Il gatto nero sapeva recidere con un'unghia il
fiato velenoso della serpe ma ne fu punto, e adesso
riposa sotto un cespo di ortensie e miagola ancora, ma
di aromi sopiti diversi dal temporale, lascia che il
vento furtivo lo stani, sa di dover rinascere pazienza
del grano e della neve, dell'estate e dell'inverno.
Spiando la messe sa che il tempo ha segrete
resurrezioni e che respira la terra come un ventre
affilato, tremendo, senza la vastità del mondo, ma con
i suoi stessi palpiti, ah di nero colore si specchia
la lontananza e ha labbra disfatte che si lasciano
ancora baciare.
E vi vedo, cani di pietra, miti e
furenti, sguardo limaccioso sulla nullità
dell'orizzonte e un punto che si fa sempre più
lontano, una luce che si consuma oltre le convalli e
il bivio per il Mercato verso terre dove il cartello
con su scritto "SI VENDONO PERCOCHE" non vuol dire più
niente perché solo in glosse remote cresce la
nostalgia per la cadenza deforme di questi sguardi che
salutano gratuiti lo sconosciuto, indugiano appena sul
fango dei calzari, lo interrogano ma con pietà, con
quella nobile malinconia da cui sorgeste, voi,
scolpiti in pietra, per vedermi ancora tornare per
vedermi ancora partire, finché la forza eiaculatrice
dei vostri occhi genererà destini...