Rosa
di
Gabriele D'Annunzio (1863-1938)
Pallida
rosa, che da 'l verde
céspite
ridi
con disìo placido
a
'l bel vale d'amor de
'l sole occiduo e
gli mandi i tuoi
balsami, senti
tu tra le foglie i
dolci fremiti ch'or
la natura scuotono? intendi
la canzon che canta
Zefiro tra'
rami di que' platani? Ecco,
il tuo stelo trema a
'l bacio languido d'un
amante libellula, e
le viole invidiando
guardano i
tuoi divini gaudii: da
l'oriente la stella di
Venere ti
vibra il raggio
pronubo, mentre
le gaie rondini
cinguettano per
te l'epitalamio. Le
petulanti passere
rispondono da
le pampinee pergole con
trilli, con garriti di
letizia e
piluccando i grappoli. La
cascatella i piccoli
echi suscita per
li verdi silenzii, simile
a suon di chitarrino e
flauto in
nuzial corteggio... Deh,
come lieta l'armonia
de l'etere in
questa solitudine! Come
son belli questi tuoi
connubii, o
cara terra vergine! Io
chiedo un'onda di
celesti effluvii a
'l sacro fior di
Venere: chiedo
che un raggio de' suoi
caldi vesperi doni
a' miei carmi
Apolline.
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