Tesi di laurea

 

 

Sul teatro napoletano del '700 tanti avevano scritto, tutti però avevano pressoché ignorato la figura di Demetrio Zuccarelli. Uomo di grande cultura e di vasti interessi, che aveva servito già come aiuto Bibliotecario alla corte dei Borboni, lo Zuccarelli si era unito poi ai rivoltosi del '99 e come tanti di loro era salito sul patibolo. Più o meno queste poche notizie erano ripetute da tutti gli studiosi, qualcuno azzardandosi a ricordare che egli era anche autore di tre commedie, ma di poco conto.
Ed ecco che, a firma del Prof. Adalberto Misonmì, esimio Ordinario della cattedra di Tuttologia della piccola e prestigiosa Università di Vientelapesco, era stato dato alle stampe un breve saggio, in cui l'autore, tra le tante dotte notazioni -sebbene di seconda mano, ma tant’è, lui era un tuttologo e dunque o sapeva tutto ma poco o poco ma tutto-, formulava l'ipotesi, offrendola però come certezza, che lo Zuccarelli proprio con Vientelapesco, definita dal Misonmì straordinaria cittadina culla di tutto l'autentico sapere italico, avesse, sin dal 1785, intrecciato relazioni di così grande peso da dare una svolta alla sua vita e al suo lavoro, tanto che, da uomo di lettere, lo Zuccarelli era diventato poeta. Prova ne era, adduceva l'Esimio Prof. Misonmì, che le tre commedie erano datate rispettivamente 1786, 1791, 1795 e sfoggiavano tutte -sottolineava: tutte-, sul frontespizio della prima edizione ritrovata dal suo -di Misonmì- alunno prediletto, tutte sfoggiavano, come luogo di stampa, il nome della sua adorata cittadella: Vientelapesco.
In nota, l'Esimio, annunciava la ristampa, corredata da un nutrito apparato critico, delle tre commedie, a cura, appunto, del giovane (quarantenne) Ulderico Ghenonsondamen, suo allievo prediletto che, sotto la sua personale guida, era ormai diventato il massimo esperto delle opere teatrali dello Zuccarelli, tanto che l'Esimio auspicava, e dava anche questo per scontato, la creazione, presso la prestigiosa, sebbene minuta, Università di Vientelapesco, di una Cattedra di Critica e Storia delle opere teatrali di Demetrio Zuccarelli (decennio 1785-1795), sollevando i colleghi della parte inferiore dello stivale da ulteriori ricerche.
La Laureanda lesse, piuttosto supinamente all'inizio, il saggetto in questione. Ma procedendo nella lettura, andava di pari passo raddrizzandosi finché balzò fuori dalla vasca da bagno ricolma di candida spuma e, senza neanche asciugarsi o per lo meno avvolgersi in un qualche telo, corse in camera, dove, accatastati, c'erano decine e decine di vecchi libri comprati sulle bancarelle, la domenica del mercato antiquario, o, ed erano la maggior parte, sottratti con abilità e discrezione dalla Biblioteca. (E a questo proposito diremo a sua difesa come, fermo rimanendo il dolo, la Laureanda si fosse limitata ad emulare il suo Esimio Maestro, nella di cui libreria, quella situata nell'ultimo tratto del corridoio, aveva potuto ammirare antiche opere prestigiose e oramai, ovviamente, introvabili, ancora con l'etichetta della Biblioteca in bella mostra sul dorso.)
Ma non verso le erte pile pericolanti di libri si diresse la Laureanda, bensì al piccolo scrittoio, che fungeva per tutte le operazioni per le quali abbisognasse un tavolo. E cioè pranzare, studiare, leggere, scrivere, appoggiare la testa per dormire e via dicendo. Tale ristrettezza di spazi, va spiegato, era dovuto al fatto che la nostra Laureanda si trovava a pigione presso un losco personaggio che offriva in cambio di cifre astronomiche posti letti a indigenti studenti fuori sede. E anzi lei, furbescamente, per poter godere di un tavolo tutto per sé, era riuscita a far fuori l'antica compagna di stanza, nel senso di "essere riuscita a farla fidanzare con il mediocre inquilino della porta a fianco": in tal modo, era rimasta momentaneamente unica padrona del campo che si riduceva poi a quella stanza polverosa -lei amava l'odore della polvere perché le richiamava l'odore dei libri- con angolo cottura, cioè con un vecchio fornello poggiato sul comò e un piccolo lavandino adibito anch'esso a svariati usi e cioè: a lavare l'insalata, la forchetta e il coltello, e ad eseguire le abluzioni mattutine. Il cesso era fuori, in comune con gli altri affittuari. Nella stanza trovava posto anche un lettuccio, un armadio e il suddetto tavolo. Sul quale tavolo erano, l'uno accanto all'altro i tre libricini: le tre opere firmate Demetrio Zuccarelli.
La ragione del salto e della corsa tutta ignuda e schiumeggiante della Laureanda che, così facendo, aveva messo in pericolo anche la sua (non voluta) castità degli ultimi mesi, in quanto nel passaggio tra bagno e camera avrebbe anche potuto aver la disgrazia di imbattersi nel suo losco padrone di casa, il quale sempre tratteneva una chiave in attesa di una consimile occasione e dunque si aggirava, specie all'imbrunire, tra corridoio e cucina, la ragione del salto e della corsa tutta ignuda e schiumeggiante della Laurenda, dicevo, la quale, del fatto che la sorprendesse il fidanzato della ex compagna di stanza non si dava alcuna preoccupazione essendo a conoscenza delle sue scarse prestazioni direttamente dalla voce lamentosa della giovinetta (che lei, sempre pensando alla stanza, si affrettava a consolare affermando che gli intellettuali -era un fatto noto anche a sua madre, a sua cugina e a quante insomma su tale argomento avesse interpellato-, gli intellettuali da quel punto di vista sono notoriamente un po' carenti, ma per il resto...), in quanto alla remota possibilità di incontrare Giuseppe, l'altro inquilino... ah! incontrarlo, incontrarlo...che fortuna insperata sarebbe stata... In quel caso la Laureanda avrebbe anche saputo dimenticare il motivo della sua corsa licenziosa, il quale motivo -finalmente ci siamo- era riposto in quei tre libricini. E ciò per il fatto che, a lei che li aveva letti e riletti, era apparso evidente:
1) esserci un abisso, un baratro, una voragine tra le prime due commedie, piuttosto sciocche e banalotte e la terza, arguta, intelligente e innovativa;
2) aver probabilmente lo Zuccarelli scritto le prime due ma non certo la terza, per motivi che qui sarebbe troppo complicato spiegare;
3) essere state quelle opere certo stampate a Napoli, ma, secondo l'uso frequente, essere stato sul frontespizio apposto luogo e data fittizia, al fine di raggirare le ferree leggi della censura.
Ordunque, si disse la Laureanda accarezzando con lo sguardo i tre libricini e lanciando occhiate di disprezzo verso il saggetto di cui si è detto, la mia tesi la svolgerò tutta sullo Zuccarelli, altro che paragrafetto all'interno del "Capitolo panoramico sugli autori in qualche modo legati al teatro giacobino", e proverò come in questa mia (di adozione) città lo stesso Zuccarelli abbia composto le sue opere, qui rappresentate e successivamente pubblicate e soprattutto troverò l'autore della terza, l'unica che si erga sulle altre, come aquila sulle galline del cortile. Proverò che codesto Misonmì è un trombone sfiatato.
Le uniche note biografiche su Demetrio Zuccarelli di una qualche estensione, la Laureanda le aveva lette sul "Grande dizionario degli autori sconosciuti, dimenticati, ignorati e tutto sommato ben gli sta perché non valgono niente", che per brevità nei Repertori veniva segnalato come "lo G.D.A.S.D.I. - t.s.b.g.s.p.n.v.n.".
In questa opera monumentale, alla voce Zuccarelli Demetrio, si faceva menzione di certa Lucianuzza, figlia naturale dello Zuccarelli, con lui sempre vissuta, accorta trascrittrice delle opere paterne. Ora, senza che vi narri per filo e per segno come e perché, in base a quali ragionamenti, ricerche e deduzioni, il fatto è che la Laureanda ebbe ad un certo punto certezza:
1) che la Lucianuzza, essendo rimasta alla morte del padre senza camicia e senza mutande, giudicò necessario ripubblicare le di lui (due) opere e opportuno apporre falsa sia la data sia il luogo, sempre a cagione della censura, tornata, assieme ai Borboni, ancora più carogna che nel passato;
2) che, avendo queste riscosso ampio successo, la Lucianuzza osò pubblicare la terza, falsificando questa volta non solo data e luogo di edizione ma anche nome dell'autore che per l'appunto non il padre era ma lei medesima.
Insomma, dopo attente ricerche e controprove, la Laureanda smontò per intiera la storia del ritrovamento dei tre libricini, immeritata gloria del pupillo miope del presbite Esimio Prof. Adalberto Misonmì. Con la conseguenza di ridare merito alla sua (di adozione) città, e di tributare la dovuta gloria alla dolce Lucianuzza, mostrando come la fanciulla dalla sconosciuta (a tutti) madre le doti poetiche avesse ereditato. Altra conseguenza non di secondario rilievo, ma anzi foriera di insperati e delicati eventi, era che, con il suo lavoro, la Laureanda smascherava la colpevole presunzione di Misonmì e di Ghenonsondamen.
E questo fu l'aspetto che maggiormente colpì il suo Esimio Relatore, Prof. Totonnuccio Caggiafà, altro luminare cattedratico, in perenne conflitto con i colleghi di Oltresud. Nel leggere il lavoro della guagliuncella -ogni tanto alzava gli occhi a rimirarla- il suo sguardo si accendeva di soddisfatta malignità: finalmente, si diceva, metterla in c. a quel presuntuoso, e per mano di una Laureanda, ah! ah! E godeva (ognuno fa come può). Ma poi, tanti altri pensieri e preoccupazione invasero la sua mente:
1) Misonmì se la sarebbe legata al dito;
2) non sarebbe bastato questo scorno per attaccarlo in modo significativo (ben altre, e a conoscenza di tutti, erano le magagne del tuttologo, e inoltre a ben altro, non certo a meriti scientifici sì invece ad appartenenze politiche, era legato il suo Potere);
3) il suo, di lui, interesse in quel momento, sotto Concorso, era di tenerselo buono, il Misonmì, in vista di un certo piacere a lui, a sé, necessario, per accedere finalmente, tramite l'appoggio ottenuto, ad alte sfere.
4) che quella, la tesi manoscritta della Laureanda, era la manna caduta dal cielo, che avrebbe potuto risolvergli alquanti problemi e, in più, offrirgli una certa soddisfazione.
Fu così che il Prof. Totonnuccio Caggiafà decise di informare dell'accadimento l'Esimio collega, per cui, chiesto permesso alla Laureanda che se ne stava lì con gli occhi luccicanti dalla soddisfazione per i sorrisi che vedeva illuminare fin il doppio mento del suo Relatore, andò quatto quatto a telefonare nell'altra stanza con il telefonino della figlia, dopo averle chiesto il permesso, essendo il suo nelle mani della moglie che non lo lasciava mai, quello del figlio, già rotto in qualche cassetto, e non parendogli cosa opportuna parlare con il comune, banale e superato telefono dello studio, alla presenza della Laureanda.
Il ricatto, pardon: la buona azione, funzionò. Ne ebbe grazie calorose dalla voce gracchiante, e assicurazioni di grande collaborazione. A patto che tutto rimanesse segreto, ovviamente. Del che bisognava convincere la Laureanda, la quale, non essendo a conoscenza della manovra (e poi? quand’anche...), non comprendeva quel rapido declinar di fortuna del suo lavoro.
Con la minaccia: andrò altrove, da chi possa capire il mio valore, la ragazza se ne andò sbattendo la porta.
Ma la Potenza dei Potenti è davvero Potente.
Tre sere dopo, il losco padrone di casa ricevette una misteriosa telefonata. La Laureanda fu messa alla porta senza spiegazioni, in piena notte, e, mentre vagava per i vicoli della sua (di adozione) città, sulla quale nondimeno cominciava a nutrire dei seri dubbi, trascinandosi indietro la valigia, che per la verità un tempo era stata munita di rotelle ma queste, essendo la valigia di infima marca (anzi, non c'era), erano saltate via dalla sede loro destinata sin dal giorno che la Laureanda, allora giovane matricola, era arrivata alla Stazione, mentre dunque, singhiozzando la Laureanda si interrogava sul destino avverso, stringendo al petto, con una certa difficoltà, l'unica copia del suo manoscritto e i tre libretti, fu investita da una macchina guidata da ignoti. Uno degli ignoti, ma questo nessuno lo sa, scese rapido e furtivamente qualcosa trafugò e portò via, per poi buttare a mare dal molo di Mergellina un paccotto di giornali avvolti attorno ad una grossa pietra, ad un manoscritto pasticciato, e a tre vecchi libretti.
Di quelli che si vedono sempre più sulle bancarelle al Mercato dell'Antiquariato la domenica e sempre meno nelle ampie, scure, polverose, sale della Biblioteca.