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…Mi portò a
casa un grosso fascicolo di carta bianca, che guardai sentendo il rossore
salirmi alla fronte. Fino a quel punto poteva giungere l’incoscienza? Ma
qualche giorno dopo, mentre il bambino era dalle mie sorelle nel tiepido
pomeriggio autunnale, io mi trovai colla penna sospesa in cima alla prima
pagina del quaderno. Oh dire, dire a qualcuno il mio dolore, la mia
miseria; dirlo a me stessa, anzi, solo a me stessa, in una forma nuova,
decisa, che mi rivelasse qualche angolo ancora oscuro del mio destino!
E scrissi, per un’ora, per due, non so. Le parole fluivano, gravi, quasi
solenni: si delineava il mio momento psicologico; chiedevo al dolore se
poteva divenire fecondo; affermavo di ascoltare strani fermenti del mio
intelletto come un presagio di una lontana fioritura… (da “Una
donna”, di Sibilla Aleramo)
***
Un flusso irrefrenabile di vita. E di volontà di resistenza continua,
continua… Intensa e densa di
avvenimenti fu la vita di Rina Faccio, in arte Sibilla Aleramo; nacque il
14 agosto del 1876 ad Alessandria, ma trascorse la fanciullezza a Milano e
l’adolescenza a Porto Civitanova Marche, un borgo marchigiano. Dai 12 ai
15 anni lavorò come contabile nella fabbrica del padre, un uomo
fortemente anticonformista al quale fu sempre molto legata, ma quando la
madre, soggetta a crisi depressive, tentò il suicidio, fu costretta a
sostituirla nel governo della casa e a gravarsi di ogni responsabilità
domestica, riuscendo sempre, però, a scrivere racconti e articoli
giornalistici. Nel 1892 fu violentata
da un impiegato della fabbrica paterna e costretta a sposarlo; dopo un
aborto, dall’unione col seduttore nacque il figlio Walter. Infelici furono gli anni
del suo matrimonio, continuamente vessata dal marito che la sospettava di
tradimento, finché nel 1896 tentò il suicidio. Ripresasi, nonostante le
oppressioni del coniuge, intensificò l’attività letteraria, scrivendo
articoli di costume, sociologici ed inerenti la questione femminile, ed
iniziando la stesura del suo primo romanzo, l’autobiografia “Una
donna”, testimonianza esemplare della condizione femminile, uno dei primi libri femministi apparsi in Italia, che uscì
nel 1906 e riscosse subito un grande successo, al quale poi seguirono
altre opere in prosa come “Il passaggio”, “Andando e
stando”, “Amo, dunque sono”, “Il frustino”,
“Gioie d’occasione”, “Orsa minore”, “Dal mio
diario”, “Il mondo è adolescente”, “Gioie
d’occasioni e altre ancora”, e raccolte di liriche come “Momenti”,
“Poesie”, “Sì alla Terra”, “Selva d’amore”,
“Aiutatemi a dire”, “Luci della mia sera”. Nel 1902 abbandonò il
marito ed il figlio (che rivide solo dopo trent’anni, nonostante avesse
a lungo lottato per ottenerne la custodia) e si trasferì a Roma,
avviando, così, la ricostruzione della sua vita, dedicandosi
appassionatamente ad un’intensa produzione letteraria, in poesia ed in
prosa, alle “Scuole dell’Agro Romano” per gli analfabeti, fondate
insieme a Giovanni Cena, e approdando all’antifascismo e al comunismo. Bella, intelligente,
libera da schemi e pregiudizi, desiderata dagli uomini, Sibilla Aleramo
ebbe molte e intense storie d’amore. L'amore fu la
ragione della mia esistenza e quella del mondo, come lei stessa
scrisse, fondamentale nella sua vita fu l'amore, e tutte le sue storie,
con Cena, Papini, Cardarelli, Boccioni, Cascella, Boine, Campana, Papini,
Quasimodo, Matacotta, furono romantiche ed intense. Una grande ma lacerante
passione, di cui resta traccia nell’epistolario, fu quella che la legò,
quando lei aveva 40 anni, ed era già famosa per il successo del romanzo
“Una donna”, e lui nove di meno, al poeta dei “Canti
orfici”, Dino Campana, uomo difficile, scontroso, anticonformista, che, negli anni della propaganda interventista,
cercava nella natura i valori dell’esistenza e che poi, afflitto da
gravi disturbi psichici, venne internato in manicomio. Il suo ultimo grande
amore fu il poeta, allora sconosciuto, Franco Matacotta, lei sessantenne,
lui ventenne; la storia della loro relazione confluì nelle pagine del
diario 1940-1944, dal quale emergono tutte le tensioni derivanti da questo
rapporto complesso e difficile, in disparità anagrafica e differenza
intellettuale, che pure durò dieci anni. Sibilla Aleramo visse gli
ultimi anni della sua vita lottando contro la povertà e la depressione,
ma fino alla fine continuò a viaggiare, ad incontrare amici e a scrivere
il suo "Diario".
Morì a
Roma il 13 gennaio del 1960.
GUARDO
I MIEI OCCHI
Guardo i
miei occhi cavi d’ombra
e i
solchi sottili sulle mie tempie,
guardo, e
sei tu, mio povero stanco volto,
così a
lungo battuto dal tempo?
Mi grava
l’ombra d’un occulto sogno.
Ah, che
un ultimo fiore in me s’esprima!
Come
un’opaca pietra
non
voglio morire fasciata di tenebra,
ma d’un
tratto, dalla radice fonda,
alzare un
canto alla ultima mia sera.
(da
“Selva d’amore”, di S. Aleramo)
(Sibilla Aleramo è anche in Rosa riso d'Amor
e in Passioni d'amore.)
Francesca Santucci
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