Francesca Santucci

Rosa e croce

selezione

 

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Dopo l’estate

 

Era di primavera, ed il mondo girava
per il verso giusto quando la bocca
dal primo bacio fu sorpresa e mi colse
la vertigine inattesa.
Ristetti,
a quell’amore abbarbicata,
come il convolvolo blu fiorito al muro,
come il male brutto al devastante cancro.
Già incanti sfolgoravano negli occhi,
ed i gabbiani bianchi in sospensione,
fra cielo e terra e mare, confetti mi parevano
candidi di sposa.
Poi giugno passò e luglio e agosto;
di quel bacio restò solo un ricordo,
di quell’amore (che amore non fu,
ché fu crudele) più nulla restò
dopo l’estate.

 

Il passaggio dal particolare all’universale è caratteristica ricorrente in questa silloge poetica, ma anche nelle precedenti. Un tema di riflessione vive, poeticamente, riproposto sotto svariate spoglie, dove, paradossalmente, si concretizzano le astrazioni. D’altronde solo l’ “ars poetica” può riuscire in quest’impresa. E la diversa modulazione del medesimo tema in “Dopo l’estate” permette solo parzialmente di abbracciare l’immensità di un estro creativo proteiforme. I “bianchi confetti”, evocati in un’insolita, fascinosa associazione con i bianchi gabbiani suggeriscono la gioiosa esaltazione di un casto e romantico sogno di fanciulla dagli occhi “lucenti”, che vive l’incanto dei prodromi di una storia d’amore unica ed assoluta con la forza e la tenacia di un attaccamento esclusivo, quale solo una piantina rampicante può esemplificare:

…Ristetti,

a quell’amore abbarbicata

come il convolvolo blu fiorito

 al muro

 

L’esito doloroso è tuttavia anticipato, in poesia, nell’effetto sorpresa delle parole “male” e “cancro”, che completano la similitudine, visualizzando nel concreto tessuto stilistico la tragicità.

 

(dalla prefazione di Antonia Chimenti)

 

Nonna

 

Nei sogni delle notti

inquiete tu ritorni,

ed io con te, bambina.

E bianche ho le scarpine

e i lacci e i nastri,

e tu, golosa, il volto baci

e pizzichi le guance.

Beata, alle carezze, rido,

e morbido è l’incavo

fra i tuoi seni,

dove ancora per godere

del tuo tepore di donna

mi rifugio, nonna.

E il tempo mai è trascorso

e non conosco angustie

e non m’affanno e non gemo.

Ma ormai da troppi anni

più non sei, distesa

giaci nella culla cupa

dove il sole mai batte,

solo ci picchia una pioggia,

eterna, lenta, come la sabbia

di miele che affanna

e si precipita nell’impietosa

clessidra capovolta.

 

L’incanto della fanciullezza fra braccia morbide e protettrici di donna alimenta dolci sogni (momentanea tregua all’angoscia dell’età adulta), dove appaiono leggiadre ed innocenti immagini di scarpine bianche e fiocchetti e di baci, tenere  sensazioni suscitate da pizzicotti, e di confortevole tepore goduto nel contatto fisico con la nonna, una nonna che non è più, ora, una presenza consolatrice reale, dal momento che giace  nella sua “culla cupa/ dove il sole non batte”.

 

(dalla prefazione di Antonia Chimenti)

 

 

Spero che dolce sonno sia la morte


 
Spero che dolce sonno sia la morte,

che l’ali sue distenda a ripararti

perché non oda, tu, il tarlo roditore

che rode e che corrode il tuo bel corpo

che a arrugginire nella fossa giace.

Ti sia lieve, davvero, madre, la terra,

e coltre che ti riscaldi tiepida

dall'infinito gelo delle notti,

che l'una dopo l'altra, senza tregua, 

si susseguiranno, l'oro dei capelli

mutando  in stinto avorio,  cambiando

in vuota orbita colore d'ossa opaco

il verde cangiante degli occhi,

allora luminosi. Ancora di sole un raggio

(almeno uno) ti risplenda, come il battèrio

implacabile che infetta la ferita

pervenga a violentarti; ti brilli sulle labbra 

(che sempre penso morbide e rosse e calde)

come un sorriso, come un bacio,

come quel bacio che, tremante d'amore,

deponevo io, bambina, tua figlia,

ora solo grumo di sangue,  inconsolabile

per il tuo dolore.

 

Nella serie dei poemi “in mortem” emerge la diamantina e musicale invocazione “Spero che dolce sonno sia la morte”, il cui dolce fascino è costituito dalla sapiente, armoniosa successione di vocali chiare e dalle allitterazioni e dall’impressione di un incedere lento, solenne, quasi a voler cullare questo sonno, dove la magia del canto di dolore e di rimpianto sembra attutire, come il sonno, l’effetto devastante della decomposizione (messo in rilievo da suoni onomatopeici ricorrenti), che tuttavia procede implacabile e si fa strada, verso dopo verso, a distruggere anche chi vive e ricorda…

 

(dalla prefazione di Antonia Chimenti)


 

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