L'ultimo valzer

di Fabio Lentini

Chiara aveva chinato il capo ai primi rintocchi della mezzanotte. La grande pendola biedermeier aveva soffocato il silenzio dentro eco vibranti che a fatica si andavano attenuando. Il buio, rotto dal mite sussurro di una abatjour, l’aveva inondata di una cupa tristezza. Non era la prima volta che accadeva. Nonostante fossero trascorsi oltre due anni, la scomparsa di Arturo le pesava come un macigno che, seppur alleggerito dal tempo, continuava a rotolare nei pensieri. Come non mai, il fiume dei ricordi le inondava la mente tracimandola di una densa e soffocante malinconia che trovava linfa al calar della sera. Era allora che i fantasmi del passato cominciavano a farsi vivi. Acquattati dietro le forme degli oggetti più cari, si ingigantivano ai primi accenni di una nota o al lento diradarsi della nostalgia. Non c’era modo di poterli allontanare perché tutto il suo mondo riviveva in loro. E, d’altronde, come avrebbe potuto abbandonare quei figli sbandati ed infelici? Così, lentamente, si era abituata alla loro presenza e i loro gemiti, talora strazianti, le scivolavano nella mente come tenui scrosci d’acqua.
I giorni le scorrevano intorno stemperandosi come pallide giornate autunnali ed un senso di vuoto le attanagliava costantemente la gola. Così, per continuare, cercava conforto in alcune vecchie foto che talora le donavano un sorriso. Disposte ordinatamente per volumi, impedivano ai ricordi di affogare nel torbido oceano della dimenticanza.
Col fisico infiacchito, si trascinava stancamente per le stanze strascicando le gambe indolenzite. Era quello uno dei rari suoni che animasse la sua vecchia e malandata casa, resa incolore dalle nebbie dell’indifferenza. Eppure dentro si sentiva ancora viva seppure imprigionata dentro il ruvido bozzolo del tempo.
Stanca ed avvilita, si era arresa alla notte sprofondando nel suo mondo arcano e sconosciuto. Le palpebre avevano da poco abbassato le tende ed il torpore cominciava a stringerle le membra. Alcuni istanti ed il buio penetrò la sua mente avvolgendola di tenebra e silenzio poi una musica lieve risuonò in lontananza e di colpo fu sbalzata dentro al sogno.
«Per di qua!» irruppe improvvisamente un uomo ornato da un elegante frac.
«Papà!?!» sbottò con aria incredula.
«Sbrigati che ti stanno aspettando!».
«Dove...?».
«...non c’è tempo, ti dirò strada facendo!».
In un attimo, si ritrovò all’interno di una vecchia carrozza capeggiata da un anziano e distinto cocchiere.
«Papà, che gioia rivederti – continuò, raggiante – è passato tanto di quel tempo...!».
«Già!» replicò quello, sorridendo.
«Ti trovo bene, sei così giovane!?!».
«...la mia stupenda bambolina!».
Chiara ebbe il tempo di abbassare lo sguardo che subito si ritrovò agghindata in uno scintillante abito bianco. Con aria incredula, osservò le dita impreziosite da uno splendente smeraldo e di colpo sobbalzò. Le rughe erano misteriosamente scomparse trasformando la sua mano in farfalla.
«Pretendono la massima eleganza!» incalzò il padre sorridendo.
«Chi?» replicò, esterrefatta.
«Adesso vedrai!».
Con aria felice, distolse lo sguardo all’esterno, attratta da un misterioso chiarore che avvolgeva la notte. Il cielo brillava di minuti pulviscoli di luna che rendevano soffusa ogni visione. Quello strano scintillio pareva guidare i cavalli lungo la vecchia carreggiata di pietra e nessun schiocco di frusta osava rompere l’arcano.
Improvvisamente, si ritrovò in un viale di torce crepitanti e, quando la carrozza si fermò, due paggi le vennero incontro. Lentamente discese la scaletta scoprendo le caviglie sottili e vellutate. Un impeto di gioia attraversò il suo volto e di colpo fu addentro al palazzo. Un coro stupito si alzò al suo passaggio mentre solcava i primi gradini della grande scalinata di marmo. Confusa, si soffermò innanzi alla sala brulicante di vita e, dopo un attimo di esitazione, cominciò a riconoscere i primi volti.
«Nonno, mamma, zii...!» proruppe, sbalordita, alla vista dei suoi cari.
«Ci siamo tutti! » replicarono quelli sorridendo.
Un’intensa commozione le serrò la gola straripando in un pianto gioioso ed irruento poi, mentre le lacrime non si erano ancora spente, il cerchio si aprì rivelando un’elegante figura in lontananza. Con passo austero, cominciò a venirle incontro e subito lo riconobbe.
«Arturo...!?!» balbettò con voce fioca.
«Chiara!» replicò quello cingendola alla vita.
«Cos’è questo posto?» domandò, raggiante.
«E’ il palazzo delle feste!».
«...come ci sono finita?».
«Non importa!» continuò l’altro mentre una dolce sinfonia si sollevava nella sala.
«Il walzer dei fiori!» esclamò, meravigliata.
«...il tuo preferito!» aggiunse il marito accennando a un breve passo.
Chiara non si mosse fissandolo con sguardo attento.
«Che stai guardando?» incalzò quello con aria divertita.
«Voglio assicurarmi che ti sia rasa la barba, mi graffi sempre le guance!?!».
Arturo le prese la mano e, in un vortice di suoni, si lasciarono trasportare dalla danza. Per lunghi, interminabili minuti si librarono nell’immenso e sfavillante salone sotto gli occhi sorridenti di tutti gli amici che avevano diviso. Era bellissimo vederli danzare, sorridenti e giovani come non mai. I musici sembravano rapiti dal loro amore e quella passione contagiò gli strumenti facendoli suonare come nessuno sinora.
- «Adesso staremo sempre insieme!» mormorò Chiara col cuore appagato. Tutto il suo mondo era racchiuso in quel palazzo e per nulla lo avrebbe abbandonato.
«Il tempo non è maturo...!» replicò l’altro, imbarazzato.
«Non capisco....!?!».
«...non è ancora il tuo momento...!».
La donna lo fissò con sguardo esitante.
«Vorresti farmi credere che.... ?».
«Davvero pensavi che non ci fosse un dopo...?!?».
Radiosa, lo strinse forte a sé baciandone ripetutamente le guance ma all’improvviso le note decaddero in roche dissonanze ed Arturo indietreggiò di colpo. Un senso di smarrimento corrugò le sue ciglia mentre il volto del marito cominciava a svanire. Attonita, lanciò lo sguardo su più direzioni e un terribile presentimento lacerò i suoi pensieri: galleggiava su di un sogno morente.
«E’ soltanto un’illusione!» sbottò sconsolata.
«Lo credi davvero....?» replicò Arturo scomparendo nel buio.
Quando la pendola risuonò nella stanza, gli occhi le si aprirono di scatto. Con sguardo confuso, si volse a rincorrerne i rintocchi e nuovamente rivide il suo mondo.
Le prime luci dell’alba si andavano insinuando tinteggiando le vetrate di un rosso deciso. Ancora assonnata, gustò quelle residue stille di notte e, dopo aver sollevato le lenzuola, si allontanò dal letto. Stancamente indossò la vestaglia e, superando la porta, si avviò alla cucina. Le fresche impronte della notte si addensavano sulle gelide pareti della casa facendola rabbrividire. Con impazienza, accostò le mani al fuoco nell’attesa che il caffè fosse pronto e, non appena gli ultimi sbuffi solcarono il beccuccio, lentamente lo prese a sorseggiare. Un caldo tepore le riscaldò le membra dandole modo di pensare. Quelle dolci sensazioni coloravano ancora la sua mente.
Col volto tirato, attraversò il corridoio, alcuni brevi passi, una fugace visione e di colpo trasalì. Il cuore prese a batterle forte e, con gli occhi sgranati, raggiunse la specchiera. Per lunghi, intensissimi momenti, continuò incredula a osservare le sue guance graffiate.

 

© Fabio Lentini 2002-2004.