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Progne
e Filomela
Questa è una leggenda
cupa ed atroce, ben diversa dalla maggior parte di quelle tramandateci
dalla mitologia greca. E il poeta Ovidio, nelle Metamorfosi, ci ha
narrato la fosca avventura toccata a Tereo, lascianda trapelare dai suoi
versi tutto l’orrore che lo pervadeva mentre li componeva. Dante e
Petrarca, invece,
rifuggirono dal raccontare la vicenda nel suo crudo realismo, e cantarono
soltanto l’ultima parte, quella riguardante l’avvenuta trasformazione. Così scrive Dante nel
Purgatorio:
Nell’ora che comincia i tristi lai
la rondinella presso alla mattina
forse a memoria de’ suoi primi guai…
e qualche canto più
avanti, mentre si trova davanti a esempi di “ira mala”, aggiunge:
Dell’empiezza di lei, che mutò forma
nell’uccell che a cantar più si diletta…
Il Petrarca rievoca le due
tristi sorelle in uno dei suoi sonetto più noti, quello che suona così:
Zefiro
torna e il bel tempo rimena
e i fiori e l’erbe, sua dolce famiglia,
e garrir Progne e pianger Filomena
e primavera candida e vermiglia…
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Dall’unione del re di
Atene, Erittonio, con la ninfa Prassitea nacque Pandione che, alla morte
del padre, salì sul trono dell’Attica. Quando le città vicine
mossero guerra ad Atene, Pandione si trovò in condizioni molto
sfavorevoli per intraprendere una guerra, ma Tereo, re della Tracia, venne
in suo aiuto, e così Pandione ottenne la vittoria su tutti nemici.
Allora, per compensare l’alleato, gli diede in moglie la sua
primogenita, Progne. Costei, nella reggia dei Traci, visse un po’ di
tempo felice col marito e col figlioletto nato dal matrimonio: Iti. Ben
presto, però, Tereo si rivelò un uomo crudele, diffidente e maligno, ma
Progne lo amava ugualmente e sperava che, col passare del tempo, la loro
unione si sarebbe rafforzata.
Per quanto amasse molto il
marito ed il figlio, spesso la giovane sposa sentiva la nostalgia del padre
e della sorella, e perciò un giorno pregò Tereo di andare ad Atene e
chiedere a Pandione il permesso di condurre con sé in Tracia Filòmela. Tereo si recò ad Atene e,
come vide la cognata, colpito dalla sua bellezza, se ne invaghì. Egli
cercò di dissimulare la sua passione e riferì al suocero il desiderio di
Progne di rivedere la sorella. Ottenutone il consenso, s’imbarcò con Filòmela
alla volta della Tracia ma, appena sbarcati, s’impadronì con la forza
della cognata, la nascose in un rifugio sicuro e, temendo che Filòmela
rivelasse quanto era accaduto, le tagliò la lingua. Si presentò poi alla
moglie, che si aspettava di veder giungere assieme al marito anche la
sorella e che, stupita, gliene chiese notizie; questi mentì dicendole che
era morta.
Filòmela, intanto, aveva
ricamato la sua triste vicenda su una tela, che riuscì ad inviare a
Progne.
Solo in questo modo
l’infelice fanciulla riuscì a far sapere alla sorella il misfatto
compiuto da Tereo, e Progne poté scoprire dove la giovane fosse stata
nascosta. Lo sdegno delle due sorelle non tardò a tramutarsi in odio e a
far perdere ad entrambe il senno, a tal punto da concepire un delitto
terribile: decisero di vendicarsi di Tereo servendosi del suo innocente
figlioletto. Con una crudeltà
attribuibile solo alla pazzia, Progne uccise suo figlio Iti, e poi le due
sorelle, insieme, cossero le membra del fanciullo e le servirono in tavola
a Tereo. La moglie assistette in
silenzio al pasto del marito; quando egli ebbe finito chiese che gli fosse
condotto il figlio, al che Progne rispose: Tuo figlio è già in
te. Tereo, sbalordito, cercava
il bambino, perché non aveva ancora afferrato il senso terribile delle
parole, ma ecco giungere Filòmela e gettare al cognato la testa insanguinata di Iti. Quando, infine, comprese
la tremenda verità, Tereo impazzì, balzò in piedi, impugnò la spada e
si avventò contro Progne e Filòmela per ucciderle. La reggia si riempì
di urla, di imprecazioni, di gemiti, ma prima che il re furente
raggiungesse le due donne, intervennero gli dei, che tramutarono Progne in
rondine e Filòmela in usignolo.
I due uccelli spiccarono
il volo dinanzi agli occhi di Tereo esterrefatto, che ebbe appena il tempo
di vederle involarsi nell’aria perché subito dopo anch’egli subì una
trasformazione, divenendo la lugubre upupa che nei silenzi notturni fa
sentire il suo gemito opprimente e doloroso.
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