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Sant’Agostino disse che il cercare
è già di per sé un trovare e Siddharta è proprio "uno che
cerca" un cercatore, un uomo inquieto, bisognoso di trovare una
certezza tra le tante incertezze della vita, l’Assoluto nella
relatività dell’esistenza e dei rapporti, che tenta di vivere in
profondità la propria esistenza, attraversando tutte le esperienze
possibili, la sensualità, il misticismo, la meditazione filosofica,
ricercando il tutto nel particolare, forte della convinzione che nessuna acquisizione
è definitiva, e che la conoscenza ha sempre innumerevoli aspetti da
scoprire.
Figlio di un sacerdote bramino, Siddharta
si dimostra presto uno spirito diverso e superiore; apprende le dottrine
sull’Atman, quelle che parlano di unità tra individuo e anima
universale, è benvoluto da amici e parenti, in particolare dal suo
coetaneo Govinda che è convinto che gli dei abbiano in serbo per il suo
compagno un destino superiore, eppure il giovane non è soddisfatto di sé
e della sua vita.
Un giorno Siddharta incontra i Samana, gli
asceti vagabondi che praticano il digiuno e il disprezzo del mondo; di
fronte alla loro passione che li spinge alla rinuncia e all’annientamento
della personalità decide di seguirli insieme a Govinda.
Cominciano così a praticare assiduamente
gli esercizi e i digiuni della vita ascetica, soprattutto Siddharta, che
impara a distaccarsi completamente dall’Io, riuscendo a divenire pietra,
avvoltoio o scheletro, però ben presto lo assalgono i dubbi, perché
riesce a distaccarsi ma al suo Io poi deve sempre fare ritorno, la
liberazione non è mai completa, ed è perplesso anche perché riflette
sul fatto che il suo maestro, il più anziano dei Samana, non ha ancora
raggiunto il Nirvana, la liberazione dal ciclo delle nascite e delle
morti, né mai lo raggiungerà.
Siddharta è convinto che nella ricerca
della beatitudine non si può imparare niente che non si trovi già all’interno
della propria vita, e questa convinzione si rafforza maggiormente dopo
aver incontrato il Buddha, un uomo liberatosi dalla ruota delle
reincarnazioni, che gira per il paese predicando, col quale ha un lungo
colloquio in cui gli espone le proprie perplessità, ma che non segue, al
contrario di Govinda, perché deve trovare da solo una via personale.
Ora Siddharta è consapevole che nel
cammino della conoscenza gli è mancato un elemento fondamentale: se
stesso. Non è più tempo di pensare al passato, adesso lo aspetta la
vita.
Il sole, l’aria, gli uccelli, le notti,
gli animali, tutto ciò che aveva considerato illusione, il mondo intero,
ora gli appare bello, e così riconfortato prosegue la sua ricerca, che
solo a questo punto comincia veramente, e che lo porterà ad attraversare
esperienze diverse, dalla sensualità (l’amore per Kamala), al
materialismo (il commercio), allo scoramento (l’idea del suicidio), al
misticismo (l’illuminazione).
L’Oriente ha sempre significato per
Hesse il simbolo assoluto dell’altra patria, quella vera, staccata dal
mondo fisico, patria del cuore, luogo dove dubbi e fedi si ricompongono in
una superiore unità, e "Siddharta" è appunto la storia della ricerca di
questa dimensione, un viaggio spirituale, nel cui protagonista, come nel
poema dantesco, si cela lo stesso autore.
Nucleo centrale del libro è la storia del
rapporto tra l’ascetico Siddharta e la raffinata prostituta Kamala che
lo inizia all’arte dell’amore, che mette in risalto la concezione dell’eros
salvifico, forza di liberazione e tappa illuminante sulla via che conduce
al Divino, nei suoi aspetti luminosi e in quelli in ombra, come forze
contrapposte che si completano, proprio come il simbolo del Tao che unisce
il principio maschile e quello femminile. E tra luci ed ombre, Siddharta
arriverà all’illuminazione finale, alla conquista della verità che
trascende le fedi stesse che l’hanno originata, e ci arriverà
personalmente, perché ogni uomo deve cercare senza sterili imitazioni il
suo modo di vivere la verità.
Profondo fu il suo sonno, e libero
da sogni, da lungo tempo non aveva più conosciuto un sonno tale. Quando
si svegliò dopo parecchie ore, fu come se dieci anni fossero trascorsi…Ed
il passato gli apparve come avvolto in un velo, infinitamente lontano,
infinitamente superiore, infinitamente indifferente.
Alla fine del suo percorso Siddharta
confida a Govinda ciò che ha appreso: che la saggezza non è
comunicabile, che ogni cosa appartiene all’unità, che ciò che va
cercato è il tutto, il misterioso tutto che si cela dietro aspetti
mutevoli, che le cose sensibili hanno valore sia per se stesse sia perché
appartengono ad un ciclo che può ritrasformarle (la pietra in uomo, il
fiore in Buddha), e soprattutto che le parole non fanno altro che
mascherare e confondere, l’essenziale è l’amore, accogliere in sé il
mondo e tutto ciò che contiene, senza nulla disprezzare.
E il sorriso finale che Govinda vede sul
volto dell’amico, tranquillo, imperturbabile, dolce e benevolo, lo
stesso sorriso che ha visto infinite volte sul volto del Buddha, il
Risvegliato, simboleggia proprio l’acquisito stato della consapevolezza
che rifluisce dietro il volto di Siddharta: l’Illuminazione.
classici
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