Ogni
stagione della vita, così come ogni cosa, ha un suo colore,
ma il primo colore
che si manifesta in
natura
è il giallo.
Sono gialli i fiori selvatici
che occhieggiano tra le erbe di
marzo, le tremule primule annuncianti nei
campi di primavera la vita che ritorna a sbocciare, ma sono gialli
anche i crisantemi
che omaggiano i
defunti, simbolo della speranza che non rifiorirà, gialle le
pagine dei libri antichi giacenti immoti nelle
biblioteche, e gialla la
polvere impalpabile che
si deposita quotidiana
sulle povere cose
dell’uso
comune.
E quando si ripensa al passato nella memoria esplode il colore
giallo; giallo, dunque,
anche il colore del passato.
Assumono tale colorazione le
porte, le imposte, gli stipiti che freneticamente periodicamente
si
abradono, si ridipingono, si riverniciano, per eliminare,
annientare, cancellare la patina
avorio degli anni che si sono susseguiti non senza lasciare
tracce.
Ah, se tornando sui
propri passi si potesse egualmente cancellare
l’ingiallimento del cuore, povera
cosa anch’essa deteriorata dal tempo, senza più sussulti
eccezionali , senza più emozioni , solo il
monotono suono del pulsare naturale altrove predisposto! Ma i
ritorni sono quasi sempre impossibili,
talora biecamente deludenti.
*
S'arrampicò su, per l'erta della collina, tra i prati
occhieggianti di primule gialle, col passo spedito e sciolto d'un
adolescente che corre incontro alla vita pieno di speranze, sogni
ed illusioni.
A quell'ora mattutina la strada era deserta, eppure densa di vita
animale e vegetale: cani e gatti randagi in branco o solitari,
merli corvini fischianti tra le erbe verdeggianti brinate di
candida rugiada, buffi canarini cantori arricciati e paglierini in
gabbie sospese ai trespoli disposti sui balconi, fragranze intense
e differenti promananti dai giardini coltivati a diverse varietà
di fiori e piante.
...Non dovresti andarci...
Un pensiero la colpì improvviso, affilato come una pugnalata
dritta, precisa al cuore, più che un pensiero un ricordo, il
ricordo di una voce consigliera, forse anche saggia, che tentava
di metterla in guardia, di dissuaderla dal nostalgico viaggio di
pellegrinaggio sui luoghi del suo passato, voce che, naturalmente,
era rimasta inascoltata.
Le piacque ritornare in quella casa all'angolo del viale,
seminascosta da una vegetazione insolitamente fitta per una
strada di collina cittadina. Era ancora di colore giallo, anche se in certe parti l'intonaco scrostato rivelava
il grigio della precedente tinteggiatura.
Le piacque ritornarvi e le tornò gradito che potesse pensare
ancora a lei come vi ave
va pensato in tutti quegli anni: come al " villino giallo".
Villino giallo dalle finestre protette da griglie traforate in
stile spagnoleggiante, con tendine di pizzo immacolato dietro ai
vetri ben netti, gli enormi vasi di rose rosse e gialle trionfanti
davanti al portoncino
principale e all'ingresso di servizio.
Un grosso cane di razza indefinita, dal pelo scuro e dagli occhi
tondi color topazio, muscoloso e grosso, estroverso ed affabile,
ma, all’occorrenza buon custode, sostava subito dietro al
cancello che proibiva l'accesso alla
proprietà privata.
Le piacque ritornarvi, bussare al vecchio batacchio d'ottone,
essere introdotta negli antichi saloni da un volto nuovo ed
estraneo e ritrovare
una gatta, certo non la sua Lizzy che, da innumerevoli anni, rincorreva acherontie, parnassasius
e gonepterix
nei campi di un altro signore (sicuramente ben più importante del
suo padrone ), ma un’
altra, stranamente egualmente elegante siamese,
battezzata con un nome di origine
greca, testimonianza della spiccata predilezione per l'antichità
classica dei nuovi proprietari
della casa : Medea.
*
Medea
la osservava dall'alto
di una mensola con
l'azzurro sguardo interrogativo,
immobile e fiera come
la statua di un' antica dea greca, in attesa che la sconosciuta
avviasse le presentazioni e
si scusasse
per essersi
intromessa nel suo territorio, distendendo
la mano sul capo per una carezza
ed emettendo quegli strani schiocchi labiali
che sempre producono gli umani quando si trovano in presenza degli
affascinanti felini domestici.
Restarono così per un tempo indefinito, la donna a cercare di
evitare lo sguardo imbarazzante dell'animale, guardando ora il
soffitto, ora le pareti, ora i volumi ordinatamente allineati
nell'enorme libreria a parete di mogano scuro, la
gatta fissandola
dritta, senza distogliere lo sguardo nemmeno per un istante.
Fu Medea a rompere il ghiaccio scagliandosi in terra, balzandole
addosso e sistemandolesi in grembo; l'istinto materno e
l'amore per i gatti prevalsero
congiuntamente, sicché, dopo pochi secondi, si scoprì ad
accarezzarla con tenerezza e familiarità.
Appoggiò la testa contro l'alto schienale della poltrona e,
continuando le carezze al corpo serico e
arrendevole del siamese,
che dispiegava tutti i suoi ron-ron nelle più disparate
tonalità, chiuse gli occhi e s'assopì.
Immediatamente una galleria di personaggi le si parò innanzi, in
fila, ben allineati, come
fossero in sua attesa da lungo tempo: riconobbe volti e figure
care, facce dei luoghi della sua infanzia, amici e conoscenti,
umani ed animali, e tutti erano sorridenti e della stessa età che
avevano quando lei aveva abitato in quella casa in collina.
Le belle stanze del villino giallo cominciarono ad animarsi e a
produrre suoni, rumori, profumi e odori che ben riconosceva
appartenere ad un tempo lontano...
Un cane abbaiava festoso tra i prati dietro al cancello, le rose
rosse e gialle fiorivano in un effluvio così intenso da stordire,
una gatta si esibiva in prodigiose acrobazie dietro ad
una pallina legata ad un filo e trascinata per tutta la casa, in
allegra euforia i ragazzi ritornavano da scuola accolti dagli
abbracci affettuosi del nonno che passeggiava nel giardino. Una
figura minuta, dagli occhi celesti ed i capelli canuti annodati a
crocchia bassa sulla nuca, la nonna, annunciava a gran voce il
ritorno dei suoi nipoti dei quali menava tanto vanto, quasi
fossero suoi figli. Tra poco sarebbe ritornato dal lavoro anche il
capofamiglia, e sua moglie avrebbe chiamato tutti a raccolta.
Ci
si sarebbe ritrovati intorno ad un grande tavolo ovale sistemato
contro una portafinestra irraggiante il profumo intenso dei
gelsomini rampicanti, abbarbicati lungo i muri del villino,
confuso con quello delicato delle rose di prima fioritura e,
nell'aria mite della fine della primavera, e nell'effluvio delle
buone pietanze, tra il cicaleccio dei giovani, e i discorsi più
seri degli adulti, nell'abbraccio caldo di tutta la famiglia
sarebbe stato consumato il pasto. Infine anche la gatta avrebbe
fatto la sua apparizione per reclamare qualcosa di aggiuntivo al
pranzo da poco terminato nel cantuccio preferito, in solitudine e
distacco,
come si conviene ai filosofi e ai gatti...
Si riscosse giusto in tempo per accorgersi
che qualcuno era entrato nello studio e
si scusava per l'invadenza dell’ animale beatamente dormiente
sul suo ventre.
Si riscosse anche la gatta e scappò via con l'espressione
risentita di chi s'accorge di essersi lasciato andare a troppa
confidenza con una sconosciuta. Le fu chiesto chi fosse e cosa
desiderasse.
...Non dovresti andarci...
Di nuovo quel pensiero, quel ricordo, quella voce dal tono
ammonitore, forse solo saggia.
Ed ora, cosa mai avrebbe risposto all'interlocutore che l'aveva
sorpresa nel dormiveglia? Che aveva solo voluto dormire
ancora una volta in quella casa, sognare quei personaggi,
rievocare dei ricordi, rivivere un'atmosfera ormai lontana nel
tempo e nello spazio?
Ma l’incanto ormai era rotto. Medea
sgattaiolò altrove, chissà dove! Sentì se stessa balbettare
come da una distanza infinita, la udì farfugliare parole di
scusa, di rincrescimento, infine sentenziare : -" Non avrei
dovuto!...Ora devo proprio andare".
Uscì quasi correndo dalla stanza sconosciuta, dalla casa
estranea, chiudendosi alle spalle
un cancello arrugginito, uscì tra il profumo dei nivei
gelsomini spontanei e delle gialle rose
selvatiche , tra l'abbaio del cane anonimo e lo sguardo ormai
indifferente di Medea.
Ridiscese la collina senza mai voltarsi.
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