Maturita'
di
Vittorio
Aprea
Era un uomo sui 58 anni don Giulio. La sua età però non gli inibiva
certi excursus mentali e sentimentali
che di solito si attagliano a giovanotti di primo pelo. Aveva la
sua famiglia: una moglie molto bella, mora, con doti spiccate di madre e
di sposa, e quattro figli, due maschi e due femmine. Abitava una casa molto ben arredata in via Cavallerizza a Chiaia ed
ogni giorno si recava a piedi per la sua passeggiata quotidiana,
lentamente fino in via
Calabritto, ove si soffermava davanti ai negosi di
Gucci, Fendi, Pierre
Cardin e di altri stilisti, onde ammirare i migliori vestiti alla moda e,
osservandoli, se li sentiva addosso, credendosi in tal modo più bello e
più ricercato. Questa era la vita di don Giulio!... Il suo lavoro in Tribunale fino
alle ore 14, una passeggiata pomeridiana e la sera in casa, a leggere ed a
guardare la televisione, sprofondato in una poltrona. Sentiva forse il peso dei suoi anni, ma non li accettava, come non
gradiva quel genere di vita che era costretto a vivere: sempre gli stessi
gesti, sempre le stesse strade, sempre le stesse carte... Ma, come capita
qualche volta agli esseri mortali,, anche a don Giulio si presentò
un’improvvisa variante alla sua monotonìa! Era un caldo pomeriggio d’agosto, uno di quei pomeriggi in cui si
avverte per l’aria, nelle strade di Napoli, il profumo del mare misto a
quello dei fiori alle finestre, in un tripudio di colori e di voci, che
danno la sensazione di essere fuori del tempo e con una carica di forza e
gioventù nelle vene, tale da far obliare età, problemi e noie... In quel pomeriggio dorato e soave don Giulio scendeva i Gradoni di
Chiaia e si dirigeva col suo passo lento e metodico verso la Torretta.
Costeggiando la Villa Comunale si inebriava ad osservare i robusti lecci,
i poderosi ed eleganti pini e tutta la verzura che ammantava quel luogo
idilliaco. Di tanto in tanto, tra una pianta e l’altra, nascosta dai
cespugli di bossi e dai rampicanti, intravvedeva qualche coppietta che si
sbaciucchiava o che, immobile, si beava di quel sito incantato.
Anch’egli si addentrò in quel fantastico luogo e, mentre scalciava
qualche sassolino che gli si presentava davanti ai piedi, si inebriava a
quelle visioni tra il naturale ed il metafisico. Avanzava lentamente, dando di sfuggita, con discrezione, uno sguardo
a qualche coppia ed un altro alla natura intorno, quando, quasi
all’improvviso, gli si profilò davanti una figura di donna splendida,
alta, sinuosa, vestita di rosso bordeaux, avvolta in un tailleur che le
disegnava ed esaltava addosso certe forme muliebri da cartellone
cinematografico. Don Giulio sussultò! Non solo per quella bellezza straordinaria, ma
anche e soprattutto perchè ebbe l’impressione che quella donna lo
avesse salutato, o meglio, gli avesse sorriso, facendo brillare al sole
una dentatura uniforme e perlacea, quasi brillante. E quel sorriso lo
aveva abbacinato, provocandogli una folata di caldo nelle vene e
procurandogli un lieve, ma piacevole capogiro, come in uno stato di
ebbrezza afrodisiaca. La donna fece ancora pochi passi, mentre don Giulio restava fermo a
fissarla; poi si girò e ritornò sulla strada già percorsa... Giunta
all’altezza di don Giulio, si abbandonò a ridosso di un tronco di
leccio e, come stanca, gli sorrise ancora!...Sorrideva proprio a don
Giulio, che nel frattempo non le staccava gli occhi di dosso! Ah, quel sorriso!... Era un saluto? Era un invito? Si trattava forse
di una donna dai costumi facili o di un essere superiore a tutti i
conformismi umani? Don Giulio era ubriaco e non si dava altra risposta ai
suoi veloci quesiti mentali se non quella di essere un uomo fortunato, che
la buona sorte aveva deciso
di baciare quel giorno e, forse, non l’avrebbe fatto mai più!... Allora, con un’audacia non consona al suo carattere, timido e
schivo, le si avvicinò e, con voce tremante, quasi a monosillabi, le
sussurrò:- Permette?... Sono Giulio Arcoleo... Posso presentarmi?... Le
dispiace?...- La signora incantevole ed incantata, con lo sguardo fisso su di lui,
con un sorriso paradisiaco che era stata la causa prima del subbuglio
piombato nel petto di don Giulio, rispose: -Certamente! Vogliamo fare due
passi assieme?- E si avviarono lungo il viale centrale della Villa. Lui: confuso,
rosso in viso, ma felice... Lei: sorridente, calma e curiosa! Dopo aver magnificato la natura intorno, don Giulio non si tratteneva
più e parlava... parlava di tutto: di se stesso, del suo lavoro, della
sua vita monotona e dei suoi desideri reconditi. E, a questo punto, arrivò
pronta un’osservazione che il pover’uomo non si sarebbe mai aspettata,
gli giunse tra capo e collo, come un colpo di mannaia che gli mozzò il
fiato in gola, dando posto ad un’incredibile gioia... - Scusi, ma lei , don Giulio, non mi vorrà forse dire che tra i suoi
riposti desideri, tra i suoi irrealizzati
sospiri, ci sono anche io?... Lo dica, sa! Non arrossisco di certo.
In troppi me l’hanno ripetuto, ormai mi sono abituata!- E con un’aria di noncuranza continuava a passeggiare, fissando don
Giulio con quegli occhi penetranti e di un azzurro che il cielo terso non
poteva eguagliare. Soggiunse ancora, senza scomporsi: - Scusi ancora ma
non mi sono neanche presentata! Sono Angela Doroni; sono sposa non troppo
felice e vivo a Genova. Sono a Napoli di passaggio, perchè invitata da
un’amica...- Don Giulio, impacciato ma imbaldanzito per il parlare confidenziale
della donna, si eccitò a tal punto che, senza neppure accorgersi, le
rispose a mezza voce: - E’ vero! Volevo solo dirle che è bella! Ecco...
sono imbarazzato... Mi è capitato ora... dopo tanto tempo... ma lei... io
cioè... insomma vorrei rivederla!- Vi fu qualche attimo di silenzio e poi la voce pacata, calma di lei:
- Vede, don Giulio, io capisco... Ho captato, credo, ogni suo recondito
pensiero e spero di poterle essere sincera il più possibile. Non è il
caso di rivederci ad una certa ora di un certo giorno. Ci rivedremo forse
ancora ed anche io lo spero, ma vorrei solo chiarire un piccolo
particolare, che cioè io non sono la donna che lei pensa.
Amo la libertà e mi piace trattenermi a parlare con un amabile
signore dall’aria disincantata come lei per scambiare qualche parola e...
non più! Affidiamoci alla sorte! Ci incontreremo domani, un altro giorno,
mai? Sarà come vuole il destino! Per ora non mi resta che ringraziarla
per la sua indimenticabile compagnia. Abbiamo per qualche minuto dato
sfogo ai nostri pensieri e forse lei mi ha detto con lo sguardo molto più
che con le parole... Mi creda: ora devo andare... Non posso trattenermi
oltre!- Nel dire quelle parole era decisa, sorridente, ma fredda. Il povero
don Giulio le afferò la mano che lei gli protese e vi schioccò sopra un
bacio tenero, umido, fermo. Sembrava volesse non lasciare più quella mano
che per lui era una piccola parte di un mondo cui dava l’addio per
sempre. La giovane signora si ritrasse e, voltandosi, con passi lenti si avviò
lungo il viale centrale della Villa, lasciando nell’aria un profumo
denso e penetrante di lavanda. Disparve!... Era una farfalla che si beava
nel suggere il nettare di fiore in fiore e, per l’ennesima volta, aveva
impressa indelebilmente la sua immagine in un uomo, inebriandolo in una
scia vorticosa di sensualità. Si divertiva così, senza nessuna
conclusione compromettente!
E don Giulio si incamminò verso via Calabritto, si fermò davanti
alle solite vetrine lussuose, ma non riusciva più a vedere alcunchè... I
suoi occhi acquosi, velati di lagrime e leggermente arrossati, si
perdevano nel vuoto, a fissare un’immagine calda, evanescente,
dolcissima. Così tornava alla sua routine quotidiana: dai figli, dalla moglie,
al suo solito lavoro... con l’immagine costante, ferma, della sua
signora, della donna che per pochi minuti l’aveva
rapito in un’estasi meravigliosa, che era rimasta scolpita nella
sua mente e che lo avrebbe accompagnato ancora chissà per quanto
tempo!...
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