Sulle rive della Senna, alla periferia di Parigi,
c’è oggi un rudere, tutto ciò che resta del
monastero dell’Argenteuil, prestigiosa abbazia dove,
agli inizi del XII secolo, fu istruita (ma poi vi
ritornò tre anni dopo l’infelice esito della sua
vicenda ) una giovane parigina, che visse un amore
tragico per un uomo famoso, orgoglioso, superbo,
bello, il chierico Abelardo,1 al quale,
pur se divisa (solo la morte li riunì), separati dal
destino e spinti alla rinuncia, avendo
entrambi abbracciato la vita monastica, fu fedele
per tutta la vita: Eloisa. Ora riposano insieme al
cimitero di
Père-Lachaise;
le fronde ombrose vegliano
tranquille sui loro simulacri di marmo, ma
travagliate, dolorose assai furono le loro vicende
personali, soprattutto la loro storia d’amore, dalle
implicazioni filosofiche, teologiche e morali, con
toni foschi e drammatici come una tragedia
shakespeariana,
ruotante intorno a tre personaggi, lui, lei, lo zio
di lei, in luoghi di reclusione ma non privi di
fermenti, i conventi; Abelardo è fin troppo noto per
il drammatico accadimento, preme qui maggiormente parlare di
Eloisa, che per amor suo, e solo per amore, giurò
sottomissione ad Abelardo e prese il velo, ma
necessariamente il discorso condurrà anche al suo
sposo.
Quando Eloisa, nata nel 1100, forse a Parigi,
conobbe Abelardo, aveva 16 o 17 anni (lui ne aveva
trentacinque) e ne rimase innamorata fino a quando
morì, quasi sessantacinquenne.
Quei piaceri ai quali entrambi ci dedicammo
totalmente quando eravamo amanti, furono tanto dolci
per me che non posso dispiacermene, né essi possono
svanire dalla mia memoria, nemmeno un poco.
[…]Queste visioni non mi risparmiano nemmeno quando
dormo. Persino durante la solennità della messa,
quando la preghiera deve essere più pura, le
immagini oscene di quelle voluttà si impossessano
della mia infelicissima anima al punto che penso
più ai piaceri sensuali che alla preghiera.
Lettera IV 130-131
Uomo di successo, filosofo, teologo, dotato di
grande vivacità intellettuale, dalle idee
innovatrici e decisamente anticonformiste,
professore amato dagli allievi (prima e dopo la
tragedia) per la vastità di cultura e l’eloquenza,
pure audace, ambizioso, estremamente affascinante, e
consapevole di esserlo, Abelardo aveva tutte le
attrattive per sedurre una donna.
[…] Chi tra i re o i filosofi poté uguagliare la
tua fama? Quale regione, o città, o paese non ardeva
dal desiderio di vederti? Chi, ti chiedo, quando
camminavi tra la gente, non correva subito a
guardarti? E quando invece te ne andavi, chi non
cercava di seguirti con lo sguardo, tendendo il
collo e girando gli occhi? Quale sposa, quale
vergine, non ti desiderava con ardore se eri assente
e, se invece eri presente, non arrossiva? Quale
regina o nobile donna non invidiava le mie gioie e
il mio letto?
Lettera II 108
Ma anche Eloisa si faceva notare, e non soltanto a
Parigi, dove viveva, applicandosi agli studi con
sapienza, disinteressandosi delle mondanità e delle
frivolezze, ed in più, proprio come Abelardo, aveva
fascino, ed anche la sua fama rapidamente si diffuse
nel mondo della cultura,
Abelardo scrisse che in Eloisa si trovava tutto
quello che più seduce gli uomini;2
evidentemente alludeva all’aspetto fisico, sul quale
è possibile soltanto ipotizzare che fosse piacevole,
mancando fonti precise.
E’ noto che sia i resti di Abelardo che quelli di
Eloisa, prima di trovare definitivo riposo al famoso
cimitero di Père- Lachaise, furono riesumati diverse
volte, ma alcuni testimoni asserirono di aver
constatato che, a giudicare dallo scheletro, Eloisa
doveva essere stata di grande statura e di belle
proporzioni…la fronte bene incurvata e armonizzata
con le altre parti del viso, con una mascella
adornata di bianchissimi denti.3
Questi macabri resoconti fanno subito pensare,
mancando ritratti femminili dell’epoca, poiché
l’arte del ritratto si affermò solo fra il XIV e il
XV secolo, alle immagini di bellezza muliebre
offerti dalla letteratura del tempo, che sovrabbonda
di descrizioni di donne splendide ed armoniose, dai
serici capelli biondi, la carnagione lattea, gli
occhi brillanti, pertanto non è azzardato ipotizzare
che Eloisa fosse oggettivamente bella, ma era anche
colta, capace di tener testa agli uomini nei
ragionamenti e nella dialettica; lo stesso Abelardo
aggiunse:
Se per aspetto non era tra le ultime, per la
profonda conoscenza delle lettere era la prima; ella
godeva di grande prestigio perché è molto raro
trovare in una donna una simile conoscenza delle
discipline letterarie. Per questo il suo nome veniva
ripetuto in tutta la Francia.
Lettera I 51
Eloisa era la nipote del
canonico di Notre- Dame, Fulberto, presso il
quale viveva, perché, probabilmente orfana, com’era
consuetudine del tempo che fosse uno zio materno, o
i nonni, ad occuparsi dei nipoti in caso di
difficoltà (ma, secondo alcuni, sarebbe stata,
invece, figlia illegittima del canonico).
La sua fama di donna colta, il suo prestigio e la
sua bellezza, arrivarono ad Abelardo che, dotato
delle stesse qualità, cultura, prestigio e bellezza
fisica, certo che nessuna donna mai lo avrebbe
rifiutato, infiammato di passione, proprio lui che
fino a quel momento aveva vissuto in perfetta
castità, pensò di legarla a sé con un piano: riuscì
a farsi assumere come insegnante da Fulberto che,
inconsapevolmente, favorì il suo ardente desiderio,
affidandogli completamente, in totale
fiducia, la nipote come allieva, accordandogli anche
il permesso di batterla,a qualunque ora del giorno e
della notte, per costringerla allo studio, essendo,
appunto, famosa la castità di Abelardo (io che
fino ad allora avevo condotto una vita di
continenza).4
Cosa posso dire ancora? Prima ci ritrovammo uniti
nella stessa casa, poi nell’animo. Col pretesto
delle lezioni ci abbandonammo completamente
all’amore…
Lettera I-52
Inevitabilmente tra i due, di pari levatura,
entrambi letterati, colti, belli, scoppiò la
passione, ma da parte di Eloisa fu subito amore, da
parte di Abelardo, forse, dapprima concupiscenza,
desiderio sensuale, poi subentrò l’amore: nacque una
relazione (durata un solo anno) che, incoscienti
entrambi, non nascosero, ma anzi ostentarono,
mostrandosi spavaldamente in pubblico, Abelardo
componendo per lei anche canti d’amore ovunque, poi,
intonati dai suoi allievi.
Due doti, soprattutto, ti permettevano di sedurre
in breve tempo qualsiasi donna; la piacevolezza dei
tuoi versi e l’armonia delle tue canzoni, abilità
che, come sappiamo, gli altri filosofi non
possedevano. Quasi per gioco, per riposarti dalla
fatica degli studi filosofici, hai composto molte
poesie, e canzoni d’amore, poesie che, grazie alla
loro straordinaria dolcezza nella lirica e nel
canto, furono spesso cantate e mantennero
continuamente il mio nome sulle labbra di tutti.
Persino la gente semplice non poteva dimenticare le
tue melodie grazie alla loro dolcezza. Le donne
sospiravano d’amore per la bellezza delle tue
canzoni e, poiché la maggior parte di esse celebrava
il nostro amore, in breve tempo io divenni famosa in
molte regioni.
Lettera II 108
La relazione non restò segreta a lungo, perché:
O Dio, chi può per un anno o due coltivare un
amore senza manifestarlo?Amore non si può
nascondere! (Béroul, II romanzo di Tristano)
Fulberto li scoprì e li separò, ma quando Eloisa si
accorse di aspettare un figlio, con gioia lo
comunicò ad Abelardo che, paventando la reazione
dello zio, fattala travestire da monaca, la
condusse da sua sorella in Bretagna, dove
nacque Astrolabio.
Affidato il bambino alla sorella, fecero ritorno a
Parigi, e Abelardo chiese perdono a Fulberto e si
dichiarò disposto a sposare Eloisa (purché il
matrimonio fosse rimasto segreto), nonostante lei
rifiutasse il matrimonio e cercasse di dissuaderlo
con ragionamenti sottili, ritenendo per lui
inconciliabili filosofia e matrimonio.
Non ho mai cercato nulla in te, Dio lo sa, se non
te; desideravo semplicemente te, nulla di tuo. Non
volevo il vincolo del matrimonio, né una dote. Mi
sforzavo di soddisfare non la mia voluttà o la mia
volontà, ma le tue, come sai. E se il nome di moglie
sembra più santo e più importante, per me è sempre
stato più dolce quello di amica o, se non ti
scandalizzi, concubina e persino prostituta.
Lettera II 106
Ritornarono a Parigi e le nozze furono celebrate, ma
gli incontri divennero furtivi e rari, finché
Abelardo non ordinò ad Eloisa di prendere il velo
(pare per proteggerla dai rimproveri, e dalle
percosse, di Fulberto adirato per quel matrimonio
segreto che non riscattava pubblicamente il suo
onore e quello della nipote), inviandola
nell’abbazia in cui aveva studiato da bambina:
Argenteuil.
Allora Fulberto, credendo che Abelardo avesse voluto
prenderlo in giro, mirando, in realtà, solo a
sbarazzarsi di Eloisa, legittimamente adirato
contro chi gli aveva leso l’onore, decise di punirlo
con estrema crudeltà: lo fece sorprendere durante il
sonno da tre sicari (tra cui un servo di Abelardo)
e, secondo un uso non raro del tempo, evirare.
[…] mi punirono
infliggendomi una vendetta crudelissima e
vergognosissima […]amputarono la parte del
mio corpo con cui avevo commesso l’ingiuria che
offese i parenti di Eloisa.
Lettera I 62-63
L’indomani tutta Parigi seppe dell’atroce accaduto;
i sicari vennero arrestati, due subirono la
stessa punizione di Abelardo e furono anche
accecati, e a Fulberto, nonostante si proclamasse
estraneo all’accaduto, confiscarono i beni.
Da quel momento sia Abelardo che Eloisa si votarono
alla religione, ritirandosi in convento: lui nel
monastero di S. Dionigi, lei in quello di Argenteuil,
poi al Paracleto.
Per il resto della vita non si videro mai più, ma
continuarono a scriversi, scambiandosi lettere di
argomento filosofico, teologico, morale, ed anche
appassionate lettere d’amore. Abelardo morì nel 1142, Eloisa
nel 1164. Un giorno lui aveva espresso il desiderio
di riposare, da morto, al Paracleto; Eloisa ottenne
la spoglia mortale del suo sposo, ed ottenne anche
che fosse assolto da tutti i suoi peccati.
La leggenda narra che, quando
Eloisa lo raggiunse nella tomba, deposta accanto a
lui, su disposizioni che lei stessa aveva dato,
Abelardo aprì le braccia e le chiuse strette sul
corpo della sua sposa.
Così recita un passaggio dell’epitaffio sul loro
monumento funebre:
Aveva (Abelardo) sposato Eloisa che fu la prima
badessa. L’amore che aveva unito i loro spiriti e
che si conservò durante la loro lontananza
attraverso le lettere più teneri e più spirituali ha
riunito i loro corpi in questa tomba.
Leggendaria è loro storia d’amore, che forse ad
Abelardo diede più fama delle sue opere, ma è
importante sottolineare la singolarità della figura
di Eloisa, sicuramente la prima donna
“intellettuale”.
Testimonianza della sua statura intellettuale
(Eloisa compose anche i “Problemata”, opera di
carattere edificante, attribuitole senz’ombra di
dubbio, al contrario delle lettere ad
Abelardo, della cui autenticità sì è spesso dubitato
perché troppo profane), oltre che
della misura del sentimento che provò per il marito-
monaco fino alla morte, ci proviene
dall'autobiografia di Abelardo, “Historia
calamitatum mearum”, “La storia delle mie
disgrazie”, un’opera attraversata da varie
tematiche, certamente documento di cultura, ma anche
carteggio d’amore, in cui, pur occupando solo un
quinto dell’opera, ma sufficiente, evidentemente,
con la sua levatura, a dare tanto risalto alla
vicenda d’amore, Eloisa, rievocando la miserabile
storia della (nostra) conversione5,
impone con fierezza tutto il suo sentimento, con
argomentazioni estremamente dotte.
Nelle lettere, colte, ricche di citazioni,
stilisticamente raffinate, compendio dell’universo
culturale dell’epoca, Eloisa e Abelardo affermano,
però, due diverse concezioni dell’amore.
Abelardo, pur non rinnegando il tempo in cui il
sentimento per Eloisa fu sentimento e passione
carnale, esalta soprattutto l’amore fra gli esseri
umani; Eloisa, che gli ha fatto dono assoluto di sé per la
vita, invaghita dell’uomo e dell’ altezza
intellettuale dello studioso, rievoca il tempo
felice dell’amore e riafferma l’indissolubilità del
legame che li ha uniti, attraverso parole
appassionate, ma anche con ragionamenti sottili,
lasciando sempre trasparire il filo doloroso che ha
guidato la vita di Abelardo, con il trauma doloroso
subito, e la sua vita, costretta alla rinunzia e al
silenzio, abbracciando una vita monastica non per
vocazione.
Fu un tuo ordine, non la devozione religiosa, a
vincolarmi ancora adolescente alle durezze della
vita monastica.
Lettera II 110
Alla sua storia d’amore Eloisa guarda in due modi
diversi: inizialmente rievoca la gioia dei primi
momenti, delle ore d’amore, quando insieme, esaltati
dalla comunione intellettuale e dal clima di
popolarità e successo in cui maestro e allieva erano
immersi, spavaldamente sfidavano il mondo; in una
fase successiva mette in dubbio che Abelardo abbia
provato per lei amore, crede, piuttosto che da
parte sua ci sia stata solo trasporto dei sensi;
eppure Abelardo dichiara che per lei era “infiammato
d’amore”:
Infiammato dall’amore per questa fanciulla,
cercavo un’occasione per conoscerla…
Lettera I 51
Non può non colpire nella tragica vicenda anche il
terzo personaggio, Fulberto, giustamente risentito,
che cerca il matrimonio riparatore per l’onore
offeso, mentre Abelardo vuole il matrimonio per
tenere Eloisa legata a sé, ma lo vuole segreto, per
continuare a dedicarsi all’insegnamento.
Giganteggia, però, anche ai nostri giorni, Eloisa,
amante appassionata, che si oppone al matrimonio in nome dell’amore,
preferendo essere adultera o prostituta pur di non
nuocere al prestigio di Abelardo. E’ l’unica a non
essere spinta dall’egoismo, a “ragionare” solo in
nome dell’amore stesso, intendendolo come dono di sé,
bene dell’amato.
Per amore di Abelardo Eloisa diverrà monaca, ma non
smetterà mai di protestare contro la Sorte che così
brutalmente la colpì, scaraventandola dalle gioie
dell’amore al silenzio del convento.
Dio, se mi è permesso dirlo, come sei stato
sempre crudele con me! Oh clemenza inclemente!O
Sorte sfortunata che esaurì contro di me tutte le
sue frecce, al punto che non ne ebbe più per
infierire su altre vittime; svuotò contro di me
l'intera faretra cosi che ora la sua ostilità non
spaventa più nessuno. D'altra parte, se le restasse
ancora qualche freccia, non saprebbe più dove
ferirmi. La Sorte esitò soltanto di fronte alla
ferita mortale che porrebbe fine alla mia
sofferenza; essa non smette mai dì torturare, ma
teme proprio quella morte che sembra voler
infliggere.
Lettera IV 126-127
Infine Eloisa non parlò più
d’amore ad Abelardo (ho imposto il freno del tuo
ordine alle parole del mio illimitato dolore6),
comprese che per continuare ad essergli vicina, per
avere le sue parole per lei tanto preziose, doveva
piacere a Dio, così sarebbe piaciuta ancora una
volta al suo sposo, allora si chiuse nei suoi doveri
di badessa, gli chiese di sostenerla con la sua
scienza, offrendo una lezione sul monachesimo
femminile e regole per lei e per le sue sorelle,
convinta della necessità di creare regole
specifiche in considerazione della diversità del
sesso. Attinse, così,
conforto e ritornò anche alla sua antica vocazione:
gli studi.
Dammi almeno un
qualsiasi rimedio per il mio dolore […]Tutte noi,
ancelle di Cristo e in Cristo tue figlie, ora
rivolgiamo, supplici, alla tua bontà di padre due
richieste[…] che tu ci istruisca sugli inizi del
monachesimo femminile[…]che tu crei per noi una
regola, e che, dopo averla scritta, ce la invii.
Vorremmo che questa regola fosse adatta alle donne…
Lettera VI 163
Fra le donne del Medioevo Eloisa può apparire il
prototipo di colei che s’assoggetta al volere
dell’uomo, non esitando ad ubbidirgli, accettando
anche il convento, pur di compiacerlo, ma la sua
scelta non dipende dalla convinzione della
superiorità dell’uomo e, conseguentemente,
dell’inferiorità della donna, ma soltanto dal
riconoscimento della superiorità dell’amore, dinanzi
al quale necessariamente è spinta ad inchinarsi,
anche sacrificando se stessa.
Francesca Santucci
Note
1) Il chierico era il
letterato di allora.
2) Lettera I 51.
3) In Etienne Gilson,
Eloisa e Abelardo.
4) Lettera I-52, in Abelardo,
Lettere di Abelardo e Eloisa.
5) Lettera II 110.
6) Lettera VI 162.
Bibliografia essenziale
Régine Pernoud, Eloisa e Abelardo, Jaca Book,
Milano, 1982.
Etienne Gilson, Eloisa e Abelardo, Einaudi,
Torino, 1950.
Abelardo, Lettere di Abelardo e Eloisa,
Bur1996, Milano.
F. Bestini, F. Cardini, C. Leopardi, M.T. Fumagalli
Beonio Brocchieri-Medioevo al femminile,
Laterza, Roma- Bari, 1989.
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