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Uomo del mio tempo
Sei ancora quello della pietra e della
fionda,
uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
- t' ho visto - dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di tortura. T'ho visto: eri tu,
con la scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri, come uccisero
gli animali che ti videro per la prima volta.
E questo sangue odora come nel giorno
quando il fratello disse all'altro fratello:
"Andiamo ai campi". E quell'eco fredda, tenace,
è giunta fino a te, dentro la tua giornata.
Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue
salite dalla terra, dimenticate i padri:
Le loro tombe affondano nella cenere,
e gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.
(Salvatore Quasimodo)
Presentazione del libro
Un giorno la mia maestra di quinta
elementare, parlandoci della seconda guerra mondiale, chiese se nella
famiglia di qualcuno di noi ci fosse un parente che l'avesse vissuta in
prima persona, forse un nonno, un vecchio zio, e se questa persona fosse
disposta a raccontare la sua esperienza alla nostra classe.
Mio nonno vive a Roma ed io in provincia di Bergamo così, anche se avesse
avuto cose da raccontare, perché aveva
vissuti quegli anni, non avrebbe potuto farlo. Allora un altro nonno venne
nella nostra classe a raccontarci la sua storia.
Quei racconti così veri e commoventi mi colpirono tanto che chiesi a mio
nonno di raccontarmi la sua esperienza e, dopo mie ripetute insistenze,
mi promise che, dopo aver consultato le sue vecchie carte ed i suoi
appunti, avrebbe scritto per me i suoi ricordi di guerra.
Ogni giorno, riga dopo riga, con uno sforzo della memoria e grande
pazienza, ne è venuto fuori un piccolo manoscritto .
Grazie nonno!
Francesca Aliberti
Rodomonte Lenti è
nato a Fiuminata, in provincia di Macerata il 28.11.1922. Ha
prestato servizio nella Guardia di finanza; oggi è pensionato e
vive a Roma. Nei suoi "Ricordi
di guerra" ha voluto lasciare testimonianza scritta dell'infelice
esperienza vissuta come prigioniero in un campo di lavoro tedesco.
E' possibile
contattarlo al seguente indirizzo di posta elettronica:
lrodomonte@libero.it
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Cap. I)
Mi arruolai nel Corpo della Guardia di Finanza il 10.05.1941 e fui
destinato al reparto d'istruzione Scuola alpina di Predazzo in
provincia di Trento. Al termine dei sei mesi del Corso Allievi
Finanzieri fui nominato Finanziere ed ammesso al corso
pratico-teorico per sciatori che si teneva al Passo Rolle; il 30 Novembre
del '41 terminò il corso e mi qualificai con "buono".
Dal 1° dicembre venni assegnato alla Brigata di confine di Crissolo, in
provincia di Cuneo, sulle pendici del Monviso. A pochi passi dalla caserma
un torrente si precipitava a valle rumoroso e schiumoso: il fiume Po.
In quel tempo l'Italia, alleata con la Germania nazista, era in guerra
contro la Gran Bretagna, la Russia e la Francia; quest' ultima era già
stata quasi interamente occupata dalle forze armate tedesche, ad eccezione
di un piccolo territorio vicino al confine italiano occupato da truppe
dell'Esercito Italiano.
A Crissolo, un piccolo paese ad oltre 1300 metri di altitudine, regnava
una calma assoluta, forse anche perché era un inverno molto freddo (20°
sotto lo zero). La Brigata era composta da un appuntato ed un finanziere
ammogliati e da un finanziere scelto, da un brigadiere e dal sottoscritto,
che invece eravamo celibi ed alloggiavamo in caserma. Ricordo che in terra
c'era la neve e faceva così freddo che la mattina trovavamo le scarpe
attaccate al pavimento con il ghiaccio.
Nel mese di marzo del 1942 arrivò l'ordine del mio trasferimento al
Comando Superiore della Guardia di Finanza d'Albania con sede a Tirana, in
viale Mussolini.
Preparativi di partenza...e dopo diversi giorni d'attesa per l'imbarco, al
comando tappa, nei pressi di Brindisi, la sera del 31 marzo, fui imbarcato
con altri militari sulla motonave Vulcania. La mattina seguente, mi pare
fosse il giorno di Pasqua, di buon'ora salpammo per Durazzo.
Arrivammo nel pomeriggio; non avevo mai viaggiato in mare, pensavo fosse
una cosa divertente, invece soffrii molto il mal di mare. Non riuscivo a
trovare il punto di bilancia della nave dove il beccheggio o il rullio era
quasi nullo.
Dopo il pernottamento in un Comando Militare di Tappa, la mattina del 2
aprile, in autobus, con altri militari, raggiunsi il raggruppamento della
Guardia di Finanza di Tirana, sede di militari in servizio in città e di
militari che, per motivi logistici, erano di passaggio tra i vari reparti
dislocati in quella zona dei Balcani.
Questo centro di raggruppamento era composto di stabili in muratura per
Comandi, Uffici, magazzini, cucine e qualche dormitorio, ma la maggior
parte degli stabili adibiti a dormitorio erano baracche in legno dove
l'igiene scarseggiava (era quasi sempre una lotta contro le cimici).
Qui dovetti subito interessarmi della mia disinfestazione, a causa dei
parassiti che avevo preso durante la tappa di Brindisi, dove mi avevano
dato della paglia nuova e una coperta sterilizzata ma ugualmente ero stato
contagiato.
Fui assegnato al servizio di guardia all'ingresso del Comando Superiore
d'Albania, distante poche decine di metri dal raggruppamento caserma.
Sullo stesso viale Mussolini vi era anche una bella Chiesa Cattolica
recentemente costruita e dove tutte le domeniche, alle ore dieci, veniva
celebrata una Messa per la Guardia di Finanza (in occasione della quale
ricordo che il finanziere Simone Attilio, tenore, cantava superbamente
l'Ave Maria). Chiunque poteva assistere a quella Messa e perciò la Chiesa
era sempre piena anche di militari di altri corpi.
Il Colonnello Palandri Enrico, comandante in capo della Guardia di Finanza
d'Albania, era magnanimo con gli Albanesi: aveva creato una specie di
Polizia Militare i cui dirigenti erano Albanesi, essi conferivano con il
Colonnello in modo confidenziale, a volte armati, ed entrambi si
salutavano come si usava in Albania. Erano stati arruolati soldati
finanzieri e, per loro musulmani, nel rispetto della loro religione, vi
era una cucina a parte.
Nel servizio che esplicavo nel turno di notte sentivo spesso, in
lontananza, degli spari. La situazione non era completamente calma, mi
dicevano che nei piccoli paesi ed in campagna quasi tutte le famiglie
avevano in casa un'arma da sparo (anche il moschetto). Tutte
riservatissime, le loro case, in genere si componevano del solo piano
terreno, erano recintate da un muro alto più di due metri e con un portone
di legno massiccio.
Cap. II)
L'8 settembre 1943 il generale Badoglio, col benestare del Re Umberto di
Savoia, firmò l'armistizio con gli angloamericani che già avevano occupato
gran parte dell'Italia meridionale, così l'Italia si trovò divisa in due:
Sud e Nord. L'Italia settentrionale fu occupata dai nazifascisti che
riorganizzarono lo Stato istituendo la Repubblica di Salò. Il Comando
Tedesco Balcanico ordinò al Comando superiore della Guardia di Finanza a
Tirana di rientrare, per via terra, nell'Italia del nord per continuare il
proprio servizio d'istituto.
Fu così che il 19 settembre, raggruppati in un unico reparto, con le
nostre armi personali, con la nostra sussistenza, con cucine da campo e
reparto sanitario, fummo avviati a piedi ed a tappe verso la stazione
ferroviaria più vicina, cioè a Bitola (in Macedonia) a circa 250
chilometri di distanza.
Nella tarda serata della prima tappa venimmo attaccati con mitragliatrici
dai partigiani che, dalle vicine colline, con megafoni, ci esortavano a
consegnare le armi e ad unirci a loro perché comunque i Tedeschi non ci
avrebbero consentito di tornare in Italia.
Sparavano alto, si sentivano le pallottole sfrondare gli alberi degli
olivi sotto i quali eravamo accampati. La nostra carovana di veicoli da
trasporto era ferma sul ciglio della strada ed i partigiani, mentre
razziavano i carri dei viveri, furono dispersi da due autoblindo tedesche
sopraggiunte da Tirana. Non vi furono né morti né feriti d'arma da fuoco.
La mattina riprendemmo la nostra marcia. Più avanti, a Struga, vennero in
accampamento alcuni militari bulgari in divisa tedesca, erano armati; con
ordini tedeschi e motivi banali ci disarmarono e non ci diedero nulla da
mangiare.
Arrivammo a Bitola stanchi ed affamati. Un finanziere richiamato, che a
Corridonia (provincia di Macerata) faceva il macellaio, ci propose di
macellare un cavallo, il migliore; assicurava che sarebbe stato
buonissimo. Difatti dopo qualche ora mangiammo carne lessa, la migliore di
tutta la mia vita, e del brodo con qualche pezzo di galletta.
Il 3 ottobre '43, a Bitola, ci fecero salire su di un treno merci e
partimmo verso il Nord. Dopo varie fermate e cambi di treno: Skopje (il 4
ottobre) Kraljevo (il 6) Belgrado (il 7) Baja (il 9) Vienna (l’11) Linz
(il 12) Ratisbona (il 12) Riesa (il 13) Poznan (il 14) Kutno (il 14)
Varsavia (il 15) Leopoli (il 16), arrivammo la sera del 16 ottobre '43
(sabato) a Biala Podlaska (Polonia) vicino ai confini con la Russia. Era
un campo di concentramento e smistamento per definitive assegnazioni.
Il 20 ottobre del '43 fui inserito in un folto gruppo di giovani militari,
quasi tutti italiani, e ci fecero ripartire in treno per raggiungere il
campo di assegnazione.
Cap. III)
La sera
del 23 ottobre arrivammo a Gorlitz, al campo M. Stammlager VIII/A.
Qui, al lager VIII/A, ci fecero la disinfestazione e profilassi: iniezione
al petto, spolverizzazione epidermica dopo la doccia, ed i vestiti furono
sterilizzati in autoclave. Ci fecero anche una foto di identificazione con
numero matricolare; il mio era il n° 91775.
Il giorno 30 un migliaio di uomini, divisi in gruppi, partirono per
raggiungere la sede di lavoro; io fui assegnato all'ottavo gruppo,
composto da circa centoventi giovani militari. La sera dello stesso giorno
arrivammo a Bunzlau (cittadina in provincia di Breslavia posta sulla
sinistra del fiume Oder) in una fonderia di ghisa denominata Klinghen
che in precedenza era stata fermata ma che poi era stata riattivata.
Trovammo una baracca dormitorio di legno, nuova, con letti a castello
nuovi, mi sembra che le stanze fossero sei, dotate di una grande stufa a
carbone (di carbone ce n'era in abbondanza).
Domenica 31 ci fu l'assegnazione del lavoro in base alle attitudini di
lavoro di ognuno e secondo le esigenze di fabbrica, nel pomeriggio riposo.
Io fui aggregato al gruppo di muratori (una decina) perché dissi che fin
da giovanissimo avevo lavorato nell' edilizia con mio padre.
Lunedì 1° novembre (per i cattolici era la festa di tutti i Santi) ebbi il
primo approccio di lavoro. Mentre tutti gli altri Italiani facenti parte
dell'8° gruppo vennero inseriti all'interno della Fonderia, o addetti allo
scarico dei vagoni ferroviari carichi di materiali vari destinati agli
altiforni, noi muratori (una decina) dovemmo fare la base in muratura, su
di un terreno in pendenza, per piazzare una nuova baracca.
Il lavoro da muratore era considerato un lavoro leggero per cui la razione
del pane e del burro era inferiore a quella dei lavoratori (schwerarbeit)
a lavoro pesante.
Da subito ci fu una selezione tra i muratori perché, sulla parte più bassa
del terreno in pendenza, per portare in piano la base di appoggio della
baracca, bisognava costruire dei pilastri e degli archi di mattoni,
compito che richiedeva capacità tecniche specifiche. In seguito il numero
dei muratori fu ulteriormente ridotto, tanto che di muratori fissi per il
complesso di fabbrica rimanemmo soltanto io ed un Francese. Spesso
dovevamo lavorare nei giorni festivi, cioè quando lo stabilimento o il
reparto erano fermi per riparazioni o sostituzioni di macchine o pezzi di
esse.
Nel campo vi erano diverse baracche, di struttura tutte uguali, per
internati militari francesi e belgi, per prigionieri russi (recintate) e
per civili di varia nazionalità d'ambo i sessi, in prevalenza ucraini e
polacchi. Vi era un corpo di Guardia di militari tedeschi addetto alle
relazioni con i militari ed i prigionieri riguardanti: la sanità (malati,
infortunati) la disciplina (intemperanze, liti, sabotaggi) i
trasferimenti. Tutto, salvo il lavoro che invece era ordinato e seguito
dalla dirigenza tecnica della fabbrica Klingen.
Dalla baracca in cui mi trovavo, a qualche chilometro di distanza, si
notava un altro insediamento industriale, si vedevano in filovia, sopra i
fabbricati, dei vagoncini in fila per il trasporto di materiale. Il
collega muratore francese mi diceva che era una fabbrica di cuivre
(rame) e che vi lavoravano gli Ebrei.
Il mese di febbraio fu il mese più brutto per me, anche se con qualche
scintilla di fortuna; proviamo a parlarne.
Chiesi al mio "mastro" di mandarmi a lavorare con il suo collega dello
scalo ferroviario, al fine di ottenere la razione di pane più grande
concessa per il lavoro più pesante, per questo fine la cosa andò bene, ma
mi feci male ad una mano, niente di grave, però mi venne un'infezione,
chiesi la visita medica e mi venne prescritto riposo in baracca e cure.
Ripresi il lavoro come muratore di supporto agli elettricisti nello
spaccio ristoro per i tedeschi. Avevo preso confidenza con le signorine
inservienti del ristoro e chiesi loro che, se alla fine dei pasti fossero
avanzati dei cibi, li avrei accettati volentieri per me ed i commilitoni
di baracca: furono meravigliose! Aderirono alla mia richiesta dicendomi di
farmi vedere ad una certa ora nei pressi dello spaccio. Io mi comportavo
come mi era stato detto: nel pomeriggio mi facevo vedere ed una signorina
mi faceva cenno di avvicinarmi, mi consegnava un secchiello pulito con del
cibo (zuppa, pasta, patate od altro). Qualche volta mi faceva cenno
negativo.
Il cibo che ci davano nei pasti convenzionali era certamente
insufficiente. Eravamo tanto deperiti che un Comitato Dirigenziale ci fece
somministrare a colazione una scodella di orzo bollito con la sua acqua,
ma non si ottennero risultati soddisfacenti. Ai militari francesi
internati arrivava un pacchetto alimentare ogni mese e spesso scambiavano
con gli italiani qualcosa di commestibile con oggetti magari anche futili.
Insomma, la preoccupazione nostra più sentita era quella di procurarci il
cibo per non deperire troppo e non ammalarci, perché, una volta ricoverato
all'ospedale, se il malanno non poteva essere risolto presto per tornare
al lavoro, il malato era destinato al "Lazzaretto" e forse sulla via dei
campi "inferi".
Io inviavo spesso i moduli ai miei genitori perché potessero spedirmi
tramite Croce Rossa dei pacchetti (ne era consentito uno al mese), ma per
quanto facessero non ci riuscivano, e quando ci riuscivano andavano rotti
o dispersi. Uno solo ne ricevetti. I miei genitori si rivolsero anche a
dei parenti che abitavano in città a Lussemburgo per farmi avere dei
pacchetti alimentari, così, anche da tali parenti ebbi un pacchetto di
pane e biscotti. Non era consentito inviare pacchi pesanti e voluminosi,
né cose che avrebbero potuto deteriorarsi.
cap. IV)
Negli ultimi giorni di febbraio mi venne una brutta foruncolosi diffusa e
mi ero gonfiato in tutto il corpo, compreso il viso: ero sfigurato!
Il militare tedesco addetto mi accompagnò, assieme agli altri chiedenti
visita medica, dal sanitario preposto, il quale mi fece fare delle analisi
(urine, sangue, etc.), mi prescrisse riposo in baracca, medicine e
medicazioni. Questo disturbo si protrasse nei primi giorni del mese di
marzo, anche con febbre. L'ultima volta che andai dal medico, questi mi
fece spremere gli ultimi due grandi foruncoli che avevo sul collo ed una
grande quantità di pus e sangue scuro mi scivolò sulla schiena ed invase
il pavimento. Mi fecero la medicazione e mi dissero:
-Puoi lavorare, però la mattina prima di andare al lavoro passa per la
medicazione. –
Passarono diversi giorni prima che i due buchi lasciati dai foruncoli si
chiudessero.
Intanto la possibilità di ritirare i cibi avanzati allo spaccio di ristoro
dei Tedeschi era diventata difficile da realizzare per impraticabilità,
cioè per esigenze di lavoro. Spesso mi era impossibile tralasciare il
lavoro nell'ora stabilita e seppure ci riuscivo a volte non trovavo nulla,
questa cosa perciò si esaurì spontaneamente, com’ era prevedibile. Un
giorno, però, vidi il solito cavallo polacco al quale era stato legato
intorno alla testa un sacchetto che spesso alzava di scatto per far
entrare in bocca la biada, così, ricordando la storia dell'orzo a
colazione, mi venne l'idea che anche la biada potesse contenere qualcosa
di buono da mangiare. Avvicinai l'uomo del cavallo, che trainava il carro
con botte di lamiera e la pompa a mano (vuotava i pozzi neri) e gli chiesi
se per un pacchetto di sigarette poteva darmi un po' della biada del
cavallo. Acconsentì e la mattina seguente, prima di andare al lavoro,
avremmo fatto il baratto.
Il baratto, nella sua pochezza, andò bene. Utilizzavo al meglio i cereali
contenuti, orzo, etc, ricevevo, quale razione mensile, un pacchetto di
sigarette e, non avendo il vizio del fumo, lo scambiavo con un sacchettino
di biada (forse un paio di chili), ne prendevo due pugni, lavandola
andavano via le pagliuzze di pula, e dentro una gavetta la facevo bollire
con un paio di patate, un poche di kohlruben, una puntina di burro
(della razione), ed ecco fatta la zuppa.
Ora mi permetto di raccontare un altro fatto strano ma vero.
Un giorno, mentre passavo lì vicino, mi accorsi che sotto il reticolato
della recinzione del comprensorio c'era un passaggio, un po' scavato nella
terra sabbiosa, dove era evidente la possibilità di passare a carponi. Al
di là vi era una bella strada pubblica alberata, con piante da frutta, e,
dall'altra parte della strada, c'era un campo di rigogliose rape. Parlai
del fatto in camerata e vi furono commenti vari. Si convenne che vi erano
delle persone che andavano a raccogliere la verdura da cuocere e mangiare.
Nessuno osava tentare, allora il "Toscanino", Susini, mi provocò e
decidemmo di provare insieme ad andare a raccoglier un po' di cime di
rapa.
La domenica mattina tentammo. Eravamo in mezzo al campo con qualche chilo
di verdura raccolta, e Susini, che stava più vicino alla strada, mi disse:
- Io ho finito, mi avvio. -
Risposi che anch'io avevo finito ma che mi era caduto il coltellino ed
intendevo recuperarlo.
Il Susini aveva spinto il suo fagotto di verdura al di là del recinto e,
mentre stava per passare anche lui, un cittadino tedesco che transitava in
bicicletta lo vide, lo fermò e lo accompagnò al Corpo di Guardia militare
all'ingresso della fabbrica. Io me ne accorsi e in tutta fretta rientrai
in baracca facendo presente il fatto. Dopo pochi minuti entrarono due
militari tedeschi, ed il capo baracca, militare anche lui, originario
della provincia di Bolzano, parlava il tedesco. Ci fecero uscire tutti e,
inquadrati, fummo contati e sottoposti all'appello; pensavano che ci fosse
stata un'evasione da parte di una o più persone.
Il Susini stava ancora al Corpo di Guardia. I militari tedeschi erano
molto adirati e, forse per indurci a dire la verità, il Capo, cominciò ad
indicare: "tu vieni fuori... tu vieni fuori...." e fece uscire dal rango
dieci internati a caso, interrogandoli e minacciando esemplari sanzioni.
Della questione ne venne a conoscenza la Direzione della fabbrica e alla
fine non fu difficile dimostrare, con il fagotto della verdura all'interno
del recinto, che non vi era stata evasione di sorta ma solo un tentativo
di attenuare i morsi della fame. Il Susini venne redarguito e ammonito
severamente, punito con due secchi di acqua gelata addosso. Durante la
decimazione il primo ad uscire dalle file era stato Lucarelli, mio
compagno di stanza, che indignato per la sua malasorte, ripeteva:
-Quando si tratta di far la conta per l'assegnazione delle ossa
bollite... a Lucarelli mai un osso, ma se si tratta della decimazione...
Lucarelli è il primo ad essere chiamato!-
Cap. V)
Nell'estate del 1944 (non ricordo la data precisa) vennero in baracca due
militari tedeschi e ci annunciarono che il Duce ed il Fuhrer avevano
deciso che i militari italiani venissero internati come civili e come tali
considerati a tutti gli effetti, cioè, dopo gli impegni di lavoro erano
liberi di uscire e di essere pagati con la valuta corrente in Germania (i
reichsmark). I due militari ci dissero anche che chi di noi avesse
voluto arruolarsi nei reparti militari avrebbe potuto farlo conservando il
grado che aveva; nessuno aderì. La libertà di uscire per noi era
importante per andare nei campi a "spigolare" spighe di grano e patatine e
poter frequentare locali pubblici.
Una volta, in una birreria, ero con il mio amico Quarchioni, incontrammo
un sottufficiale tedesco attempato, ci salutò in italiano e ci mettemmo a
conversare, ci raccontò di essere stato oltre che in Italia anche in
Spagna, in Francia, etc. Si rammaricava per tutte le distruzioni e per le
grandi sofferenze dei popoli in guerra, diceva che si sarebbe potuto
evitare tutto questo con la democrazia, il referendum, le votazioni
europee, chiedendoci se eravamo d'accordo. Noi rimanemmo un po' perplessi,
perché sentir dire queste cose con una tale semplicità e chiarezza da un
"nazista" era strano, soprattutto per noi, nati nel fascismo, che
conoscevamo solo molto vagamente il significato di tali sistemi
democratici. Comunque non solo eravamo d'accordo, ma ci sentivamo
mortificati ed un po' arrabbiati. Bevemmo la birra insieme e ci salutammo
cordialmente.
In quei giorni c'era stato l'attentato al Fuhrer ed una grande sbandata
politica. Sui volti dei Tedeschi si notava un senso di smarrimento ma poi
si diffuse una propaganda secondo la quale, anche se sui fronti di guerra
le loro truppe perdevano terreno, la guerra avrebbe potuto risolversi a
loro favore da un giorno all'altro. Intendevano far capire, forse, che
erano a buon punto nella realizzazione della bomba H.
In realtà neanche i razzi V/1 e V/2 teleguidati su Londra , con il loro
carico esplosivo, diedero i risultati sperati. I Londinesi, dopo un primo
momento di sbigottimento, furono tranquillizzati dagli ottimi risultati
ottenuti dalla contraerea e dai caccia spitfire, che abbattevano i
missili prima che arrivassero su Londra utilizzando dei Radar che erano in
grado di intercettarli ancora prima che entrassero in territorio inglese.
Ovviamente i Tedeschi smisero di fabbricare V/2 ed il relativo personale
affluì ai laboratori di ricerca nucleare.
Intanto la mia salute stava migliorando perché, oltre ad aver ottenuta la
razione viveri maggiore, cioè quella del lavoro pesante, mi ero arrivato
un pacchetto alimentare dai miei genitori che vivevano a Fiuminata, in
provincia di Macerata, un altro mi arrivò dal Lussemburgo. Inoltre avevo
conosciuto dei militari francesi internati con i quali scambiavo degli
oggetti con cose alimentari. C'erano alcuni Francesi che stavano in
Germania già da alcuni anni ed avevano più opportunità dovute a più
conoscenze. Una volta scambiai un paio di mutandoni di lana per un chilo
di pane per cinque settimane.
Una mattina il Capomastro mi disse: "Lui', dobbiamo costruire una piscina"
(mi ha chiamato Lui' fin dal principio ma non ho mai capito il perché).
Gli risposi che era una cosa buona perché faceva parecchio caldo... si
fece una risatina. Dopo seppi che si trattava di un deposito d'acqua, una
riserva per eventuali necessità: "la guerra?".
Infatti! Erano i primi giorni del mese di luglio del '44, il Meister
fece costruire una piccola ferrovia da carrelli per lo sgombero del
materiale dello scavo, fece portare una macchina tappeto-rullante
elettrica per il caricamento del terriccio dello scavo su di un vagoncino
carrello da portare alla discarica. Due prigionieri russi erano addetti a
rimuovere la terra con il piccone e altri due al carrello. Due giovani
donne ucraine con la pala gettavano la terra nella tramoggia del tappeto
rullante che ruotando la scaricava nel vagoncino. Vi era anche un militare
internato francese "cappellano militare", robusto, che accostava la terra
con la pala vicino alla tramoggia (ed anche dentro). Un giorno una donna
tirò fuori dal seno un piccolo crocifisso e, baciandolo, lo mostrò al
prete (in Russia c'era il comunismo ateo).
Io curavo la parte tecnica seguendo le indicazioni del Meister e
del progetto (i Russi mi chiamavano geometra). Tale lavoro fu
relativamente lungo; comunque verso la fine dell'estate la "piscina" era
piena d'acqua.
Cap. VI)
Intanto la guerra aveva preso una svolta precisa e irreversibile: lo
sbarco degli angloamericani in Normandia, dove si erano attestati
saldamente con uomini e mezzi di ogni tipo.
Il Generale De Gaulle con la sua armata, dalla Francia, riconquistava il
terreno perduto. Così, i Tedeschi furono costretti a spostare dal fronte
russo a questo nuovo fronte ingenti reparti armati, favorendo i Russi alla
riconquista di molte posizioni, permettendogli di avanzare a scacchiera ma
implacabilmente.
In quel tempo le autorità militari e civili del settore di Bunzlau
mobilitavano tante persone giovani idonee al lavoro, tre le quali anche
noi della fonderia Klingen, per formarne un treno e mandarle a fine
settimana (sabato e domenica) oltre il fiume Oder in provincia di
Breslavia, a scavare fossi e ostacoli anticarro per frenare l'avanzata
russa.
Una sera, mentre io e Quarchioni Armando eravamo in "libera uscita",
passammo nel luogo dove gli Italiani solevano incontrarsi per conoscere
altri connazionali, incontrammo un nuovo comprovinciale (della provincia
di Macerata) del land di Camerino.
Facemmo conoscenza: si chiamava Misici Zeno, lavorava presso un forno ed
aveva in tasca, in un cartoccio, qualche etto di farina che ci offrì e che
accettammo con gioia. Così lo invitammo per la domenica successiva nella
nostra baracca, per mangiare insieme gli gnocchi di patate fatti con la
sua farina.Questi incontri si ripeterono altre volte e decidemmo che a
fine conflitto saremmo tornati in Italia insieme.
Intanto il tempo passava, l'armata russa si avvicinava, trascorremmo le
feste natalizie abbastanza tranquillamente, convinti che le feste
successive le avremmo passate in famiglia.
L'inverno fu molto freddo, ricordo che una notte la temperatura andò sotto
i trentacinque gradi e sentimmo dire che vi erano stai dei morti per
assideramento sulla strada, persone molto anziane e bambini, che
scappavano dal fronte di guerra russo. Vidi due prigionieri di guerra
russi del nostro comprensorio rompere il ghiaccio e tuffarsi nell'acqua
sotto il ghiaccio, perché, dicevano, l'acqua era più calda.
Nel mese di febbraio del 1945 l'Armata Russa incalzava ed era vicina,
fummo inquadrati da militari tedeschi ed a piedi evacuammo la zona in
direzione di Dresda, ma la notte del secondo giorno di marcia (c'erano
venti centimetri di neve) decine di aerei americani, le famose "Fortezze
Volanti" bombardavano la città causando migliaia di morti e feriti. Gli
aerei venivano ad ondate. Dresda fu semidistrutta dalle bombe e dagli
incendi.
A causa dei bombardamenti ci fecero cambiare direzione di marcia e ci
condussero a Lipsia. Qui venimmo alloggiati in un Liceo bombardato da
aerei in precedenza, ma che, per la maggior parte, era rimasto intatto. Le
aule furono usate come dormitori. Vi erano alloggiati anche "civili" di
varie nazionalità e oltre agli uomini vi erano donne e qualche bambino.
Durante il mese di marzo quasi tutte le notti ci furono allarmi aerei e
successivi bombardamenti, diretti in prevalenza al nodo ferroviario di
Lipsia, ma le bombe cadevano anche in città, e alla mattina venivano
alcuni militari armati tedeschi a prelevare tutti gli uomini idonei al
lavoro per accompagnarci al cimitero, dove ci facevano scavare le fosse
per i morti uccisi dai bombardamenti. La sera ci riaccompagnavano agli
alloggi, a piedi, a circa un'ora di marcia.
Cap. VII)
Il 18 Aprile 1945 le truppe americane entrarono a Lipsia e rimanemmo
completamente liberi per oltre due mesi con gli Americani.
Furono i due mesi più belli della mia vita, libero e senza pensieri!
Ci davano circa 1.800 calorie di generi alimentari conservati (salvo
duecento grammi di pane) pro capite. La razione comprendeva biscotti,
gallette, formaggi, burro, marmellata, cioccolato, fagioli in scatola,
frutta in scatola, ed altro. In Piazza della Stazione si era creato un
mercato spontaneo considerevole di scambio di tali generi con cibi freschi
ed altro portati dai civili tedeschi. Io feci amicizia con una ragazza del
posto, di nome Elen, per merito del cioccolato.
In seguito gli Americani ed i Russi si accordarono per creare una linea di
demarcazione fra i due eserciti, più regolare, meno frastagliata. Così, la
zona di Lipsia rimase ai Russi e noi internati militari rimanemmo con
loro, quasi abbandonati, per circa un mese. I Russi, ci trasferirono in
baracche che erano state alloggi di operai della fabbrica di ceramica Asag,
dove c'erano già altri italiani civili e militari, fra questi alcuni
ufficiali erano a capo dell'aggregazione in attesa di farci passare il più
presto possibile dalla parte americana.
Alle reiterate richieste al Comando Russo da parte dei nostri Ufficiali
Superiori veniva risposto che gli Americani non erano pronti per ricevere
una moltitudine di gente quale eravamo noi e ad un certo punto i Russi
dissero: "sotto la vostra responsabilità e con il nostro consenso potete
andare alla stazione, allestire un treno e partire per Hof, città dove gli
Americani hanno un centro di direzione e comando".
Tra la nostra gente fu reperito il personale capace per tale scopo e l'8
luglio del '45 un lungo treno, carico di persone, partì alla volta di Hof.
Il convoglio, dopo circa un paio d'ore di marcia, si fermò e non andò più
avanti. Era la linea di confine tra i Russi e gli Americani. Questi non ci
lasciarono passare, non avevano nessun ordine, non erano stati né
avvertiti né autorizzati dai loro superiori. Chiamati al telefono, dissero
che non avevano la possibilità di accogliere tale massa di gente (si
parlava di oltre duemila persone).
Non era ancora mezzogiorno, le persone scendevano dal treno e si
disperdevano, molte razziarono un grande campo di patate che ancora non
erano state raccolte perché non ancora mature. Nel primo pomeriggio
vedemmo una donna ed un uomo che piangevano disperati, erano i proprietari
del campo di patate. Le patate per loro erano un alimento fondamentale,
come il pane per noi. Io e Quarchioni non ci perdemmo d'animo, da una
pattuglia di militari russi, in perlustrazione sulla linea di confine,
capimmo che poco lontano, a sud, a non molti chilometri, c'era un
insediamento militare russo con un campo di raccolta per sbandati, e c’
incamminammo. Per fortuna era una bella giornata, la sera dopo arrivammo a
Sonneberg (mi sembra nella zona di Erfurt, ad una quarantina di
chilometri), in un campo precario russo, per militari di passaggio. Qui ci
diedero una gavetta di brodo caldo con relativo pezzo di carne e del pane.
Fu una cosa graditissima perché, oltre a soddisfare la fame, era dal tempo
in cui eravamo passati per Bitola, dove nel '43 macellammo il cavallo, che
non mangiavo carne in quel modo.
Dopo qualche giorno (24 luglio 1945) i Russi ci imbarcarono su di un
convoglio ferroviario insieme agli Austriaci e ci fecero partire per il
sud: Guttenfurt, zona di demarcazione tra Russi e Americani. I Russi ci
passarono in consegna agli Americani con rapidi controlli e le formalità
del caso, poi proseguimmo per Hof. Qui gli Americani ci sistemarono in un
centro di smistamento, ci fecero fare la disinfestazione totale, e chi ne
aveva bisogno passava alla visita sanitaria con eventuali cure essenziali.
Ci diedero da mangiare e da dormire. Il giorno 27 luglio del '45 ci fecero
riprendere il viaggio per l'Italia in ferrovia.
Dopo varie fermate e soste, Furth (il giorno 28), Monaco (il 29),
Innsbruck (il 30), Brennero (il 31), raggiungemmo Pescantina in provincia
di Verona, centro di raccolta di tutti i reduci militari.
Qui, a Pescantina, un Comitato Militare Italiano registrava il nostro
stato militare, ci forniva le prime assistenza procurando anche qualche
capo di vestiario a chi ne aveva bisogno. Mi diedero del denaro che mi
venne annotato sul foglio di licenza (due mesi da trascorrere in famiglia)
e che allo scadere, rientrando al Corpo di appartenenza, avrei dovuto
riconsegnare.
Cap. VIII)
La mattina del giorno 2 agosto 1945, io ed il mio compagno Quarchioni,
ripartimmo con un treno militare diretto al sud, costa adriatica. Prima di
rientrare in famiglia, però, decidemmo di verificare il nostro stato
generale di salute e di riambientamento. Scendemmo quindi a Bologna,
andammo al comando tappa presso la caserma di Artiglieria, dove restammo
fino al 5 agosto. In questi tre giorni fummo sottoposti ad accertamenti
sanitari, visitammo la città e andammo a piedi al santuario di San Luca.
Riprendemmo poi un treno per il sud adriatico, scendemmo a Civitanova
Marche, risalimmo su di un altro treno che avrebbe dovuto arrivare a
Fabriano ma che invece si fermò a Macerata, perché più avanti i ponti
della ferrovia sul fiume Potenza erano stati tutti distrutti dai tedeschi.
Non ci scoraggiammo e, con mezzi di fortuna, arrivammo alle nostre case:
Quarchioni a Corridonia ed io a Fiuminata.
Mi è gradito raccontare del mezzo di fortuna che da Macerata mi portò a
Pioraco e poi a Fiuminata.
Mi ero informato circa i mezzi pubblici di trasporto da Macerata a
Fiuminata ed avevo saputo che l'autobus c'era il mercoledì ed il sabato.
Era lunedì e non sopportavo l'idea di dover aspettare fino al mercoledì al
posto di ristoro e tappa dove poco prima avevo mangiato; tanta era l'ansia
di arrivare che decisi di andare a piedi con il mio zaino, con la speranza
di trovare qualcuno che mi desse un passaggio (mancavano 50km circa per
arrivare a casa, ne avevo percorsi già centinaia a piedi!).
Mentre stavo per lasciare la città mi fermò un giovane chiedendomi se
fossi un reduce della Germania e dove andassi. Alla mia risposta, "Fiuminata",
fece un salto di gioia e mi disse:
- Sei fortunato, tra poco passerà qui il signor Rossi di Sefro per
ritirare un sacchetto di farina, è venuto a Macerata con il camion a
prendere del materiale per fare l'allevamento di trote che sta costruendo
con i Lenti di Fiuminata. Ma tu chi sei?-
Risposi:
-Lenti. –
-Ma no, non è possibile, tanta gioia in due minuti. Si, perché tu
certamente ignori che i tuoi familiari sanno che sei deceduto sotto un
bombardamento aereo in Germania da parte dei Russi.- Così, in quel momento
ero io ad essere frastornato.
Questo giovanotto che mi aveva fermato aveva lavorato a Fiuminata, in un
mulino del luogo, e conosceva la mia famiglia.
Comunque dopo poco tempo arrivò il signor Rossi con il suo camion. Messo
al corrente del caso, anche lui sorpreso e meravigliato, mi disse che era
un privilegio portare a casa il figlio a Luciano Lenti; prese il suo
sacchetto di farina e partimmo.
A San Severino Marche ci fermammo a caricare, in fabbrica, delle
piastrelle di cemento.
A Pioraco scendemmo dall'autocarro, anche perché Sefro non era sulla
strada di Fiuminata, ed un signore vedendo passare un reduce si avvicinò
per fare domande, in questo modo si diffuse rapidamente la notizia.
Dopo pochi minuti ero circondato da decine di persone che facevano
domande; una signora mi baciava le mani e piangeva, le chiesi perché
facesse così "io non la conosco, ci deve essere un equivoco.. .
- No signor Lenti, nessun equivoco, io sono la mamma di Gisleno Vitali il
ragazzo che era sul treno merci, viaggiavate verso nord, in Jugoslavia,
gli comprasti un filone di pane e qualche mela dagli indigeni che
chiedevano tabacco e sigarette in cambio dei loro generi alimentari,
generi che scarseggiavano anche per loro.-
Allora mi tornò in mente quel ragazzo affamato che sul treno mi aveva
chiesto un pezzo di pane perché non aveva più nulla da scambiare. Erano
già diversi giorni che mangiavamo poco e male e da quel tempo abbiamo
avuto sempre fame.
Era già l'imbrunire, il taxi da rimessa che il signor Rossi aveva chiamato
era lì che aspettava, un saluto sommario a quella gente e via, gli ultimi
cinque chilometri, dopo più di tre anni che mancavo dalla famiglia, da
Fiuminata.
Avevo saputo della triste ed ossessionante notizia sulla presunta mia
morte e dello stato d'animo in cui si trovavano i miei familiari perciò
avevo il timore di provocare una devastante sorpresa, cercammo allora di
procedere con molta cautela.
Prima incontrammo alcuni compaesani che chiamarono e parlarono con i miei
fratelli, questi poi scherzando e ridendo tutti insieme cercavano di
apparire burloni, di sdrammatizzare quel momento, accompagnandomi dai miei
carissimi genitori. Riabbracciai i miei cari e insieme a loro piansi per
la commozione. Seguì la festa con vino e dolci fino a tarda sera.
Cap. IX)
Ora vorrei spiegare come nacque l'equivoco sulla mia presunta morte.
Il giorno dell'evacuazione dalla zona di Bunzlau ci fu un bombardamento
aereo da parte dei Russi ed uno spezzone cadde anche sulla baracca,
proprio accanto al mio letto, ma io non c'ero. Nel letto accanto al mio
c'era un certo Sagradin della provincia di Rovigo, che rimase gravemente
ferito. Il mio compagno Quarchioni mi aveva indotto a lasciare il pasto
sul tavolo e a seguirlo in fabbrica per fare la doccia prima di partire.
Mentre eravamo in fabbrica ci fu il bombardamento e il mitragliamento da
parte di tre aerei russi che colpirono anche la baracca dei prigionieri
russi incendiandola. Io e Quarchioni uscimmo dalla fonderia mentre si
udivano ancora gli aerei in volo, vi era un fuggi fuggi di persone,
devastazioni ed incendi. Corremmo in baracca, trovammo la devastazione
provocata dalla bomba ed il sangue di Sagradin che avevano già
trasportato, prendemmo le nostre cose più utili con lo zaino ed andammo al
raduno dei militari internati, organizzato da militari tedeschi.
Dopo questi fatti, venne a cercarci Misici Zeno, il nostro amico di
Camerino, con il quale eravamo d'accordo di scappare tutti e tre insieme.
Misici nel vedere tutto quel sangue vicino al mio posto letto, lo squarcio
fatto dalla bomba e la mia scodella rotta con dentro ancora la zuppa,
tornò indietro deluso e turbato. Ebbe la fortuna di tornare a casa circa
un mese prima di noi. Incontrò per caso a Camerino un carabiniere lì in
servizio ma di una frazione del Comune di Fiuminata, ed a lui raccontò
quello che aveva visto. Il carabiniere trasmise la notizia a dei parenti
che erano andati a trovarlo e loro tornati al paese fecero altrettanto con
altre persone finché la notizia, non molto chiara, arrivò ai miei
familiari. Essi si rivolsero alle autorità civili e militari, ma non
ricevettero nessuna notizia. Cercarono di andare alla fonte della notizia.
Mio fratello Angelo rintracciò il Misici vicino Camerino, mentre stava
lavorando nel campo di una tenuta. Il Misici vedendo mio fratello da
lontano esclamò:
- Caro Lenti, che piacere rivederti, che bello, sei tornato a casa anche
tu !-
Allora mio fratello capì che Misici non aveva visto il Lenti di Bunzlau
deceduto, né altri lo aveva mai affermato, però la famiglia rimase con
questo dubbio ossessionante, dubbio che svanì quella sera del mese di
agosto al mio arrivo a Fiuminata.
Verso la fine del mese di Ottobre del 1945 arrivò la mia assegnazione alla
legione della Guardia di Finanza di Milano e fui inserito nella Brigata di
confine di Lozzo in Val Veddasca.
Ma qui comincia un'altra storia...
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