Veronica Gambara

(1485-1550)

 

                         

OCCHI LUCENTI E BELLI

Occhi lucenti e belli,

com'esser può che in un medesmo istante

nascan da voi nove sì forme e tante?

Lieti, mesti, superbi, umili, alteri

vi mostrate in un punto, onde di speme

e di timor m'empiete,

e tanti effetti dolci, acerbi e fieri

nel core arso per voi vengono insieme

ad ognor che volete.

Or, poi che voi mia vita e morte sète,

occhi felici, occhi beati e cari,

siate sempre sereni, allegri e chiari. 

 

Poetessa fra le più note del Cinquecento italiano, Veronica Gàmbara, figlia del conte Gian Francesco e di Alda Pia dei principi di Carpi,  nacque a Pratalboino, vicino Brescia, nel 1485, in un'aristocratica famiglia, e ricevette una raffinata educazione umanistica, studiando il greco e il latino, la filosofia e la teologia.
Sposata a ventiquattro anni a  Gilberto X, signore di Correggio, lo amò e visse con lui un felice matrimonio fino al  1518, anno in cui divenne vedova.
Rimasta sola, Veronica dovette occuparsi sia della gestione degli affari di  famiglia, sia dello stato di Correggio, che resse con molta prudenza e saggezza per tutta la vita, subentrando autorevolmente al marito, riuscendo ad assicurare importanti cariche civili e militari ai due figli, Ippolito e Girolamo, e  persino a respingere attacchi nemici.
Donna di temperamento, energica ed abile, fu talvolta anche bizzarra; dopo la morte del marito vestì sempre di nero, obbligò al nero i suoi cortigiani e sulle porta dei suoi appartamenti privati fece incidere i versi dell'Eneide in cui Didone afferma la sua eterna fedeltà al compianto marito Sicheo:

Ille meos primus, qui me sibi iunxit, amores

abstulit, ille habeat secum, servetque sepulchro.

 

Colui che primo mi legò possiede il mio amore,

per sempre lo mantenga nella tomba.

Veronica riuscì a conciliare felicemente gli affari politici e l'attività letteraria,  intrattenendo corrispondenze con molti letterati ed uomini illustri dell'epoca, come il Bembo, il Bandello, l'Ariosto, l'Aretino, persino l'Imperatore Carlo V, che ebbe anche ospiti  alla sua corte, e, estimatrice del Petrarca,  producendosi, su moduli moderatamente  petrarchistici, in rime  leggiadri ed eleganti ispirate da sentimenti autentici e non da puro spirito imitativo del suo modello.
Veronica Gàmbara morì a Correggio nel 1550; le  sue Rime, comprendenti prevalentemente sonetti,  ma anche madrigali, stanze, ottave e una frottola, in cui spazia dai temi personali a quelli religiosi, con riflessioni sul tempo, sulla brevità della vita e sulle vanità umane, apparvero sparsamente  in diverse raccolte già nel 1554,  ma furono ordinate in volume per la prima volta solo nel 1579.
Nei primi componimenti, ispirati ad un infelice amore giovanile, già si palesava il suo talento poetico, riconosciuto anche da Pietro Bembo, modello letterario ma anche di vita morale, con il quale la Gàmbara ebbe uno stretto rapporto epistolare e personale e i cui canoni di equilibrio e compostezza  influenzarono il suo stile compositivo.
Impeccabili stilisticamente, sostenute da una solida base culturale, le Rime, che tanto piacquero a Giacomo Leopardi, soprattutto nei versi descrittivi di paesaggi idilliaci, sovente risultano fredde ed artificiose perché eccessivamente controllate, prive di quel calore che, invece, traspare nelle Lettere, in cui  la Gambàra si  rivela anche arguta e vivace.

 A L'ARDENTE DESIO CH' OGNOR M'ACCENDE

      A l'ardente desio, ch'ognor m'accende
Di seguir nel cammin, ch'al ciel conduce,
Sol voi mancava, o mia ferena luce,
Per discacciar la nebbia, che m'offende.

      Or poi che 'l vostro raggio in me risplende;
Per quella strada, ch'a ben far n'induce,
Vengo dietro di voi fidato duce:
Che 'l mio voler più oltra non si stende.

      Bassi pensieri in me non han più loco:
Ogni vil voglia è spenta, e sol d'onore,
E di rara virtù l'alma si pasce,

      Dolce mio caro ed onorato foco:
Poscia che dal gentil vostro calore
Eterna fama e vera gloria nasce.

 

Francesca Santucci