perché le fu fatto credere
che lo sposo sarebbe stato Paolo e non Gianciotto,
ed infatti fu Paolo a condurla all’altare, ma per
sposarla per procura, e che solo all’indomani della
prima notte di nozze si sarebbe accorta d’aver,
invece, preso come marito lo storpio Gianciotto. Ma
si tratta di un’invenzione, è difficile credere che
Francesca non conoscesse Paolo (il bello) e
Gianciotto (lo storpio), dal momento che le due
famiglie, entrambe guelfe, erano ben in contatto fra
loro, che potesse non accorgersi dell’inganno (che
Dante avrebbe anche potuto citare per sminuire la
colpa di Francesca), dello scambio del marito, e
pure risulta macchinosa la dinamica dell’omicidio
raccontata dallo scrittore, e cioè che fu un servo
ad informare della relazione Gianciotto, che costui
scoprì moglie e fratello in flagrante adulterio, che
il mantello di Paolo s’impigliò ad un chiodo, che
per errore Gianciotto uccise Francesca e che, spinto
dall’ira e dalla disperazione, uccise Paolo. E poi il Boccaccio, oltre
che per il fatto di essere fonte tarda, e per
l’esuberanza di elementi chiaramente romanzeschi,
probabilmente dovuta all’inventiva di scrittore,
non risulta affidabile perché erronei sono i dati
storici, le famiglie dei Malatesta e dei da Polenta
sono dette nemiche quando, invece, entrambe guelfe,
erano allora in pace, anzi alleate. Dati certi del drammatico
accadimento restano l’identità dei protagonisti,
l’adulterio dei “cognati”, l’uccisione di entrambi
da parte del marito tradito. Comunque, anche nei secoli
successivi, fu accreditata la versione del Boccaccio,
dell’uccisione in flagranza di reato, tramandando
Francesca come provocatrice e peccatrice, Gianciotto
come marito modello ed esempio di rassegnazione e
sopportazione, fino alla scoperta del tradimento che
gli armò la mano. Nel 1324 nel suo commento
in latino, Graziolo Bambagliuoli e, successivamente
Jacopo Alighieri, figlio di Dante, si limitarono a
dire che:
i due giovani furono a
tal punto attratti l’uno dall’altra, che Giovanni
uccise madonna Francesca, sua moglie, e Paolo, suo
fratello, avendoli sorpresi insieme.
Jacopo della Lana annotò:
Or questa istoria si fu
che Jhoanni Ciotto, figliuolo di Messer Malatesta d’Arimino,
avea una sua mogliera [di] nome Francesca et
figliuola di messer Guido da Polenta da Ravenna, la
quale Francesca giacea con Polo, fratello di suo
marito, ch’era suo cognato. Correptane più volte del
suo marito, non se ne casticava. Infine trovolli in
sul peccato, prese una spada et conficcolli insieme
in tal modo che abbracciati ad uno morirono.
L’anonimo riminese del
secolo XIV accennò:
Accadde caso così facto
che el dicto Gianne Sciancato trovò Paulo so’
fradello cum la donna sua et habelo morto subito lui
et la donna.
Nella “Marcha”, di Marco
Battagli, in latino, stesa fra il 1350
e il 1355, così recita il passo tradotto:
Paolo fu ucciso da suo
fratello a causa della lussuria commessa con
Francesca, figlia di Guido da Polenta, moglie del
fratello di Paolo, insieme alla quale Paolo stesso
trovò la morte.
E nella “Cronaca
Malatestiana” del sec. XIV, che va dal 1295 al 1385,
si legge:
Accadde caso così facto,
ch’el ditto Zanne sancado suo fratello trovò Paulo
so fratello con la donna sua età belo morto subito,
lui e la donna sua.
Testimonianza tardissima,
della seconda metà del XV secolo, è quella del
cronista riminese Baldo Branchi, che scrisse:
In questo mezzo occorse
ne la casa de’ Malatesti uno strano caso, che avendo
el prefato messer Malatesta dato per moglie già più
tempo fa una gentil donna da Ravenna chiamata
Francesca al prefatoGianciotto, la quale era
bellissima, et come se passasse volse dire per
alcuni che lei et Paulo Bello usavano insieme, et
trovandoli il detto Gianciotto suso el fatto, gli
ammazzò tutti duoi.
Nel ‘500 Vincenzo Carrari,
nella sua “Istoria della Romagna”, annotò:
… Paolo et essa
s’innamorarono sì fattamente insiem nel legger un
lascivo libro di Cavalieri erranti dalla Tavola
Ritonda, che consumarono il loro amore, sicchè più
volte si diedero trastullo, finchè ritrovati dormir,
et abbracciati insieme con uno istesso ferro dal
detto Giovanni furono ammazzati.
E nel 1848 l’anonimo
commentatore in volgare edito dal Vernon, a
proposito di Paolo e Francesca ribadì:
ispesso usavano
carnalmente l’amore loro, onde di questo s’accorse
Anciotto, e esso di queste cose fece più volte
riprendere Paulo suo fratello. ..Anciotto…gli trovò
ambedue congiunti insieme. Allora esso Anciotto
collo spuntone suo gli conficcò in quello medesimo
luogo, sì e in tal modo che subito moriro.
Non è certo nemmeno il
luogo dove sia stata consumata la tragedia, forse la
rocca di Gradara, o in una delle case dei Malatesta
a Rimini, distrutte per costruire il castello
Sigismondo che vediamo oggi, e nemmeno Dante ne fa
menzione; Boccaccio dice chiaramente che il duplice
assassinio avvenne a Rimino, nella camera
di madonna Francesca, ed anche altri
commentatori successivi non ebbero dubbi che fosse
accaduto nella camera da letto e a Rimini, in una
delle case dei Malatesta, ma di volta in volta,
ipotesi più o meno suffragate, sono state, poi
indicate varie località, romagnole o marchigiane,
come Rimini, Pesaro, Gradara, Santarcangelo,
Verucchio, Cattolica, Meldola, Giaggiolo, Belluria,
tutto, però, porta a credere che sia la relazione
clandestina che l’uccisione si siano verificate a
Rimini, nella prima dimora dei Malatesta, tra il
1283 e il 1285: Giovanni doveva avere più di 40
anni, Paolo fra i 37 e i 39, Francesca fra i 23 e i
25, Dante vent’anni o poco meno. Francesca lasciò una
bambina, Concordia, che fantasia popolare volle
ritirata nel convento delle Clarisse di
Santarcangelo, da lei stessa istituito, e dove
condusse vita ascetica. Sulla facciata di una casa
di Santarcangelo di Romagna una piccola lapide in
ceramica oggi la ricorda, con un sorriso di
lacrime. Oscura o meno la vicenda,
incerte le date, confusi gli avvenimenti, molteplici
e varie le interpretazioni, resta a brillare la
Francesca immortale consegnata ai posteri da Dante,
la creatura poetica che, avvinta al suo Paolo,
trascinata per l’eternità dalla bufera infernal
che travolge per l’eternità le anime dei lussuriosi,
unita a lui dall’amore anche dopo la morte, simbolo
privilegiato dell’amore romantico, che conserva
gentilezza d’animo anche nella follia della
passione:
Francesca è donna e non
altro che donna, ed è una compiuta persona poetica,
di una chiarezza omerica. Non ha Francesca alcuna
qualità volgare o malvagia, come odio, o rancore, o
dispetto. e neppure alcuna speciale qualità buona;
sembra che nel suo animo non possa farsi adito altro
sentimento che l'amore. « Amore, Amore, Amore ! ».
Qui è la sua felicità e qui è la sua miseria….
La prima donna viva e vera apparsa sull’orizzonte
poetico de’ tempi moderni. (F. de Sanctis)
Sull’onda del culto dantesco enorme fu la
fortuna letteraria ed iconografica di questa coppia
di amanti, immortalata soprattutto nell’Ottocento
romantico, ma con isolati casi di fortuna anche nel
Trecento e nel Novecento. Silvio Pellico, con la “Francesca da Rimini” del
1818, ne ricostruì la vicenda umana, ma fiaccamente,
sia nella rappresentazione dei personaggi, sia nello
stile, di tutt’altra tempra, invece la fascinosa
versione della tragedia, rappresentata nel 1901,
proposta da Gabriele D’Annunzio, fra inquietudine,
sensualità, lussuria e ferocia delle armi, che ebbe
favori controversi fin dalla sua prima
rappresentazione (ritenuta teatralmente inferiore a
quella del Pellico), accusata di essere opera
ibrida, con poco in comune con la tragedia storica,
impregnata di vacuo estetismo e di
pre-raffaellitismo di maniera, ma dall’indubbio
merito d’ aver ambientato la storia d’amore e morte
perfettamente nel Medioevo (secolo al quale
appartenne, dove imperversavano violenza, inganno,
crudeltà e ferocia, rappresentati dall’emblematico
personaggio del Malatestino), e di essere intrisa
della straordinaria ricchezza verbale dell’autore ,
potentemente espressivo dei sentimenti straordinari
fra Paolo e Francesca, del loro impossibile amore. Diversi gli approcci pittorici al soggetto, molto
amato soprattutto nell’Ottocento, incentrati
prevalentemente sulla vicenda terrena e romanzesca,
sull’amore proibito fra i due cognati (il momento
della lettura, il bacio strappato, spiata o meno,
dal marito, la flagranza del reato, l’uccisione
degli amanti), ma non è mancato anche l’approccio
ultraterreno, l’incontro delle due anime che
tendono alla fusione assoluta, simbolo d’amore
mistico.
Jean
AugusteDominique Ingres, Paolo e Francesca
sorpresi da Gianciotto, 1819.
In “Paolo e Francesca
sorpresi da Gianciotto”, del 1819, Jean
AugusteDominique Ingres, pittore anche di dipinti di
ambientazione storico-medievale, propose un momento
topico della storia di Paolo e Francesca, la scena
del bacio, evidenziando la pudicizia di Francesca e
sottolineando l’ardore amoroso di Paolo, inserendo,
però, Gianciotto Malatesta che, in disparte, li
osserva.
Ari Scheffer, Paolo e
Francesca, 1835.
Ari Scheffer, nella tela
del 1835, “Paolo e Francesca”, incentrò
l’attenzione sulle figure dolenti delle anime dei
due amanti che, abbracciati, Francesca in più
scoperta nudità di Paolo, volano spinti dal disìo
sotto gli occhi di Dante e Virgilio.
Anselm Feuerbach,
Paolo e Francesca,
(1863-1864).
Anselm Feuerbach, in “Paolo
e Francesca” (1863-1864), interpretò il soggetto in
chiave idilliaca, scegliendo di rappresentare un
momento tranquillo della vicenda; nella sua tela i
due giovani sono immersi nella lettura del libro che
favorirà la manifestazione del loro sentimento, il
romanzo cavalleresco degli amori di Ginevra e
Lancillotto.
Gaetano Previati,
Paolo e Francesca, 1887.
Gaetano Previati, artista che amò reinterpretare in
chiave originale e anticonvenzionale anche i
soggetti storici e letterari, affrontò il dramma
(sul quale, poi, ritornò, nel 1909), offrendone una
suggestiva interpretazione realistica e trasudante
erotismo, secondo il gusto della Scapigliatura, ben
diversa dalla chiave idilliaca o dolente, comunque
rimandante al racconto dantesco, offerta dai
precedenti artisti, come, ad esempio, Ingrès, Doré,
Scheffer, Feuerbach.
Nel suo superbo dipinto, fusione delle innovazioni
stilistiche della scapigliatura e della pittura di
storia lombarda, abbandonò ogni elemento che
potesse rimandare al canto dantesco per concentrare
l’attenzione sul momento successivo al dramma: la
scena è occupata dai due amanti ormai morti, riversi
sul letto, i loro corpi, trafitti dall’unica spada,
simbolo indissolubile di amore e morte, che li
unisce in un macabro amplesso, sono immersi in un
indistinto spazio buio, ove pare brillare, unica
luce, quella che proviene dal letto che accoglie i
loro cadaveri.
Francesca Santucci
leggi
anche:
Paolo e Francesca
NOTE
1)
anonimo autore della Divina Commedia, in N. Matteini,
Francesca da Rimini, pag. 37.
FONTI
G. Dossena, Dante, 1995, Longanesi.
(curatore Claudio Poppi),
Sventurati amanti, il mito di Paolo e Francesca
nell’800, Mazzotta, 1994, Milano.
N. Matteini, Francesca
da Rimini, Cappelli, 1965, Rocca San Casciano.
D’Annunzio, Tutto il
teatro, Newton, 1995, Roma.
Alighieri, Inferno, Editori
riuniti, Milano, 1980.
V. Capelli, La Divina
Commedia. Percorsi e metafore, Jaca Book, Milano,
1994.
Episodi e personaggi della
letteratura, Electa, I parte, l’Espresso, Mondadori,
Pomezia (Roma), 2004.
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