Trieste

Nella sua parte più settentrionale l’Adriatico forma, da Grado a Punta Salvore, l’ampia curva d’un golfo, ed è al centro di questa curva che sorge Trieste.
La città s’allunga sulla costa, stretta fra il mare ed il Carso, che la sovrasta come un anfiteatro.

Oltre l’altipiano carsico s’aprono i valichi delle Alpi Giulie, oltre il mare s’affacciano da un lato Venezia e la costa italiana, dall’altro l’Istria e la frastagliata Dalmazia.
Questa posizione geografica, che la colloca lontana dal cuore dell’Italia, ma pure estranea a quell’Est al quale si avvicina, e l’influenza dei 536 anni d’ininterrotto governo asburgico (epoca d’oro fu definita quella dell’Impero austroungarico, che rese felix questa città) ha determinato tutta la storia di Trieste, che ha dovuto sempre lottare nei secoli per conservare la pace e la libertà, e forse anche il pessimismo e il vago senso di solitudine che i triestini si portano dentro e che si riversa in tanta letteratura.
Trieste, nonostante l’aspetto modernissimo, ha origini molto antiche, con un ricco patrimonio di leggende sulla sua nascita: una di queste ne attribuisce la fondazione all’eroe greco Tergesto, un Argonauta, che le avrebbe dato il nome. Infatti, anticamente la città si chiamò Tergeste; ma pare anche che questo nome sia d’origine celtica e che Celti e Veneti formassero il primo nucleo abitato. Più probabile è, però, che, molto più indietro nel tempo, gli euganei avessero costruito un castelliere, ossia un villaggio fortificato, sulla cima del colle di San Giusto.
Sono tempi lontanissimi, comunque, e sulle vicende di quei popoli preistorici ci sono troppi misteri, di fatto la storia di Trieste cominciò con i Romani, che la colonizzarono e che, con la costruzione di templi, acquedotti, terme, ville splendide, industrie, porti e persino un teatro, resero Tergeste una delle più belle città dell’Italia settentrionale.
Se voi venite a Trieste, io vi condurrò per la marina, lungo i moli quadrati e bianchi del mare, scriveva Slataper, che veniva dal Carso, e così, invece, Saba:

Ho attraversato tutta la città

Poi ho salito un’erta

 popolosa in principio, in là deserta,

chiusa da un muricciolo:

un cantuccio in cui solo siede;

 e mi pare che dove esso termina

termini la città.
Ha un fascino particolare questa città, d’estate assolata come un paese del Mediterraneo, d’inverno sferzata dalle violente raffiche della gelida bora che attraversa il mare (che un tempo qui occupava uno spazio ben più ampio), e ripulisce la città, i vicoli, le strade, le piazze, le rive ed i moli.
I triestini amano molto il loro mare ed amano molto il loro salotto buono, piazza Unità, che i più vecchi chiamano ancora piazza Grande, cuore geografico e sentimentale della città, concepita in modo da convogliare gli sguardi verso il lato aperto sull’Adriatico, antico luogo di commerci e scambi, teatro d’importanti pagine della storia italiana, soprattutto della Grande Guerra, ora luogo elegante dove passeggiare e perdere lo sguardo tra le onde.
Un altro grande della letteratura, non nativo di Trieste, ma affascinato da questa città, James Joyce, amò vagare a lungo tra le vie solitarie, le osterie ed i caffè, soprattutto, tanto prediletti dai triestini.
In questa città dalla grazia scontrosa, come scriveva sempre Saba, il caffè è un rito e i Caffè storici, molto diffusi in epoca asburgica,  dove ci si ritrovava per scrivere, presentare libri, giocare a scacchi o semplicemente per chiacchierare, sono i loro santuari.
Il Caffè storico più antico, da sempre meta di intellettuali ed artisti, è il Caffè Tommaseo, risalente al 1825, poi c’è il Caffè degli Specchi, del 1839, e poi il Tergesteo, lo Stella Polare dove agli inizi del Novecento si riunivano gli irredentisti, e il San Marco, tuttora ritrovo di uomini di cultura, dov’è possibile incontrare gli scrittori della nuova generazione.
I triestini ancora oggi frequentano volentieri questi punti di ritrovo e per il caffè hanno elaborato una loro terminologia: il nero è il caffè classico; il ristretto, forte e distillato, è quello che si beve senza zucchero; il cappuccino, macchiato di latte, è piccolo, e si può bere anche in un bicchierino; il gocciato è arricchito con una schiuma bianca.
Per chi voglia conoscere Trieste ci sono dei luoghi assolutamente imperdibili: Città vecchia, il cuore medievale e popolano della città, che comprende il piccolo ma caratteristico ghetto ebraico; la chiesa di San Spiridione, imponente con le sue cupole azzurre di stile orientale; la Cattedrale romanica di San Giusto; il Museo del Castello di San Giusto, che ospita una preziosa raccolta d’armi; il Museo di Storia Patria, che racconta elementi della storia pubblica e privata della città; il Museo del Risorgimento e Sacrario Oberdan, dov’è possibile visitare la cella in cui fu rinchiuso il patriota triestino Guglielmo Oberdan, impiccato per aver attentato all’imperatore Francesco Giuseppe, e poi, luogo triste per eccellenza, memoria storica d’incalcolabile valore, il Museo della Risiera di San Saba, unico campo di sterminio in Italia, che si apre sui luoghi in cui furono uccisi, o avviati ad altri campi di concentramento, migliaia di ebrei, detenuti politici e partigiani.
Immancabile, poi, la visita al castello di Miramare, la testimonianza più bella del periodo asburgico e del ruolo esercitato da Trieste nella cultura mitteleuropea; fatto erigere dal fratello di Francesco Giuseppe, il giovane imperatore Massimiliano d’Asburgo, fucilato in Messico nel 1867, è una costruzione di pietra candida, collocata su uno spuntone di roccia dura e arida, circondata da un parco rigoglioso con scorci d’incredibile bellezza sul mare e sull’Istria.
Anche Sissi, Elisabetta d’Austria, moglie dell’imperatore Francesco Giuseppe, che di Trieste amava la distesa del mare, un orizzonte sconfinato di libertà, prediligeva questo castello e lo preferiva a quello reale; vi soggiornava spesso perché solo qui non si sentiva più il gabbiano rinchiuso nel castello.
Ma all’interno di questa deliziosa città c’è anche un ambiente naturale particolare che merita di essere visitato, il Carso, immortalato dallo scrittore Slataper nel suo libro Il mio Carso: un altipiano arso e brullo, di pietra calcarea bianca, attraversato da grotte (la più famosa è la Grotta Gigante, la grotta turistica più grande al mondo) e doline (avvallamenti, frutto di cedimenti del terreno), ricoperto da un sottile strato di ricca terra rossa.
La popolazione del Carso è prevalentemente slovena e conserva gelosamente le proprie tradizioni, la propria cucina, e persino il vino, il Terrano, aspro ma buono, come la terra da cui proviene e la gente che lo produce.