Francesca Santucci Rosa e croce selezione
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Dopo l’estate
Era di primavera, ed il mondo girava
Il passaggio dal particolare all’universale è caratteristica ricorrente in questa silloge poetica, ma anche nelle precedenti. Un tema di riflessione vive, poeticamente, riproposto sotto svariate spoglie, dove, paradossalmente, si concretizzano le astrazioni. D’altronde solo l’ “ars poetica” può riuscire in quest’impresa. E la diversa modulazione del medesimo tema in “Dopo l’estate” permette solo parzialmente di abbracciare l’immensità di un estro creativo proteiforme. I “bianchi confetti”, evocati in un’insolita, fascinosa associazione con i bianchi gabbiani suggeriscono la gioiosa esaltazione di un casto e romantico sogno di fanciulla dagli occhi “lucenti”, che vive l’incanto dei prodromi di una storia d’amore unica ed assoluta con la forza e la tenacia di un attaccamento esclusivo, quale solo una piantina rampicante può esemplificare: …Ristetti, a quell’amore abbarbicata come il convolvolo blu fiorito al muro
L’esito doloroso è tuttavia anticipato, in poesia, nell’effetto sorpresa delle parole “male” e “cancro”, che completano la similitudine, visualizzando nel concreto tessuto stilistico la tragicità.
(dalla prefazione di Antonia Chimenti)
Nonna
Nei sogni delle notti inquiete tu ritorni, ed io con te, bambina. E bianche ho le scarpine e i lacci e i nastri, e tu, golosa, il volto baci e pizzichi le guance. Beata, alle carezze, rido, e morbido è l’incavo fra i tuoi seni, dove ancora per godere del tuo tepore di donna mi rifugio, nonna. E il tempo mai è trascorso e non conosco angustie e non m’affanno e non gemo. Ma ormai da troppi anni più non sei, distesa giaci nella culla cupa dove il sole mai batte, solo ci picchia una pioggia, eterna, lenta, come la sabbia di miele che affanna e si precipita nell’impietosa clessidra capovolta.
L’incanto della fanciullezza fra braccia morbide e protettrici di donna alimenta dolci sogni (momentanea tregua all’angoscia dell’età adulta), dove appaiono leggiadre ed innocenti immagini di scarpine bianche e fiocchetti e di baci, tenere sensazioni suscitate da pizzicotti, e di confortevole tepore goduto nel contatto fisico con la nonna, una nonna che non è più, ora, una presenza consolatrice reale, dal momento che giace nella sua “culla cupa/ dove il sole non batte”.
(dalla prefazione di Antonia Chimenti)
Spero che dolce sonno sia la morte
che l’ali sue distenda a ripararti perché non oda, tu, il tarlo roditore che rode e che corrode il tuo bel corpo che a arrugginire nella fossa giace. Ti sia lieve, davvero, madre, la terra, e coltre che ti riscaldi tiepida dall'infinito gelo delle notti, che l'una dopo l'altra, senza tregua, si susseguiranno, l'oro dei capelli mutando in stinto avorio, cambiando in vuota orbita colore d'ossa opaco il verde cangiante degli occhi, allora luminosi. Ancora di sole un raggio (almeno uno) ti risplenda, come il battèrio implacabile che infetta la ferita pervenga a violentarti; ti brilli sulle labbra (che sempre penso morbide e rosse e calde) come un sorriso, come un bacio, come quel bacio che, tremante d'amore, deponevo io, bambina, tua figlia, ora solo grumo di sangue, inconsolabile
per il tuo dolore. Nella serie dei poemi “in mortem” emerge la diamantina e musicale invocazione “Spero che dolce sonno sia la morte”, il cui dolce fascino è costituito dalla sapiente, armoniosa successione di vocali chiare e dalle allitterazioni e dall’impressione di un incedere lento, solenne, quasi a voler cullare questo sonno, dove la magia del canto di dolore e di rimpianto sembra attutire, come il sonno, l’effetto devastante della decomposizione (messo in rilievo da suoni onomatopeici ricorrenti), che tuttavia procede implacabile e si fa strada, verso dopo verso, a distruggere anche chi vive e ricorda…
(dalla prefazione di Antonia Chimenti)
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