"Vedrai, te ne innamorerai. Non è come Campana, anche se qualcuno li
ha avvicinati. Sono due poeti assolutamente diversi. Cerca il libro,
Il primo Dio, dell’Adelphi". Così per la prima
volta, ho sentito parlare di Emanuel Carnevali, da Gabriel Cacho
Millet, che dello scrittore fiorentino ha curato per l’editore Fazi
la recente pubblicazione dei Racconti di un uomo che
ha fretta.
Non è stato facile trovarlo, Il
primo Dio: esauritissimo nella prima edizione, quella del 1978.
Ne ho scovato uno, della seconda edizione, del giugno 1994. Nel
risvolto della copertina l’errore depistante sulla nascita: Bologna,
invece che Firenze, dove, in via Montebello, al numero 11, il 4
dicembre 1897 Manuel Federico Carlo Carnevali arrivò in questo
mondo. Una lettura subito febbrile: si tratta di una specie di
diario fatto di racconti per accumuli, una storia che si dipana
ansiosa fra i primi anni trascorsi in Italia, la fuga verso il nuovo
mondo, la disperata realtà delle strade di New York, dove il
giovanissimo scrittore approdò il 15 aprile del 1914.
E poi il ritorno in Italia, nel 1922, portandosi dietro il peso
insopportabile di una terribile malattia, l’encefalite letargica. Il
diario si interrompe con il ricovero in una clinica privata di
Bologna, villa Baruzziana, reso possibile dalla generosità
dell’amico e suo editore Robert Mc Almon. Corre l’anno 1925.
Da quella data all’anno della morte, il 1942, poche e frammentarie
notizie date in una nota delle ultime pagine. Restano aperte mille
curiosità sull’autore di questi straordinari scritti.
La traduzione del testo inglese (Carnevali si era prefisso il
compito di diventare uno scrittore in lingua inglese e in questa
lingua ha scritto tutti i suoi testi creativi e i saggi che ci sono
rimasti) è stata fatta dalla sorella Maria Pia (nata dalle seconde
nozze del padre Tullio Carnevali), che ha anche curato l’edizione e
la scelta dei testi del libro.
Dopo l’autobiografia, che occupa circa un terzo del volume, vengono
le poesie, in gran parte edite in riviste americane, delle quali
l’ultima è datata 1931, tre brevi racconti e i saggi letterari, che
hanno la graffiante verità di chi della propria vita e della
letteratura ha fatto una cosa sola.
Il primo dio continua con alcuni testi scritti
dagli amici di Emanuel, e un saggio conclusivo di Luigi Ballarini,
che chiude con questa frase, scarna e cruda come un comunicato
stampa: "Muore a Bologna l’undici gennaio del 1942, strozzato da un
pezzo di pane." Parole queste, pronunciate dall’avvocato Svampa,
dopo essere stato nella Clinica per le Malattie Mentali di Bologna e
aver saputo della morte di Emanuel, due giorni prima.
Il libro, dopo un iniziale clamore (qualcuno parlò della riscoperta
di un grande scrittore) non ha portato Carnevali in alto, nel posto
che gli spetta.
È rimasto impigliato nel gruppo di fondo, fra gli scrittori italo
americani, nè carne nè pesce, al limite dell’abisso del nulla.
Magari con il dubbio e il rimpianto che lo scrittore vero si sarebbe
espresso solo nella propria lingua, che era quella di Dante, suo
concittadino. Ma quello che Carnevali ha scritto basta e avanza per
alzarlo fra gli autori importanti ed è ora che gli si renda
giustizia.
Fra i pochi che ci hanno creduto, nel tracorrere degli anni, è stato
Gabriel Cacho Millet, che nel 1981 ha curato l’edizione per la Casa
Usher del carteggio con Benedetto Croce e Giovanni Papini:
Voglio disturbare l’America e nel 1994, per i
Quaderni della Rocca, Bazzano, l’edizione dei Saggi
e recensioni, sempre nella traduzione di Maria Pia Carnevali e
il Diario Bazzanese e altre pagine.
Ma torniamo all’inizio, al libro dal bellissimo titolo:
Racconti dell’uomo che ha fretta. Con questo
volume Emanuel (o Manolo, come lo chiamavano i familiari, o Em, come
lo chiamavano gli amici americani) Carnevali prende di nuovo vita e
ci fa sentire la sua voce. E la sua straordinaria capacità di
narrare.
Nell’introduzione Cacho Millet traccia il profilo, sia dello
scrittore che dell’uomo, attraverso citazioni puntuali dai testi e
dalle lettere. Come per Campana, di cui, come è noto, lo scrittore
argentino ha curato il carteggio, anche per Carnevali le lettere
sono illuminazioni precise che arrivano a definire e spiegare le
vicende biografiche e i testi letterari.
Il percorso dello scrittore trova così riscontro e giustificazione
nei rapporti documentati con il mondo, le sue parole sembra di
sentirle uscire da quelle pagine, ora in gran parte conservate
nell’Archivio Storico del comune di Bazzano, vicino a Bologna.
Almeno quelle rimaste, perché la gran parte delle carte e dei libri
di Carnevali furono bruciate dalla proprietaria della locanda dove
lo scrittore aveva vissuto i suoi ultimi anni, per paura che le
trovassero i tedeschi, nel 1944.
I racconti dell’uomo che ha fretta sono tre e
sono stati pubblicati la prima volta in riviste americane: il primo
si intitola Tale One, ed è la storia della zia
materna di Emanuel, Melania Piano, una donna straordinaria che
incarna nella disperazione della sua vita il dolore di tutte le
donne del mondo; fu pubblicato sulla prestigiosa rivista "The Little
Review" nel 1919, e compare anche ne Il Primo Dio.
Il secondo, Tale Two, racconta la sua storia
d’amore con la giovanissima moglie Emily Valenza, conclusasi il
giorno nel quale i due giovani raccolsero e curarono una colomba,
che morì il mattino dopo.
Il terzo, che il suo autore giudicava il migliore,
Tale Three, si intitola Casa, dolce casa, e
venne pubblicato per la prima volta sulla Little Review nel 1920.
Questo racconto fu tradotto da Carlo Linati e pubblicato, solo
parzialmente, nei 1925 su "Il Convegno", con la dedica a Maria
Teresa Buscaglioni, una signora ricoverata alla Villa Baruzziana di
Bologna, e della quale Carnevali si era innamorato.
Seguono altri brevi scritti, raccolti nel capitolo dedicato alle
pagine sparse, anch’essi provenienti da riviste come "Others", la
già citata "Little Review" e "This Quarter", e tutti confluiti nel
The Autobiography of Emanuel Carnevali, curata e
pubblicata da Kay Boyle, Horizon Press, NY, 1967.
Segue un breve diario dell’anno 1928, anno che Carnevali trascorse a
Bazzano, con il ritratto dal vivo di personaggi e macchiette colte
al volo e ritratte, lentamente e battendo i tasti, uno alla volta,
della macchia da scrivere regalatagli dagli amici americani, con la
mano destra sorretta dalla sinistra.
Il libro continua con un carteggio, che chiarisce i rapporti,
certemente difficili, fra lo scrittore e il padre Tullio, e con
alcune testimonianze, fra le quali spicca quella della sorella Maria
Pia, che racconta il primo incontro con il fratello di cui non
sapeva nemmeno l’esistenza.
In chiusura è presentata una cronologia della vita e delle opere di
Carnevali, quanto mai necessaria a ricostruire la storia di questo
scrittore, perseguitato dalla miseria e dalle malattie, come Giobbe
nella Bibbia, ma che seppe far germogliare la poesia lontano dalle
sue origini, scegliendo una lingua non sua, appresa con fatica
leggendo i cartelloni pubblicitari delle strade di New York.
Chiudo ricordando una figura straordinaria, che Gabriel Cacho Millet
ci presenta quasi con commozione, perchè la riconosce simile a se
stesso e animata dalla stessa passione forte di biografo: il maestro
del coro del Metropolitan di NY, David Stivender, che nel 1971 venne
da noi, in Italia, a rintracciare tutto quello che era rimasto degli
scritti di Carnevali, dopo aver fatto lo stesso nella sua città. Il
suo lavoro ha dato la possibilità a Maria Pia Carnevali di
pubblicare, dopo un attento lavoro di traduzione, Il
primo Dio, nel 1978.