Rubens, Sansone e Dalila (1609 circa),
Londra, National Gallery
SANSONE E DALILA. IL RACCONTO BIBLICO
Per quarant’anni
i Filistei dominarono su Israele, ma
Dio, per rialzare le sorti del suo
popolo oppresso, diede agli Ebrei
Sansone. Non fece di lui un condottiero
di eserciti, ma lo dotò di una forza
straordinaria, sovrumana, affinché
compisse la sua missione: liberare gli
Ebrei dalla servitù dei nemici. E ad
ogni prova Sansone ne usciva sempre
vittorioso, la sua forza era l’orgoglio
degli Ebrei e rendeva timorosi i nemici
di Israele; nessuno, direttamente o con
inganni, riusciva a vincerlo. Per la sua
invincibilità fu riconosciuto Giudice
d’Israele e governò il suo popolo per
vent’anni, finché, per liberarsene, i
Filistei pagarono una donna, Dalila,
perché lo circuisse e carpisse il
segreto della sua forza.
Dalila cercò di
farlo parlare legandolo con sette corde
ritorte,
ma Sansone
le spezzò senz’alcuna fatica, e per tre
volte le diede una risposta falsa,
infine le armi seduttive femminili
prevalsero, ed un giorno i suoi sforzi
furono coronati dal successo, perché
Sansone le confidò che, per conservare
la sua forza, egli non avrebbe mai
dovuto farsi tagliare i capelli.
Non è mai
passato rasoio sulla mia testa, perché
sono un nazireo di Dio dal seno di mia
madre; se fossi rasato, la mia forza si
ritirerebbe da me, e sarei come un uomo
qualunque.1
Era questo il
segreto che Sansone celava: alla nascita
era stato consacrato a Dio come nazireo,
cioè aveva promesso di non tagliarsi
mai i capelli (e di astenersi dalle
bevande inebrianti). Mantenere lunga la
chioma stava ad indicare il distacco
dalle cose terrene e l’assoluta
dedizione al Signore che lo avrebbe
protetto.
Allora, Dalila,
mentre Sansone dormiva, gli fece
recidere la chioma; la forza dell’eroe,
ora che la mano del Signore si era
distolta dal suo capo, venne meno.
Cadde, così, nelle mani dei nemici, che
non gli risparmiarono alcuna crudeltà.
I Filistei
lo presero e gli cavarono gli occhi; lo
fecero scendere a Gaza e lo legarono con
catene di rame. Egli dovette girare la
macina nella prigione. 2
RAPPRESENTAZIONI PITTORICHE DI SANSONE E
DALILA NEL SEICENTO
L’episodio
biblico di Dalila che, facendo tagliare
a Sansone i capelli, sede della sua
forza, agevola i Filistei nella cattura
dell’eroe, è molto diffuso nelle
rappresentazioni iconografiche,
variamente declinato; troviamo Dalila o
intenta a tagliare personalmente i
capelli a Sansone o ad assistere, a
volte indossa abiti contemporanei, in
altri casi è raffigurata nuda, e spesso
vicino ai personaggi è presente una
caraffa di vino o un altro recipiente,
ad indicare che l’uomo è stato indotto
al sonno dall’ebbrezza.
Al tema si
appassionarono, ritraendo i vari aspetti
della vicenda, anche gli artisti
secentisti, come Matthias Stomer,
Rembrandt, Jan Steen e Rubens.
Matthias Stomer, Sansone e Dalila (1630 circa)
Matthias Stomer,
in Sansone e Dalila del 1630
circa, opera conservata a Roma, al Museo
Barberini, rappresentò Dalila
sfarzosamente abbigliata, adorna di
gioielli, con accanto, sulla destra,
un’anziana serva dallo sguardo vivace e
attento che, con dito alzato, pare
dirigere l’azione; sulla sinistra una
figura maschile, ad indicare il soldato
filisteo che dovrà catturare Sansone.
Dalila è
raffigurata nell’atto di tagliare i
capelli all’eroe, il cui corpo nudo,
indifeso nell’abbandono del sonno,
domina la parte inferiore del quadro.
Credenza
diffusa nelle società primitive era che
la forza dell’uomo risiedesse nei
capelli, così come diffusa era nella
Bibbia la convinzione che la donna
straniera fosse causa di sventura;
infatti Sansone è sedotto e portato alla
rovina da una donna che non appartiene
alla sua gente, e Dalila rappresenta una
figura che, grazie alle sua capacità
seduttive, costituisce una minaccia per
il giudaismo e per la diffusione
dell’idolatria.
Da notare che
il nome Dalila contiene il termine
ebraico che significa “notte”; il nome
Sansone, invece, contiene il termine
“sole”.
Rembrandt,
L’accecamento di Sansone, 1636
Nel dipinto di
Rembrandt del 1636, L’accecamento di
Sansone, la scena è ambientata
all’interno della tenda di Dalila, nella
valle di Sorek, dove hanno già fatto
irruzione i soldati filistei che, preso
e incatenato Sansone, si apprestano ad
accecarlo, intanto che un soldato
minaccioso lo tiene a bada con
un’alabarda; Dalila è sullo sfondo, in
fuga con la grossa ciocca di capelli
tagliati all’eroe.
Jan Steen,
Sansone e Dalila, 1668
Nel quadro di
Jan Steen del 1668, Sansone e Dalila, in un’ampia sala del lussuoso
palazzo di Dalila (dove, come spesso
avviene nei quadri di Steen, si
affollano numerosi personaggi di
contorno, qui in perfetta resa dei
volgari e sguaiati filistei), come la
primadonna di un melodramma a dominare
la scena c’è Dalila, ritornata alla sua
squallida attività di meretrice, in un
luogo di malaffare, come testimonia il
fatto che è rappresentata mentre si
lascia toccare un seno. Sansone, legato,
ridotto all’impotenza, trattato come un
fenomeno da circo, tenuto al guinzaglio
come un cane da un bambino, appare più
esterrefatto per il tradimento che per
la consapevolezza della prigionia.
SANSONE E
DALILA DI RUBENS
Rubens, Sansone e Dalila (1609
circa), Londra, National Gallery
Dal 1600 al
1608 Pieter Paul Rubens, il più grande
artista fiammingo del XVII secolo e uno
dei più prolifici di tutti i tempi,
soggiornò in Italia, dove svolse
mansioni diplomatiche e politiche per il
duca di Mantova, Vincenzo Gonzaga. Ebbe,
così, la possibilità di studiare da
vicino le opere dei grandi maestri della
pittura italiana, dall’antichità al
Rinascimento fino ai suoi contemporanei,
tra cui Caravaggio, che influenzò alcune
opere della sua prima produzione,
conducendolo all’elaborazione di uno
stile caravaggesco originalissimo, ma
creando in passato problemi di
attribuzione, come nel caso del dipinto Sansone e Dalila, così poco
rubensiano per lo stile violentemente
espressionistico e la brillante
luminosità, non sue caratteristiche,
tanto da far ignorare nel suo stesso
secolo che il dipinto gli apparteneva.
Esempio
eloquente del suo stile caravaggesco
così particolare è il dipinto Sansone
e Dalila (Londra, National Gallery)
che gli fu commissionato intorno al
1609, subito dopo il suo ritorno
dall'Italia ad Anversa.
Mecenate di
Rubens fu l’amico personale Nicholas
Rickox, eminente cittadino di Anversa,
presidente della gilda degli
archibugieri; da un quadro ancora
esistente di Frans Francken il Giovane
sappiamo che il dipinto Sansone e
Dalila è appeso bene in vista su un
gran camino nel salone di Rickox, e,
osservando la prospettiva generale
interna al dipinto, che necessita di un
punto di osservazione piuttosto basso,
si deduce che Rubens lo dipinse pensando
proprio a questa collocazione.
L’esecuzione
del quadro, che illustra il tradimento
di Sansone da parte di Dalila (che,
carpito con le astuzie femminili il
segreto che la sua forza sovrumana
risiede nei capelli, glieli fa tagliare
mentre dorme), è estremamente sensuale,
ed enfatizza un concetto tipico del
Seicento, il potere della donna
sull’uomo; la statuetta di Venere
bendata sta a ribadire un altro concetto
pure assai diffuso, quello dell’ amore
“cieco”.
La vecchia
donna che regge la candela, intanto che
il servo taglia i capelli a Sansone
(ritratto massiccio e muscoloso, in
reminiscenze michelangiolesche e
dell’antichità, col capo abbandonato sul
grembo di Dalila, in derivata posa della
Leda, Leda e il cigno, dell’opera
perduta di Michelangelo, in scoperta
nudità di un seno, l’espressione in
volto di dolce trionfo) rappresenta
una mezzana, e così si comprende che la
scena è ambientata in un luogo equivoco.
Pur avendo
usato Rubens una gamma limitata di
tinte, la coloritura del dipinto risulta
estremamente ricca, e, grazie alla sua
abilità e all’impiego di metodi
collaudati, il dipinto si è conservato
quasi nella condizione originale.
Come usavano i
pittori fiamminghi del quindicesimo
secolo, che preferivano i supporti di
legno, poiché, a differenza delle tele,
la superficie liscia permetteva al
pennello di muoversi con maggiore
fluidità, anche Rubens si servì di una
tavola di quercia, formata da sei assi
orizzontali incollate insieme
(probabilmente fornita da un costruttore
di tavole professionista), ricoperta da
un fondo di gesso, fissato con colla
animale, sulla quale stese, in strato
sottile, per creare l’effetto striatura,
una sottile imprimitura giallo-marrone,
per la maggior parte dipinta
diagonalmente dall'alto a destra al
basso a sinistra, in modo tale da
ottenere un risultato assai
spettacolare, come evidenziato dal
polso destro e dalla parte superiore
della mano di Dalila, il polpaccio
destro e la parte superiore della gamba
di Sansone, e i particolari del
drappeggio giallo di Dalila.
Tratteggi
minimi, tocchi essenziali di nero e di
bianco e ombreggiature furono usati per
stabilire la disposizione generale delle
figure, contro uno sfondo scuro dipinto
a grandi linee, in netto contrasto con
il gruppo principale in primo piano, con
caldo marrone-rossiccio in altre zone
d'ombra, soprattutto sul dorso di
Sansone.
I toni base
usati, invece, per la pelle di Dalila,
furono costituiti dalla biacca tinta di
vermiglio, con le zone di massima luce
rese da una mistura di biacca e giallo
ocra; per le ombreggiature più profonde,
fra i seni di Dalila e lungo la parte
superiore del braccio di Sansone, Rubens
adoperò, invece, vernice trasparente di
un caldo rosso-marrone simile a quelle
dello sfondo. Per il vestito rosso lacca
cremisi mescolata a sfumature di
vermiglio stesa con larghe pennellate,
creando le ombre più scure con mani di
vernice trasparente di lacca cremisi
stese sopra; per le zone di più aperta
luce impiegò pennellate di biacca,
ammorbidite anche da mani di vernice
trasparente color cremisi; per suggerire
i riflessi della fiamma della candela
sfumature di giallo arancione nelle
pieghe del manto, su cui è adagiata
Dalila.
Ben presenti,
dunque, in quest’opera sono le influenze
caravaggesche e gli echi
michelangioleschi, ma le intere forme
del gruppo centrale riflettono lo studio
di Rubens dell’arte italiana in
generale, che nutrì la sua sensibilità
ed affinò le sue conoscenze culturali e
tecniche, rendendolo pienamente padrone
di luci, ombre e colori, consentendogli
di arricchire virtuosisticamente le sue
composizioni, così da renderle colorite,
ricche di brio e di energia, fastose e
vigorosamente vitali, in
rappresentazione di un’umanità carnale
ed eroica, sfumature, queste, insolite
per la pittura fiamminga, segni
inequivocabili dell’apertura
mediterranea.
NOTE
1) La Sacra
Bibbia, Giudici, 16, 7- 16
2) op.cit.
BIBLIOGRAFIA
Caravaggisti,
Giunti, Dossier Art, n.109.
Episodi e
personaggi della Bibbia, a cura di
C. De Capoa, Electa (Pomezia) Roma,
2004.
I grandi
pittori, Seicento, De Agostini,
Novara, 1987.
A. Morral, La
storia e le tecniche dei grandi maestri,
Vallardi Lainate (Mi), 1989.
La Sacra
Bibbia,CEI, Roma, 1980.
E. Gombrich, La
storia dell’arte, Leonardo Arte,
Gruppo Editoriale L’Espresso, Roma,
1975.