Francesca Santucci

Sansone e Dalila

 

Rubens, Sansone e Dalila (1609 circa), Londra, National Gallery

 

SANSONE E DALILA. IL RACCONTO BIBLICO

Per quarant’anni i Filistei dominarono su Israele, ma Dio, per rialzare le sorti del suo popolo oppresso, diede agli Ebrei Sansone. Non fece di lui un condottiero di eserciti, ma lo dotò di una forza straordinaria, sovrumana, affinché compisse la sua missione: liberare gli Ebrei dalla servitù dei nemici. E ad ogni prova Sansone ne usciva sempre vittorioso, la sua forza era l’orgoglio degli Ebrei e rendeva timorosi i nemici di Israele; nessuno, direttamente o con inganni, riusciva a vincerlo. Per la sua invincibilità fu riconosciuto Giudice d’Israele e governò il suo popolo per vent’anni, finché, per liberarsene, i Filistei pagarono una donna, Dalila, perché lo circuisse e carpisse il segreto della sua forza.
Dalila cercò di farlo parlare legandolo con sette corde ritorte,
ma Sansone le  spezzò senz’alcuna fatica, e per tre volte le diede  una risposta falsa, infine le armi seduttive femminili prevalsero, ed un giorno i suoi sforzi furono coronati dal successo, perché Sansone le confidò che, per conservare la sua forza, egli non avrebbe mai dovuto farsi tagliare i capelli.

Non è mai passato rasoio sulla mia testa, perché sono un nazireo di Dio dal seno di mia madre; se fossi rasato, la mia forza si ritirerebbe da me, e sarei come un uomo qualunque.1


Era questo il  segreto che Sansone celava: alla nascita era stato consacrato a Dio come nazireo, cioè  aveva promesso di non tagliarsi mai i capelli (e di astenersi dalle bevande inebrianti). Mantenere lunga la chioma stava ad indicare il distacco dalle cose terrene e l’assoluta dedizione al Signore che lo avrebbe protetto.
Allora, Dalila, mentre Sansone dormiva, gli fece recidere la chioma; la forza dell’eroe, ora che la mano del Signore si era distolta dal suo capo, venne meno. Cadde, così,  nelle mani dei nemici, che non gli risparmiarono alcuna crudeltà.

 I Filistei lo presero e gli cavarono gli occhi; lo fecero scendere a Gaza e lo legarono con catene di rame. Egli dovette girare la macina nella prigione. 2

RAPPRESENTAZIONI PITTORICHE DI SANSONE E DALILA NEL SEICENTO

 
L’episodio biblico di Dalila che, facendo tagliare a Sansone i capelli, sede della sua forza, agevola i Filistei nella cattura dell’eroe, è molto diffuso nelle rappresentazioni iconografiche, variamente declinato; troviamo Dalila o intenta a tagliare personalmente i capelli a Sansone o ad assistere, a volte  indossa abiti contemporanei, in altri casi è raffigurata nuda, e spesso vicino ai personaggi è presente una caraffa di vino o un altro recipiente, ad indicare che l’uomo è stato indotto al sonno dall’ebbrezza.
Al tema si appassionarono, ritraendo i vari aspetti della vicenda, anche gli artisti secentisti, come Matthias Stomer, Rembrandt, Jan Steen e Rubens.

Matthias Stomer, Sansone e Dalila (1630 circa)

Matthias Stomer, in Sansone e Dalila del 1630 circa, opera conservata a Roma, al Museo Barberini, rappresentò Dalila sfarzosamente abbigliata, adorna di gioielli, con accanto, sulla destra,  un’anziana serva  dallo sguardo vivace e attento che, con dito alzato, pare dirigere l’azione; sulla sinistra una figura maschile, ad indicare il soldato filisteo che dovrà catturare Sansone.
Dalila è raffigurata nell’atto di tagliare i capelli all’eroe,  il cui corpo nudo, indifeso nell’abbandono del sonno, domina la parte inferiore del quadro.
Credenza diffusa nelle società primitive era che la forza dell’uomo risiedesse nei capelli, così come diffusa era nella Bibbia la convinzione che la donna straniera fosse causa di sventura;  infatti Sansone è sedotto e portato alla rovina da una donna che non appartiene alla sua gente, e Dalila rappresenta una figura che, grazie alle sua capacità seduttive, costituisce una minaccia per il giudaismo e per la diffusione dell’idolatria.
Da notare che il nome Dalila contiene il termine ebraico che significa “notte”; il nome Sansone, invece, contiene il termine “sole”.  

Rembrandt, L’accecamento di Sansone, 1636

Nel dipinto di Rembrandt del 1636, L’accecamento di Sansone, la scena è ambientata all’interno della tenda di Dalila, nella valle di Sorek, dove hanno già fatto irruzione i soldati filistei che, preso e incatenato Sansone, si apprestano ad accecarlo, intanto che un soldato minaccioso lo tiene  a bada con un’alabarda; Dalila è sullo sfondo, in fuga con la grossa ciocca di capelli tagliati all’eroe.

 

Jan Steen, Sansone e Dalila, 1668

 
Nel quadro di Jan Steen del 1668, Sansone e Dalila, in un’ampia sala del lussuoso palazzo di Dalila (dove, come spesso avviene nei quadri di Steen, si affollano numerosi personaggi di contorno, qui in perfetta resa dei volgari e sguaiati filistei), come la  primadonna di un melodramma a dominare la scena c’è Dalila, ritornata alla sua squallida attività di meretrice, in un luogo di malaffare, come  testimonia il fatto che è rappresentata mentre si lascia toccare un seno. Sansone, legato, ridotto all’impotenza, trattato come un fenomeno da circo, tenuto al guinzaglio come un cane da un bambino,  appare  più esterrefatto per il tradimento che per la consapevolezza della prigionia. 

SANSONE E DALILA DI RUBENS

 

Rubens, Sansone e Dalila (1609 circa), Londra, National Gallery

Dal 1600 al 1608 Pieter Paul Rubens, il più grande artista  fiammingo del XVII secolo e uno dei più prolifici di tutti i tempi, soggiornò in Italia, dove svolse mansioni diplomatiche e politiche per il duca di Mantova, Vincenzo Gonzaga. Ebbe, così, la possibilità di studiare da vicino le opere dei grandi maestri della pittura italiana, dall’antichità al Rinascimento fino ai suoi contemporanei, tra cui Caravaggio, che influenzò alcune opere della sua prima produzione, conducendolo all’elaborazione di uno stile caravaggesco originalissimo, ma creando in passato problemi di attribuzione, come nel caso del dipinto Sansone e Dalila, così poco rubensiano per lo stile violentemente espressionistico e la brillante luminosità, non sue caratteristiche, tanto da far ignorare nel suo stesso  secolo che il dipinto gli apparteneva.
Esempio eloquente del suo stile caravaggesco così particolare è il dipinto Sansone e Dalila (Londra, National Gallery) che gli fu commissionato intorno al 1609, subito dopo il suo ritorno dall'Italia ad Anversa.
Mecenate di Rubens fu l’amico personale Nicholas Rickox, eminente cittadino di Anversa, presidente della gilda degli archibugieri; da un quadro ancora esistente di Frans Francken il Giovane sappiamo che il dipinto  Sansone e Dalila è appeso bene in vista su un gran camino nel salone di Rickox, e, osservando  la prospettiva generale interna al dipinto, che necessita di un punto di osservazione piuttosto basso, si deduce che Rubens lo dipinse pensando proprio a questa collocazione.
L’esecuzione del quadro, che  illustra il tradimento di Sansone da parte di Dalila (che, carpito con le astuzie femminili  il segreto che la sua forza sovrumana risiede nei capelli, glieli fa tagliare mentre dorme), è estremamente sensuale, ed enfatizza un concetto tipico del Seicento, il potere della donna sull’uomo; la statuetta di Venere bendata sta a ribadire un altro concetto pure assai diffuso, quello dell’ amore “cieco”.
La vecchia donna che regge la candela, intanto che il servo taglia i capelli a Sansone (ritratto massiccio e  muscoloso, in reminiscenze michelangiolesche e dell’antichità, col capo abbandonato sul grembo di Dalila, in derivata posa della Leda, Leda e il cigno, dell’opera perduta di Michelangelo, in scoperta nudità di un seno, l’espressione in volto di dolce  trionfo)  rappresenta una mezzana, e così si comprende che la scena è ambientata in un luogo equivoco.
Pur avendo usato Rubens  una gamma limitata di tinte, la coloritura del dipinto risulta estremamente ricca, e, grazie alla sua abilità e all’impiego di metodi collaudati, il dipinto si è conservato quasi nella condizione originale.
Come usavano i pittori fiamminghi del quindicesimo secolo, che preferivano i supporti di legno, poiché, a differenza delle tele, la superficie liscia permetteva al  pennello di muoversi con maggiore fluidità, anche Rubens  si servì di una tavola di quercia, formata da sei assi orizzontali incollate insieme (probabilmente fornita da un costruttore di tavole professionista), ricoperta da un fondo di gesso, fissato con colla animale, sulla quale  stese, in strato sottile, per creare l’effetto striatura,  una sottile imprimitura giallo-marrone, per la maggior parte dipinta diagonalmente dall'alto a destra al basso a sinistra, in modo tale da ottenere  un risultato assai spettacolare, come evidenziato dal  polso destro e dalla parte superiore  della mano di Dalila, il polpaccio destro e la parte superiore della gamba di Sansone, e i particolari del drappeggio giallo di Dalila.
Tratteggi minimi, tocchi essenziali di nero e di bianco e ombreggiature furono usati per stabilire la disposizione generale delle figure, contro uno sfondo scuro  dipinto a grandi linee, in netto contrasto con il gruppo principale in primo piano, con caldo marrone-rossiccio in altre zone d'ombra, soprattutto sul dorso di Sansone.
I  toni base usati, invece, per la pelle di Dalila, furono costituiti dalla  biacca tinta di vermiglio, con le zone di massima luce rese da una mistura di biacca e  giallo ocra; per le ombreggiature più profonde, fra i seni di Dalila e lungo la parte superiore del braccio di Sansone, Rubens adoperò, invece,  vernice trasparente di un caldo rosso-marrone simile a quelle dello sfondo. Per il vestito rosso lacca cremisi mescolata a sfumature di vermiglio stesa con larghe pennellate, creando  le ombre più scure con mani di vernice trasparente di lacca cremisi stese sopra; per le zone di più aperta luce impiegò pennellate di biacca, ammorbidite anche da mani di vernice trasparente color cremisi; per suggerire i riflessi della fiamma della candela  sfumature di giallo arancione nelle pieghe del manto, su cui è adagiata Dalila.
Ben presenti, dunque, in quest’opera sono le influenze caravaggesche e gli echi michelangioleschi, ma le intere forme del gruppo centrale riflettono lo studio di Rubens dell’arte italiana in generale, che nutrì la sua sensibilità ed affinò le sue conoscenze culturali e tecniche, rendendolo pienamente padrone di luci, ombre e colori,  consentendogli di arricchire virtuosisticamente le sue composizioni, così da renderle colorite, ricche di brio e di energia, fastose e vigorosamente vitali, in rappresentazione di un’umanità carnale ed eroica, sfumature, queste, insolite per la pittura fiamminga, segni inequivocabili dell’apertura mediterranea.

 

 

NOTE

1) La Sacra Bibbia, Giudici, 16, 7- 16

2) op.cit.

 

 

BIBLIOGRAFIA

Caravaggisti, Giunti, Dossier Art, n.109.

Episodi e personaggi della Bibbia, a cura di C. De Capoa, Electa (Pomezia) Roma, 2004.

I grandi pittori, Seicento, De Agostini, Novara, 1987.

A. Morral, La storia e le tecniche dei grandi maestri, Vallardi Lainate (Mi), 1989.

La Sacra Bibbia,CEI, Roma, 1980.

E. Gombrich, La storia dell’arte, Leonardo Arte,  Gruppo Editoriale L’Espresso, Roma, 1975.