presentazione alla silloge di Nevhar Nevara "...E POESIE D'AMORE, E DI MARE E DI TERRA"
Si configura come il racconto di una
significativa storia d’amore il dettato lirico di
Nevhar Nevara, scrittore già da lungo tempo, ma ora al suo esordio
pubblico, nella silloge “…E poesie d’amore, e di mare e di
terra”.
Devi stringermi, devi tenermi, devi afferrarmi! Possedermi, donna mia e mia solamente, possedermi come un golfo il mare, come gli argini un fiume, come una brocca l’acqua. Possedermi come un abbraccio un corpo. (poesia XI)
Ed ancora il rimando dal particolare all’universale, dall’umano al cosmico, dal finito all’infinito, in una continua corrispondenza fra sentimenti e sensi, in travolgimento dell’impeto d’amore, in bisogno di comunione e fusione totali, di essere posseduto e di possedere, spinto, in un lungo interminabile amplesso, dal bisogno d’amore, dal moto del cuore e dall’urgenza dei sensi, ma anche dalla necessità di offrirsi un senso concreto nell’incertezza del vivere quotidiano e, persino, dal “cupio dissolvi” per obliare l’esercito degli antichi dolori:
…[] Adesso che il mare prepara la sua marea, adesso che il vento comincia a chiamare con le sue lingue di fuoco e di lama, adesso che il cielo gonfia il suo petto!... adesso, donna mia
adesso (poesia XI)
Ed ora che la fusione è avvenuta, in abbandono dolce e prepotente, assoluto e totale, in completo appagamento (Mondo!:/ in piedi e uniti nell’abbraccio/io e lei siamo la rosa nera che/ si forma/ e dalla riva ti guarda/ dietro l’occhio del tuo sole!, poesia XV), ora che perfetta è la compenetrazione fra tutte le parti del cosmo, fra terra, mare e cielo, fra creature e creato, ora che la donna è stata “strumento” elevato, tramite nobile fra il piccolo mondo personale ed il vasto mondo totale, cosa volere di più?
Cantano grilli fra pini indolenti, s’empie la notte di cori minuti.
La luna frammenta La sua figura sull’acqua.
Cosa volere di più adesso, se anche un semplice bacio apre ora latitudini immense? (poesia XII)
A questo punto poco importa la conclusione
della fantasia poetica o dell’esperienza personale sublimata nel
verso (o di entrambe nel verso con/fluite), poco importa che
l’incontro Uomo/ Donna si sia esaurito ( Si spengono le
labbra/ I corpi si rivestono…Io ero la tua acqua e tu eri la mia
sete, poesia XVIII) e che in chi scrive permanga l’amarezza
del distacco, la solitudine dell’abbandono, la malinconia del
rimpianto, con l’unico conforto del ricordo di ciò che ormai è
irrimediabilmente consegnato al passato, giacché niente dura per
sempre (era questa la riva/ dove passeggiavamo e mi chiedevi
sempre/ che ti recitassi i miei versi al tramonto….Ahi, amore:
tutto passa, poesia XIX ). Ciò che davvero importa è il
messaggio positivo, la luminosa eredità affidata al lettore, il
suo “Lascito”, il “canto in marcia” che suggella la raccolta,
canto, grido, esortazione del poeta all’Amore (impulso vitale),
giacché, nonostante tutto, è lui (l’Amore) soltanto
che dà senso alla vita (poesia XXI), valido oggi più che mai
nel nostro mondo in tempesta, che sovente avalla e legittima,
variamente declinata, l’aggressione (sopraffazione, violenza,
morte). Francesca Santucci
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