Gianmario Lucini
Quel lucchetto ai cervelli
...non vogliate negar l’esperienza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza".
(Dante, Inferno, XXVI)
E’ di questi giorni l’infelice espressione del premio Nobel, Rita Levi Montalcini, in occasione della furibonda diatriba intorno alle colture transgeniche: “non si può mettere il lucchetto ai cervelli”. Ora, il candore e insieme l’arroganza di questa affermazione mi hanno proprio fatto uscire dai gangheri, ma cercherò qui il tono misurato, perché con l’ira certe questioni non si possono discutere.
Candore e arroganza, ho scritto, e non a caso.
Candore, ingenuità, persino incoscienza intravvediamo in questa affermazione: infatti non è necessario essere dei maestri del sospetto, per accorgersi che la scienza, non è, non fu e, se le attuali premesse producono conseguenti risultati, non sarà mai libera. Tralasciamo, in ogni caso, l’esame dei tempi passati e limitiamoci ai nostri tempi. Per miope che possa essere, io non vedo una scienza libera, se non nelle convinzioni ideologiche della signora Montalcini. Vedo invece una scienza che ha fini e obiettivi, più o meno leciti, decisi non certo dalla comunità scientifica. Parlare di una scienza “libera” non ha senso: sarebbe come ipotizzare un comportamento senza scopo. Solo l’arte è “libera”, o la filosofia, e anch’esse soltanto quando non hanno scopi decisi consciamente o inconsciamente, da fattori esterni a esse discipline. Avrebbe più senso parlare di una scienza “per la libertà”, un po’ come la vedeva Popper, ossia, una scienza che ha come fine la salvaguardia della libertà dell’uomo; ma allora ci si dovrebbe, anche qui, intendere bene su che cosa sia questa libertà - il che non è poco e, per l’economia del discorso, lo lasciamo in sospeso, limitandoci a soggiungere che nessuno (NESSUNO) ha mai dato una definizione assoluta o anche solo ragionevolmente sicura di questo concetto. Solo definizioni credibili, intuibili, apprezzabili. Ma sempre discutibili.
La scienza ha invece uno scopo, ed è su questo scopo che la comunità umana pretende il controllo. Contrapporsi, come fanno gli scienziati, a questo diritto, questo è, sì, oscurantismo, e dei più biechi.
E, tanto per essere logici, empirici e deduttivi fino in fondo, sfido qualsiasi scienziato ad indicare un qualche tipo di ricerca che sia:
a) libera dal finanziamento pubblico, al quale tutti noi concorriamo e che, con così leggera e noncalante arroganza, si vuol sottrarre al nostro controllo;
b) e, nel caso esista, se è davvero libera da obiettivi di guadagno - se si esclude una certa area, in ogni caso mal finanziata, sorretta da quelle esigenze “etiche” che la scienza pretenderebbe di assorbire in sé;
c) libera dall’imperativo tecnologico; perché è la tecnologia, non la scienza, la vera spinta propulsiva alla ricerca scientifica, e la scienza, che rivendica la sua libertà di iniziativa come diritto non sindacabile dalla comunità non scientifica, proprio di fronte alla tecnologia non lo sa difendere (ovvio, perché ci vogliono principi etici e non scientifici, per tentare la via della libertà).
Ora, l’assenza di un’etica assoluta, di una metafisica, di un modo di pensare unitario (un “paradigma”, avrebbe detto Kuhn), non può autorizzare la scienza ad invadere campi che non sono suoi – che sono di tutti gli uomini, compresi ovviamente gli scienziati - e sottrarli al nostro controllo. Ed è appunto il confronto sulle idee o, come neoilluministicamente direbbe Habermas, l’etica del discorso, lo strumento che ci permette di tentare un accordo e surrogare l’impasse del relativo – o semplicemente l’orrore di fronte al vuoto che già Nietzsche profetizzò nel secolo XIX. Ebbene, l’affermazione della Montalcini rappresenta, con una metafora un po’ banale ma estremamente efficace, tutto l’opposto rispetto al confronto. E, seguendo il filo di questo ragionamento, sarebbe anche legittima qualsiasi affermazione di principio in altri campi per liberarsi dai “lacci e laccioli”, come diceva un ex Presidente di Confindustria, Carli, del controllo sociale, fare di testa propria nel proprio orticello – come se il proprio orticello avesse, tra l’altro, sempre confini chiari e indiscutibili. Sarebbe allora sostenibile che gli insegnanti si sottraggano al giudizio delle famiglie e degli studiosi di psicologia e pedagogia in nome della “libertà di insegnamento”, che gli architetti costruiscano le case come sembra giusto a loro, che i medici considerino la cura (e forse è già è così), qualcosa che non deve interessare al malato ma di cui debba preoccuparsi solo il medico, e via dicendo. E’ la logica conseguenza di considerare “cosa propria” la scienza. Così come, risvolto della medaglia, è il luogo comune degli scienziati (credo sia stato Poincaré a teorizzarlo per primo), che lo scienziato non debba occuparsi dei fini (del télos) nella ricerca, per non comprometterne la purezza. Con le conseguenze sul piano pratico che la signora Montalcini, nonostante la sua veneranda età, sembra proprio non aver ancora capito. Troppo comodo: limiti e confini astratti, che non rispondono alla logica di sistema, che mi pare un paradigma più rappresentativo della realtà fisica e sociale del pianeta; deresponsabilizzazione e insieme copertura a fini che spesso non sono certo umanitari o volti al progresso. Questa è anarchia individualista, non scienza.
La scienza insomma, come tutte le discipline e tutti i comportamenti umani, è un aspetto della vita umana, un comportamento sociale, integrato nel sistema-mondo, che non può sottrarsi al giudizio su di essa, ma non da parte dei soli scienziati, se di libertà e di democrazia si vuol parlare. Esiste, ad esempio, da sempre una filosofia della scienza, che ha fornito l’apporto decisivo di alcuni pensatori – ricordiamo, nel nostro secolo, nomi come quelli di Popper, di Feyerabend, di Agassi, di Kuhn, Lakatos, ecc. – ed è sul terreno della filosofia della scienza che deve essere portata la discussione sulla libertà della scienza. Sottrarsi a questo confronto in nome della libertà di azione nel proprio orticello, non produce un vantaggio per la scienza, ma paradossalmente la impoverisce, la ghettizza, la riduce sempre più a serva sciocca della tecnica. La scienza insomma, non è un sapere, ma è un agire, con buona pace delle ideologie montalciniane. E in questo agire deve scegliersi gli alleati, deve sapere con chi sta: o con la gente o con una tecnologia acefala (in apparenza). Quando si conosce, non si può fare a meno di agire: ed è proprio la sperimentazione scientifica la prova evidente di questo meccanismo, dalla bomba H su Hiroshima in poi. Prima della sperimentazione occorre il dibattito, la scelta collettiva (che è l’atto di libertà essenziale, che ora non c’è).
E poi: che significa “mettere il lucchetto ai cervelli” A quali cervelli? Perché quando Zichichi o il Circolo di Roma indicono i loro congressi e rendono pubblici dati catastrofici (che, attenzione, si stanno avverando!: ho bene in mente le cose che dicevano 20 anni fa!) sul divenire del pianeta non sono creduti o sono snobbati (quattro pacche sulle spalle, come sei bravo e chi s’è visto s’è visto), mentre se un qualsiasi ciarlatano che si spaccia per “giornalista scientifico” spara quattro miserande scemate sugli straordinari vantaggi per l’umanità applicando su vasta scala le coltivazioni transgeniche, viene creduto? Chi è il cervello: Zichichi che dice una cosa o lo scienziato che imbecca il giornalista che a sua volta ce la vende come verità? Sta bene allora, mi scelgo io il cervello che voglio. E a questo punto, ripeto, è come non sceglierlo. Non esiste, infatti, un’autorità scientifica che io possa riconoscere, perché anche nella scienza nulla è assoluto, neppure le formule (che in seguito ad altre scoperte potrebbero risultare parziali, inadeguate, o anche dannose, come è capitato per le miracolose formule degli antiparassitari), esattamente come nell’arte – quello che vediamo come intelligenza e fantasia nelle formule, è infatti il lato estetico della scienza, tutto il resto è routine, un prova e riprova con dati alla mano, con quel tanto di cervello che basta e molto metodo (ovviamente qui generalizzo e banalizzo, ma le eccezioni – la storia della scienza ce lo insegna – sono davvero poche...).
Il nostro premio Nobel parla poi di “cervelli”, anche qui in un senso velatamente (ma non tanto) arrogante: “cervelli” sarebbero soltanto quelli degli scienziati, che essi soltanto possono dire la verità sulla scienza. A questo sarebbe troppo facile rispondere. Ci permettiamo soltanto di far notare, molto umilmente, che i progressi dell’uomo non vengono soltanto dalla scienza, anzi, dalla scienza viene soltanto qualcosa di contorno al vero progresso dell’uomo. Dalla scienza viene lo sviluppo dell’uomo, il progresso viene da qualcosa che non è scientifico ma che si identifica con la sapienza (altra parola che gli scienziati vorrebbero a volte - con arroganza e candore insieme - ma anche una disarmante ignoranza riguardo a ciò che sta fuori dal loro orticello -, avocare a sé, esaurendo nella stessa formula del sapere scientifico tutta la complessità dell’uomo). Dante, nel suo canto XXVI, così sbandierato (in ogni caso a ragione) come esempio di difesa all’indagine scientifica, parla sì di canoscenza, ma anche di virtute, cosa molto più difficile da com-prendere nella scienza. La sapienza è il sale (sàpere) della vita, il senso, l’integrazione dell’uomo nel cosmo e, se vogliamo, la gioia di vivere. C’è molto più senso, almeno per me, in un tramonto o in una poesia del più sconosciuto dei nostri poeti, che nella più utile delle formule chimiche (per altri c’è più senso in una formula: sta bene, ma allora parliamone...), anche se, per vivere materialmente meglio (e, di conseguenza, certo, anche spiritualmente o mentalmente o psicologicamente come si voglia dire), può darsi che sia necessaria quella formula chimica - ma questo deve essere deciso anche da me, prima che questa formula chimica possa o no danneggiarmi, non da altri per me: non voglio avere padri scienziati, mi sento abbastanza cresciuto per poterlo decidere da solo. Casomai cugini o fratelli, e anche questo mi sta bene.
E così, paradossalmente, possiamo dimostrare che proprio là dove la signora Montalcini rivendica una libertà per sé, non ha il minimo indugio a brutalizzare la libertà altrui – certo, sempre con molto candore... come i bambini con i rospi e le lucertole. Non solo, ma anche a brutalizzare il parere di molti scienziati che non la pensano come lei e, in pratica, facendo passare il parere della parte di scienziati che scende in piazza, come il parere di tutti gli scienziati, anche di coloro che sostengono il dovere dello scienziato di confrontarsi con il resto della società civile, assumendo un atteggiamento etico, non solo estetico o meglio, acritico. Costruisce insomma una specie di metafisica tutta sua, con verità che non si possono discutere ma solo accettare, se non si ha il cervello di pari livello... Questo non è altro che sentimento del magico o pensiero mitico, pre-razionale, che già Nietzsche aveva con grande acume smascherato. Non mi sento pronto ad atti di fede nella religione della scienza: faccio già troppa fatica a credere in Dio, e lo sforzo mi esaurisce le risorse.
Ora, il pericolo è proprio questo. Fatta pace coi politici, che mi pare abbiano ascoltato con molto interesse questo vociare di piazza, il pericolo è che, quatta quatta la sperimentazione transgenica venga comunque iniziata, sulla nostra pelle, per non perdere terreno sulla concorrenza estera. Questo significa che, i giochi sono già fatti, e non ci vuole molto disincanto per capirlo, solo un po’ di buonsenso. Altro che democrazia. Perché capita anche questo: quando una scoperta viene annunciata e debitamente protetta da Copyright, già tutto un programma applicativo attende, predisposto ancor prima che la ricerca venisse iniziata. Aveva ragione Aristotele: non esiste qualcosa solo in potenza: prima o poi diventa atto. E’ ovvio che nessuno investe per finanziare la “pro Charitas”, ma con prospettive di ricavare almeno 100 da 1 che spende. E chi li tiene più, questi? Hai voglia di dire che l’etica non permette di clonare l’uomo: ma quale etica? Quando la ricerca è conclusa, ormai i giochi sono fatti, i piani già in atto. Scommetto che il transgenico da qualche parte lo sperimentano eccome, così come l’uomo in provetta (mamma Tivù lo ha già detto...).
E assisteremo così per l’ennesima volta al disastro annunciato, solo perché non si ha la pazienza di terminare la ricerca e definire con precisione l’oggetto che si sta manipolando, i rischi ad esso collegati, probabili o anche solo possibili. Per una questione di soldi, ovviamente: attendere, in questo caso, costa (come se rimediare fosse gratis). Apprendisti stregoni insomma, altro che scienziati. Gente che “sperimenta” una roulette russa in un film di follia autolesionista, se non fosse la dura realtà. E’ più saggio Walt Disney in Fantasia. Voglio Walt Disney a dirigere tutti gli scienziati del mondo e Topolino a fargli da assistente. Mi sento più sicuro... Almeno lì c’è il mago che rimette tutto a posto, i nostri maghetti invece, a frittata fatta, giocano a scaricabarile, si rifugiano nella libertà del sapere e, di colpo, la loro onnipotenza e sicurezza sfuma in un mare di chiacchiere, a tarallucci e vin santo, come si dice in Toscana.
Ma dove stavano gli scienziati quando la tecnologia ha deciso che per aumentare la produzione di carne e di latte bisognava far diventare le mucche carnivore? e dove la loro capacità di previsione quando la centrale di Cernobyl è sfuggita al controllo? E in mille altri casi. Dentro il suo orticello stava la scienza, ecco dove stava, muta, zitta e ben inquadrata, a parte i rari Zichichi di turno o chi per esso, con tutte le relative pacche sulle spalle e la solidarietà di chi non conta nulla. Al servizio della tecnologia stava, a sua volta strumento di un sistema di potere che ha improntato tutto lo sviluppo dell’uomo sulla rapina e sull’aggressione all’ambiente, con i magnifici risultati coi quali ora dobbiamo fare i conti. E non è difficile capire da dove arriva l’aggressione all’ambiente, se il 6% della popolazione mondiale possiede il 59% delle ricchezze del mondo intero.
Certo, attaccare così la scienza non porta a nulla, e pertanto ci fermiamo qui, per non farci del male. Noi dobbiamo invece non generalizzare, ed essere per principio alleati degli scienziati, se vogliamo concludere qualcosa di positivo o almeno evitare il peggio: su questo conveniamo. Dipende però da quali scienziati, e certo quelli che accettano il confronto, non quelli che lo rifiutano, comunque la pensino, transgenici o no. E’ ancora soltanto la scienza in grado di risolvere i disastri e le sofferenze causate da lei stessa acriticamente asservita alla tecnologia, a sua volta acriticamente al servizio degli interessi dei grandi centri di potere (economici più che politici), gli stessi che già hanno calcolato gli enormi profitti che ricaveranno dall’applicazione indiscriminata delle scoperte transgeniche (altro che sfamare le popolazioni del terzo mondo...), al di là e al di sopra di qualsiasi rischio (altro che controllo della scienza...). Ma non possiamo lasciare che gli scienziati ci trattino da eterni minorenni, non possiamo tollerare questa loro presunzione, questa arroganza e tracotante sicurezza che, in ultima analisi, dimostra soltanto un desolante vuoto di idee, l’incapacità totale di sostenere un confronto su basi razionali. Dire “non mettere il lucchetto ai cervelli” è uno slogan ideologico, non un argomento serio.