Gianmario Lucini
Pace e pace e pace...
... a me pare invece che qui si giochi a ciurlare nel manico. Insomma: ce l’hai con Bush e ti dicono che sei anti-americano, te la prendi con Saddam e ti danno del sionista, te la prendi con Sharon e diventi terrorista, se stai con Chirac e Schroeder sei un ingrato, un mangia-formaggio, un vigliacco e quant’altro... Tu dici quancosa e sempre c’è qualcuno che ti appioppa un’etichetta. Sembra non si possa più discutere, senza etichette. E’ il tempo delle conte, delle fazioni, nessuno può prendersi il lusso di starsene da solo con le sue convinzioni e la sua libertà di pensiero: anche non volendolo mi trovo schierato, interpretato, è come se mi fossi schierato, squalificando tutti coloro che non la pensano come me, senza remore, senza nessun dubbio, da perfetto manicheo.
Personalmente sono stanco di tutto questo. Non mi piacciono gli schieramenti, voglio solo la giustizia. La pace verrà solo in seconda battuta. Ed ho alcune domande da fare. Pacate.
A Bush (non agli americani: non faccio questa confusione di identità...) vorrei chiedere come mai è convinto nello stesso tempo di far fuori l’Iraq (non Saddam: è falso dire che si dà la caccia a un uomo con l’esercito – e che esercito!) in pochi giorni e che sia proprio l’Iraq la grande minaccia dell’America. Non c’è proporzione. Il nanerottolo Iraq? Potrà essere al massimo il topo per l'elefante, ma è un problema dell'elefante se ha paura, non certo del topo. Dopo l'Iraq, ti fermerai, presidente? A chi toccherà? Quante altre guerre dovremo ancora vedere prima che inizi la pace? Potremo godercela in questa vita, noi sui cinquanta?
Perché mai le armi chimiche e batteriologiche di Saddam sarebbero più pericolose di quelle dell’America? Perché Saddam è pazzo? E quale grande prova di saggezza avremmo sinora visto da parte del suo governo? che cosa di buono, di saggio, di giusto, di degno d'essere ricordato nella storia abbiamo sinora visto da parte del suo governo? Mi consente (facendo il verso a un nostro grande italiano) di farle notare che l'America sta andando allo sfascio economico, politico, morale?
Quali interessi economici da difendere, al di là di quelli della politica estera USA (che peraltro vedo fortemente compromessi), ha egli stesso in prima persona, il suo entourage e secondariamente le grandi compagnie petrolifere, in questa vicenda?
Quanti iracheni hanno mai minacciato l’America fino ad ora?
Dove sta il collegamento fra gli iracheni e Bin Laden?
Questa altalena di minacce e di smentite che fa salire e scendere di colpo la borsa, non è provocato ad arte per favorire gli speculatori, tenere il mondo su un filo di terrore, evitare il grande disastro economico che gli USA ormai non sanno più come evitare?
Come pensa di evitare il disastro ecologico (migliaia di pozzi incendiati) che sarà conseguenza delle operazioni belliche?
Quanti milioni di persone dovranno morire in questo attacco? (milione più o milione meno, mi basta l'approssimazione).
Che ci fanno, signor presidente, 6000 bare a Sigonella? Per chi sono? E' nella tragica ipotesi che o nella sicura certezza di?
Che conseguenze avranno sulla popolazione civile irachena le bombe all’uranio impoverito? (Vede, io amo gli americani, non voglio che vadano a finire ammazzati...).
Ancora, come farà a fermare la peste e le infezioni che colpiranno Bagdad e forse qualche altra città irachena a causa dei morti insepolti, delle condutture d’acqua inquinate, delle fognature distrutte, dei rifiuti a marcire sotto il sole, ecc. ecc., senza strade per i collegamenti e mezzi idonei al soccorso?
O anche, com’è ipotizzabile una democrazia in Iraq se non c’è mai stata: chi ne sarà leader? (dobbiamo riferirci al “modello” agfano di così evidente successo?)
C’è un piano di ricostruzione e di sviluppo, chi eseguirà i lavori, quali multinazionali (Francia e Germania già escluse...)?
Chi comprerà il petrolio iracheno? A quale prezzo (a prezzo basso, per poterne bruciare di più e inquinare sempre di più, tanto il protocollo di Kyoto non l'ha firmato, l'America)? A chi andranno i proventi di quel petrolio? A quale Stato? (se non ci sarà più uno Stato?)
A Saddam vorrei chiedere: con quale faccia tosta reclama egli la pace? Con quale diritto invoca la guerra santa se sinora ha massacrato la gente musulmana? Quanti civili Curdi sono morti a causa dei gas nervini? Quante uccisioni di oppositori politici ha direttamente eseguito? Quante ne ha ordinate? Quanti milioni iracheni sono ridotti alla fame per la sua caparbia nel rifiutare le risoluzioni dell’ONU? Quanti ne sono morti? (quanti bambini?) Quanto danaro suo personale è al sicuro nelle banche occidentali (e alle banche occidentali: perché lo nascondono)? Quanto danaro di aiuti umanitari ha dirottato a scopi bellici? Quanto prodotto interno lordo ha destinato agli armamenti affamando la sua gente? Perché ha invaso il Kuwait, ha mosso guerra all’Iran? Perché si ostina a voler creare armi di distruzione di massa?
A Putin vorrei chiedere: perché in Iraq la pace e in Cecenia il massacro?
A Chirac, A Putin, a Schroeder, alla Cina: perché non ci dicono gli interessi dei loro paesi direttamente legati allo status quo? Perché non hanno fatto nulla sinora per fermare un sanguinario come Saddam? Come hanno potuto tollerare il massacro di intere popolazioni curde? Perché hanno sempre fatto silenzio?
Alla chiesa irachena: come mai non siete nelle catacombe? Come potete tollerare che il lacchè di Saddam, complice di molti suoi crimini, possa definirsi “cristiano” senza che nessuno di voi abbia qualcosa da dire? Perché avete paura ora dei bombardamenti e non avete detto mai nulla sulle porcherie commesse dal vostro governo? Perché non avete mai difeso i perseguitati per la giustizia? Perché ora fate politica e prima no? Perché non vi siete mai ribellati a questo stato di cose? Forse che l’obbedienza è sempre una virtù, fino al consenso complice? Forse che Cesare ha il diritto di prendersi quello che vuole? Anche la coscienza? E dove sta scritto che gli si debba sempre consenso, anche quando platealmente infrange ogni principio di umanità?
Ai pacifisti dell’ultima ora: perché ora e mai prima? Perché prima eravate schierati contro la pace? Perché avete criminalizzato i movimenti pacifisti?
Sono solo domande alle quali so certamente dare una mia opinabile risposta, ma preferisco non cessino di essere domande, preferisco non essere io a rispondere. Insomma, il più pulito di noi tutti, in questa vicenda, ha la rogna. E allora smettiamo di cercare la ragione per cui, la giustificazione. Chi cerca manicheamente il torto e la ragione delle parti in queste vicende, solleva questioni di lana caprina per poter giustificare ancora peggiori ingiustizie, che sono quelle che la guerra porta in sé, nella sua natura.
Il problema vero è che nessuno ancora ha sollevato il tappeto del rimosso. Nessuno vuol sapere da dove provengono odio e rancore. Nessuno solleva la questione della giustizia economica. Eppure le ingiustizie sono sotto gli occhi di tutti, nei meccanismi perversi siamo tutti invischiati, abbiamo tutti qualche interesse diretto o indiretto.
E diffido di quei pacifisti dell’ultima ora, che vogliono la pace ma perseguitano gli immigrati, si guardano bene dal dissentire dalle multinazionali, gridano allo scandalo se qualche matto e innocuo utopista predica lo scambio equo-solidale o boicotta i prodotti di quelle multinazionali che sostengono i governi corrotti; diffido di quei pacifisti che temono la guerra perché sarebbe un danno ai loro affari e al loro portafogli: non li voglio fra i piedi: prima ci confrontiamo sulla giustizia e poi, se ci siamo su alcuni punti fermi, andremo insieme a marciare per la pace. E’ pur vero che se uno va a marciare da solo per la pace poco ne cava, è pur vero che una specie di “real-politik” impone compromessi, ma vivaddio non se ne può più di fingere. Giù la maschera dunque. Chiariamoci. Parliamone, ma senza nasconderci nulla.
Questa mattina a Sondrio, ai piedi della statua di Garibaldi, un paio classi delle scuole medie o primi anni delle medie superiori stavano raccolte, gridando a squarciagola “vogliamo la pace, vogliamo la pace”. Una cosa così, fra noi, alla montanara, senza presenza di giornali o televisioni. Quel pigolio però pareva perdersi nel vuoto della piazza, fra l’indifferente tran tran del mercato degli ambulanti, i pensionati che andavano a comprare il giornale, gli sfaccendati come me. Nessuno li filava ed essi, facendosi coraggio del pur esiguo loro numero, continuavano a gridare “vogliamo la pace, vogliamo la pace”. Ecco: credo a loro, perché non sanno, perché non si rendono conto di chiedere una cosa tremenda e impossibile in questo mondo senza giustizia, perché non hanno ancora fatto il passaggio logico “pace = giustizia sociale mondiale”. Credo a loro perché sono innocenti e in buona fede. Noi siamo marci, se continuiamo a cercare la pace e dimenticarci della giustizia.
Quindici anni fa abitavamo un mondo impossibile, regolato dalla guerra fredda. Ora coabitiamo un mondo con un grande mostro, questo capitalismo senza rivali, che si erge a giudice della storia soltanto per aver “vinto” un comunismo ormai tisico terminale, da quasi cinquant’anni minato al suo stesso interno dalla sua contraddizione. Questo mostro non ha più rivali e ha dalla sua parte la tracotanza di non avere alternative credibili. Insomma: non riusciamo a pensare un mondo senza ingiustizia: questo è il problema. Eppure, a ben vedere, è proprio il capitalismo la vera utopia, perché non potrà mai darci la felicità che promette, perché la sua ricerca di felicità incondizionata è minata al suo interno da una contraddizione, così come il marxismo era strutturamente minato da una sua contraddizione interna. Il marxismo si è sempre rifiutato di fare i conti con la psicologia dell’uomo, con i sentimenti, le emozioni, l’indole naturale, la tensione verso la libertà, il desiderio di lasciare un segno individuale e personale nella storia: il privato era un fatto socialmente determinato, il soggetto un frammento del sociale, che non aveva nessun significato intrinseco, nessuna dignità sorgiva. Il capitalismo si rifiuta invece di fare i conti con l’etica, col senso della giustizia, con la concretezza delle situazioni materiali, con il diritto naturale alla sopravvivenza, col rispetto per la persona, per la sua dignità: un modello del genere è destinato a deflagrare dal suo interno, non potrà reggere in eterno alle pressioni centripete, anche perché continua a creare ricchi sempre più ricchi e sempre in minor numero, e poveri sempre più poveri e sempre in numero maggiore. L'etica sono le regole del gioco, sono prassi. Ogni gioco ha le sue regole, le regole del gioco capitalista sono l'assenza di regole: questo è il punto, il paradosso. Pertanto, le regole sono quelle del più forte, esattamente come nella protostoria. E peraltro non sono scritte, mentre sono scritti i regolamenti di attuazione, ossia i codici e le convenzioni multilaterali. Non c'è insomma un principio al di sopra di questi frammenti discordanti, che le possa racchiuderli tutti in sé, che possa essere da ispirazione unitaria a un comportamento sociale collettivo di tutti gli Stati, da ogni punto di vista (politico, economico, ecc.).
Il superamento del capitalismo può avvenire in due maniere: una rivoluzionaria, che cancella il modello e non si sa a che cosa porterà (probabilmente qualcosa di molto peggio) e l'altra riformista, capace di tenere dentro di sé il modello ma nello stesso tempo sviluppandolo in modo migliore. Bisogna insomma pensare e iniziare un continuo e costante processo di riconversione del modello dall’ottica del libero scambio (dove conta il peso e la forza dei contraenti) all’ottica della solidarietà e gratuità. Un modello capitalistico avanzato insomma, capace di offrire garanzia e protezione a tutti gli individui, accogliendone i riferimenti culturali e antropologici, gli stili di vita e le culture, e nel quale tutti e non solo alcuni possano riconoscersi al di là della loro appartenenza etnica e politica e dove la regola, l'Articolo Uno, sia un qualche cosa che ponga una concezione condivisa di solidarietà a criterio guida di ogni regola e di ogni norma, negli scambi pubblici e privati. Non credo ci siano alternative o sinora non ne vedo, né teoriche né, tanto meno, normative.
Non ha pertanto senso intendere la pace come mera assenza di guerra. Sta quindi a noi dunque scegliere che significato dare alla parola “pace”, quando la si pronuncia. Dire "Pace", significa, in sostanza, dire "voglio un altro mondo, più giusto".