Poetessa della scuola dorica, contemporanea di
Anite, collocata dal tessalo
Antipatro tra "le nove più grandi poetesse della Grecia", Nosside nacque in
Magna Grecia, a Locri Epizefiria, presso la punta meridionale della Calabria,
"terra di Locri", come lei stessa canta, ed operò intorno al 300 a.C. L'età di Nosside, che ricaviamo da un suo epigramma, coincise col momento di maggiore
espansione dei Locresi che, sottomessi i Siculi e vittoriosi sui Bruzzi,
minacciavano la città e le sue colonie.
Scarse le notizie sul suo conto da lei
stessa fornite; sappiamo che era contemporanea del poeta siracusano Rintone, che
la nonna materna si chiamava Cloche e sua madre Teofile, che era
casta, votata alle Muse, che venerava la famiglia, amava tessere e frequentare i
Templi.
Nosside fu famosa soprattutto per i suoi epigrammi amorosi, dei quali a
noi resta un nucleo modesto, solo undici, tuttavia sufficienti a delineare la
sua personalità, definiti da Meleagro nella Ghirlanda, profumati giaggioli di Nosside, sulle cui tavole Amore stesso spalmò la cera, descrizioni di ritratti
femminili, brevi spunti elegiaci d’amore.
Biglietto di presentazione di Nosside è un finto epigramma funerario in cui,
lievemente in rivalità con la grande emula, Saffo, così scrive:
O straniero, se tu navighi a Mitilene dai bei cori per infiammarti al fiore
delle grazie di Saffo, dì’ che anch’io fui cara alle Muse, e che la terra di
Locri m’ha dato i natali. Sappi ch’ebbi nome Nosside, va'.
Creatura sensuale, dall’animo appassionato, attraverso un’immagine vivida e
realistica, in questi versi così esalta le dolcezze dell’amore: Nulla è più dolce di amore, ogni altro diletto viene dopo di
lui; dalla mia bocca io sputo anche il miele. Lo dice Nosside; e chi da Cipride non fu baciato
ignora quali rose siano i fiori di lei.
Nei suoi versi d’amore esaltò la potenza e l’assoluto dell’amore con una
sicurezza degna della grande Saffo, alla quale amava paragonarsi e alla quale è
stato spesso accostata da quei critici che hanno voluto, erroneamente, vedere in
lei similmente "un’etera", ma i suoi versi sono più freddi e manierati e non si
discostano dalla tradizione ellenistica, tuttavia è proprio come donna amorosa e
poetessa d’amore che Nosside ha voluto essere tramandata alla memoria dei
posteri.
La maggior parte dei suoi epigrammi sono rivolti a donne, quattro in particolare descrivono ritratti femminili colti nella grazia dei loro lineamenti
e nella loro spiritualità, e si chiudono con arguzia e vivacità, con un
linguaggio spregiudicato che sfiora il tono della commedia, tali da far supporre
che sia le amiche, sia la poetessa, fossero delle etere, ed è ciò che ha indotto
molti critici nell’errore; probabilmente, invece, il tono vivace dei
componimenti era dovuto solo ad un suo desiderio esplicito di gareggiare
poeticamente con Saffo o forse al brio caratteristico della Musa italiota,
e non a un presunto ambiente frequentato, anche perché, in molti altri epigrammi,
Nosside elogia la virtù, l’orgoglio di genitore ed anche le sue abitudini
familiari, come quella del tessere, che inducono a non dubitare dei suoi
principi morali.
Di Taumareta il volto questo dipinto contiene, l’alterigia
ha ritratto e l’amabilità dello sguardo soave.
Vedendola, anche la cagnolina domestica scodinzolerebbe
di guardar supponendo la padrona.
***
Artemide, che Delo proteggi e Ortigia amabile,
le frecce sante deponi in grembo alle grazie
e, bagnato il puro corpo nell’Inopo, nelle dimore giù discendi
per liberare Alcèti dalle doglie tremende.
***
Qui Melinna è ritratta: guardarle il volto soave
mi pare dolcemente turbarmi.
Come chiaramente alla madre somiglia la figlia:
com’è bello per un genitore
aver procreato figli a lui simili.!
In altri epigrammi la poetessa di Locri allude a fatti personali e a vicende
storiche: alla madre Teofila, insieme alla quale offre ad Era una veste di bisso, al poeta comico Rintone di Taranto, con fine giudizio da lei definito
piccolo usignolo delle Muse, agli scudi che i Locresi hanno strappato ai
Bruzzi in combattimento:
Era veneranda, che dal Lacinio balzando
spesso lo guardi dal cielo giù, odoroso
accetta questo mantello di bisso che, con la casta figlia
Nosside, tessé Teofile, nata da Cloche.
***
Se, pur sonoramente ridendo, davanti mi passi,
dì per me una buona parola: sono Rintone siracusano,
delle Muse piccolo usignolo, ma dei filiaciei canti
meritata edera colsi.
***
Gli scudi , che gli uomini Bruzzi gettarono
via dalle spalle codarde,
battuti in battaglia dagli agili Locresi,
di costoro a testimoniare oggi la virtù,
ora stanno nei templi degli dei, né rimpiangono
le braccia dei vili che li hanno abbandonati.
Nosside fu molto imitata, soprattutto nel suo secolo e, malgrado i suoi epigrammi tradiscano qualche imperfezione formale, com’era suo desiderio
meritano di essere elogiati e ricordati, soprattutto quelli in cui maggiormente
si espresse come poetessa d’amore.
Francesca Santucci
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