Nota critica al racconto di

 Fabio Lentini

L' ultimo valzer

Somnia ne cures, nam mens humana quod optat,
dum vigilat sperat, per somnum cernit id ipsum.

Non badare ai sogni : ciò che la mente umana desidera,
quando è sveglio lo spera, nel sogno lo vede realizzato.

(distico di Catone, 2, 31)

 

Ora che Arturo, suo marito, non c’è più, Chiara è prigioniera: prigioniera delle pallide giornate autunnali; prigioniera del tempo, il ruvido bozzolo,  che, inesorabile, è trascorso; prigioniera della casa nella quale si trascina stancamente; prigioniera degli oggetti che le ricordano gli anni andati e nei quali cerca conforto; prigioniera dei suoi ricordi, i fantasmi del passato,  che, pure se le fanno compagnia, implacabili ravvivano la sua nostalgia, la sua malinconia, la sua tristezza.
Eppure c’è un luogo nel quale lei amerebbe vivere da prigioniera, restarci davvero per sempre: il palazzo delle feste in cui magicamente è stata trasportata quando si è arresa alla notte stanca ed avvilita…sprofondando nel suo mondo arcano e sconosciuto.
Qui è il suo papà che l’ ha condotta, ed ora Chiara  danza sulle note della  musica preferita, “Il valzer dei fiori”,  fra le braccia del ritrovato marito, circondata dai suoi cari,  dagli amici, in ritrovata bellezza (le rughe misteriosamente scomparsele caviglie sottili e vellutate), e il tempo non è mai trascorso, ed è sfolgorante di giovinezza nel suo bellissimo abito bianco, mentre, col cuore appagato, volteggia fra le braccia del suo Arturo innamorato e, sorridendo divertita, si premura  che la sua barba sia ben rasata perché non le graffi le guance……
Ma è solo un sogno, ed è proprio Arturo a riportarla alla realtà quando, all’affermazione di Chiara, Adesso staremo sempre insieme, obietta: Non è ancora il momento!
Ma, insieme alla disillusione,  Arturo le offre pure una speranza a cui aggrapparsi, nel buio in cui sta per risprofondare le lascia intravedere uno spiraglio di luce: non è tutto soltanto un’illusione, si ritroveranno, un giorno si ritroveranno.
Dunque con la morte non finisce tutto, esiste un dopo nel quale credere in forza dell’amore, della fede,  e ritrovarsi, certo, quando verrà il momento, quando sarà il tempo giusto?
L’alba ridesta Chiara che, anche se riprende gli abituali gesti quotidiani (si alza dal letto, indossa la vestaglia, si prepara il caffè),  si scopre ancora pervasa dalle piacevoli sensazioni del sogno notturno; sogno, sì, perché di questo s’è trattato, solo di sogno… ma allora perché, guardandosi allo specchio, ritrova sul suo volto i segni impressi dalla barba di Arturo? Chiara avrà sognato realmente?
Il sogno, romanticamente, illude, consola; le l’interpretazione psicoanalitiche  chiariscono che col travestimento onirico l’individuo attua una sorta di metafora in cui confluiscono pulsioni  a lungo represse nello stato di veglia; gl’Indiani d’America, invece, credono che di notte il corpo effettivamente vaghi in un’altra dimensione e lì viva realmente un’altra vita, una vita parallela: non potrebbe essere effettivamente così? Perché ostinarsi a credere solo nel visibile negando assolutamente l’invisibile perché non immediatamente rilevato dai sensi? Esiste davvero soltanto ciò che vediamo o esiste pure qualcosa d’altro che non ci è concesso vedere ma in cui solo credere?
E questo l’interrogativo principale che suscita “L’ultimo valzer” di Fabio Lentini, un  delizioso racconto fluido, scorrevole, ben curato (pregio notevole, questo, in tempi come i nostri in cui spesso gli scrittori incorrono nella sciatteria linguistica, sottomettendo la forma al contenuto), impreziosito talvolta da espressioni ed immagini anche ricercate, mai leziose, comunque sempre in armonia con l’intera struttura narrativa, e da numerosi passaggi poetici che potrebbero costituire l’incipit di componimenti in versi.
In sospensione tra dimensione reale ed onirica, gotico e fiabesco  è proprio ad una bella fiaba musicale che l’Autore si è ispirato: il balletto “Lo schiaccianoci” ( tratto dalla favola di Hoffman musicata da Ciaikowskij) chiamando la protagonista “Clara” (come ribattezzò in Francia la protagonista, in origine Maria,  Alexandre  Dumas  che ne  reinterpretò la storia) e facendole danzare “Il valzer dei fiori”.
Dalla realtà al sogno alla realtà che lascia intendere che forse il sogno qualcosa di reale pure contiene; forse sogno e realtà sono solo due piani diversi di una stessa dimensione: è questo che sembra suggerire lo scrittore.
Anche  a questo racconto, come al balletto ciaikowskijano (il cui messaggio sembra essere che i timori dell’infanzia possono essere fugati), si può guardare come ad un espediente letterario  per poter esorcizzare le paure che ognuno di noi reca dentro di sé del “dopo”, ma, anche se il dopo non “esistesse”, se  è vero che, come insegnavano gli antichi, “ciò che la mente umana desidera, quando è sveglio lo spera, nel sogno lo vede realizzato” (…mens humana quod optat, dum vigilat sperat, per somnum cernit id ipsu ), perché non abbandonarsi alla pur vivificante illusione del sogno se è piacevole ed appagante proprio come danzare un giro di valzer tra le braccia di chi si ama?

 

Francesca Santucci

 (gennaio 2004)

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