NEVHAR NEVARA

 

XVIII.

 

Per quale strada ora andrai

io questo non lo so.

 

I miei occhi

t'hanno già vestita

d'un abito bianco e muto.

Muto e ormai lontano

nel quadro appena dipinto dal mio ricordo.

 

Ma rosa rossa della mia fronte,

è vero!: ti sto amando ancora.

E il tuo nome gridato in silenzio

mi si stringe alla gola

come un cappio di garofani.

 

Dove sei: cantano le stelle

nell'eco della notte.

Con chi sarai: rimbomba il giorno

indurito dalla luce.

 

Sta piovendo su questo paese dorato

che ormai la sua tinta s'è sciolta,

lasciandomi sulle mani

gocce macchiate.

 

Si spengono le labbra.

 

 

 

I corpi si rivestono.

Un sapore di metallo

è quel che rimane.

 

Io ero la tua acqua

e tu eri la mia sete.

Bevevo i tuoi sorrisi,

ti bagnavi dei miei silenzi.

 

Ora tu non ci sei.

Ed ogni cosa, ogni oggetto,

ha lavato la sua anima.

 

Giovane bimba,

alla mia terra mancano le tenere fosse

che lasciavano i tuoi piedi correndo!

 

Creatura fatta di carne e di stelle,

con me,

se ne va anche la tua ansia,

quella paura che avevi

del mio cuore errante.

 

Piccola donna, grande amante!,

sei già bianca e muta,

e mentre scrivo queste parole

mi domando se ci sarà un'altra mano

che poserà la sua tiepida carezza

su questo volto ormai spento,

che nelle gocce

di pioggia

 

 

 

sulla bocca

assapora il labbro

   d'un profilo sparito

nell’amaro ricordo