Francesca Santucci
Senso
Amore e morte, Calcedonio Reina, 1881.
“Senso”, di
Camillo Boito, esperto d’arte e narratore legato all ‘ambiente della
Scapigliatura milanese, fratello di Arrigo, è uno dei migliori racconti
dell’Ottocento italiano, reso celebre anche dalla bellissima trasposizione
cinematografica del 1954 di Luchino Visconti, che assegnò la parte della
protagonista alla magistrale interpretazione di Alida Valli.
È la storia di
una relazione, di un tradimento d’amore e di una vendetta, consumati tra un
uomo spregevole innamorato di una donna ancora più spregevole di lui, nel
contesto di un episodio della guerra tra Piemonte ed Austria nel 1865.
Un
giovane ufficiale austriaco di origine italiana, Remigio, bello ma vile e
sfruttatore, tradisce l’amante, Livia, una nobildonna sposata per interesse
ad un uomo molto più anziano, con donne di facili costumi. Per lui la donna
arriva a sacrificare la sua dignità, si sottomette, rischia reputazione e
patrimonio ma, allorché tradita, si vendica andando a denunciare
dal generale in capo austriaco
l’amante, che combatte da imboscato grazie a un
falso certificato di infermità rilasciato da un medico militare suo amico.
Ieri nel mio salotto giallo…inizia così il racconto, introducendo subito la
protagonista mentre, intenta a fissare la sua immagine allo specchio, scruta i
segni del tempo.
Mio marito fumava , russava, diceva male del Piemonte,
comprava cosmetici: io avevo bisogno d’amare….La mia corte si componeva
…d’ufficialetti e d’impiegati tirolesi…Tra questi ne conobbi uno…Forte
,bello, perverso, vile, mi piacque…
Il carattere della donna è subito
delineato: superficiale, frivola, mondana, capace di passione travolgente e
amore totale, ma anche dura, fredda, calcolatrice e spietata nel non provare
compassione e nell’attuare la vendetta quando scoprirà che l’amante ha
altre donne con le quali sperpera il suo denaro: non esiterà un istante e andrà
a denunciarlo.
Signora, ci pensi; la delazione è un’infamia e l’opera
sua un assassinio.
Livia non si fermerà nemmeno dinanzi all’implorazione del generale che dovrà far fucilare Remigio e il medico.
La
sua vendetta, calcolata, predeterminata, si consumerà senza il minimo
turbamento, in modo glaciale ed in perfetto isolamento.
Dirà:
Avevo la coscienza del mio diritto…tranquilla nell’orgoglio di un difficile dovere
compiuto.
In questo racconto è esemplarmente espressa la predilezione
dell’autore a rappresentare storie in cui s’intrecciano viltà e cattiveria,
meschinità e calcolo, in una visione negativa e sfiduciata degli uomini, ma
emerge anche la conoscenza profonda che aveva delle donne, capaci sì, di gesti
estremi deprecabili come la vendetta, così ben attuata da Livia, ma pure di
slanci, passioni travolgenti e generosità sconosciuti al mondo degli uomini.
Marito e amante in fondo si somigliano, l’uno vecchio, l’altro giovane,
l’uno fotocopia ingiallita del ritratto dell’altro: entrambi presuntuosi,
arroganti, tracotanti, egoisti e bugiardi, borghesi piccoli e mediocri.
Il racconto è scritto in prima persona dalla protagonista che, nel ricordare il
passato con parole fredde ed ordinate, quasi prive di emozioni, ripercorrendo
all’indietro nel tempo l’atroce vicenda, i miei casi di sedici anni
addietro, s’è già assolta d’ogni colpa:
A commuovermi l’anima non ci sia altro verso che il rammentarmi d’un uomo, nel
quale, ad onta della mia furibonda passione, vedevo intiera la bassezza umana.
Francesca Santucci