Francesca Santucci
Non havire pagura a questo ballo venire
estratto dal libro (Francesca Santucci, Che quanto piace al mondo è breve sogno la vanità, il tempo, l'amore, la morte. Kimerik, ottobre 2011)
Danza macabra femminile
Nelle varie epoche, in relazione al tipo di società, diversi sono stati gli atteggiamenti degli uomini riguardo alla finitezza della vita, e soprattutto in età medievale, a causa delle guerre, delle carestie e delle continue epidemie di peste, l’uomo era ossessionato dal timore della Morte (e della dannazione eterna), motivo di riflessioni etiche, morali e religiose; contrariamente all’uomo contemporaneo, che cerca in ogni modo di allontanare da sé l’idea della precarietà della sua esistenza, non la occultava, ma anzi la rappresentava anche nell’aspetto più terrificante. Fu nel XIII secolo che l’iconografia della morte cominciò a diffondersi. Per l’acquisito benessere, ed il consolidarsi di valori profani, divenuta più difficile l’accettazione dell’orizzonte ultraterreno, per convogliare verso l’aldilà il pensiero cristiano, la Chiesa accolse, all’interno degli edifici sacri, una serie di temi macabri (maqâbir in arabo significa “cimitero”, meqaber in ebraico è "becchino", Macabri era il nome di una famiglia di pittori francesi attivi nel XV secolo a Troyes, località da cui provengono molte edizioni a stampa della Danza Macabra, e Macabre o Macabrus era il nome, o lo pseudonimo, di un trovatore) che ebbero grande diffusione in Europa (si contano quasi 300 esempi), esaltanti la paura ed il terrore: l’Incontro dei tre vivi e dei tre morti, il Trionfo della Morte e la Danza macabra.
Morz en une eure tot desfait. La Morte in un’ora tutto disfa.
Que vaut biautez, que vaut richece,
A cosa vale la bellezza, a cosa vale la ricchezza ? A cosa valgono gli onori, a cosa vale la nobiltà?
(Hélinand de Froidmont, Vers de la Mort)
Il primo tema macabro iconografico ad apparire, successivamente a quello letterario, pure molto diffuso - grande fama ebbe il poema i Vers de la Mort (1194-1197), di Hélinand de Froidmont1, in cui si celebrava la morte, regina del mondo, tema, poi, delle danze macabre, alla fine del XIV secolo- fu l’Incontro dei tre vivi e dei tre morti. L’Incontro dei tre vivi e dei tre morti è una narrazione con sfondo allegorico e moraleggiante (in letteratura correlato al Romanzo di Barlaam e Josafat, 2 al Cum apertam sepulturam, e ai Dits des trois morts et des trois vifs, di Baudouin de Condé); racconta, generalmente, di tre cavalieri che, durante una caccia, all’improvviso, incontrano in un bosco tre scheletri vivi e parlanti, che li invitano a vedere in loro lo specchio del prossimo futuro che attende tutti. Spesso l’immagine reca una didascalia esplicativa del destino dei cavalieri, Noi eravamo come voi adesso siete, voi sarete come noi ora siamo!, altre volte i tre morti non sono scheletri vivi e dialoganti, ma corpi in decomposizione collocati in sepolcri aperti, allora è un monaco (figura introdotta in Italia) che spiega ai cavalieri il significato dell’incontro. I tre cadaveri nei sepolcri stanno a ricordare la vanità del mondo ai cavalieri presi, invece, dagli effimeri piaceri mondani, messaggio, dunque, ben diverso da quello dell’articolato scheletro d’argento che, sulla tavola di Trimalcione, nel Satyricon di Petronio, incita i convitati alla gioia di vivere, giacché dies ( ) nihil est, 3 “il giorno è meno di un attimo”:
Mentre noi attacchiamo a bere e andiamo debitamente in estasi davanti a tanta munificenza, entra uno schiavo con uno scheletro d’argento fatto in modo che le articolazioni e le vertebre potessero muoversi in ogni direzione; e lo fa cadere più volte sulla mensa e, data la mobilità delle giunture, gli fa prendere le posizioni più diverse. Allora Trimalchione declamò: “Ahimè, poveri noi, ché tutto è niente! Solo quattr’ossa restan dell’ometto. Tutti, nell’Orco, avremo questo aspetto: viviam, finché il destin ce lo consente”.
(Petronio Arbitro, Satyricon, 34)
Il tema, che s’ipotizza nato iconograficamente alla corte di re Federico II di Svevia, come descrizione del contrasto fra il corpo e l’anima, o in ambito clericale, in opposizione all’imperatore che contrastava gli ordini mendicanti, ebbe straordinaria fortuna, miniato, dipinto e inciso su rame, in Francia, in Germania, in Inghilterra e in Italia, e numerosi furono gli affreschi collocati all’interno di chiese, pur se privi del carattere di sacralità che la tradizionale ornamentazione iconografica richiedeva. In Italia si ricordano, tra gli altri, L’incontro dei tre vivi e dei tre morti, affresco della metà del XIV secolo, che si suppone opera del Maestro di Montiglio, collocato nell’Abbazia di Santa Maria di Vezzolano, ad Albugnano (Asti) e il Contrasto dei tre vivi e dei tre morti, della prima metà del XV secolo, sito nella Sagrestia di San Luca, a Cremona, in entrambi presente anche la figura del monaco, che ferma i cavalieri ed indica loro i morti per ricordare cosa diventeranno dopo la vita terrena.
L’incontro dei tre vivi e dei tre morti, Vezzolano
Il secondo tema macabro apparso nell’iconografia, particolarmente diffuso nel tardo medioevo in Italia, nell'area alpina, ma anche in area franco-tedesca, fu il Trionfo della Morte, derivante dalla forma letteraria trecentesca dei trionfi e correlato letterariamente al Decameron, al Filocolo e al Ninfale Fiesolano di Boccaccio, e ai Trionfi del Petrarca. Il trionfo, nell’antica Roma, era la solenne cerimonia con cui veniva festeggiato ed onorato pubblicamente l’imperator, il generale vittorioso che rientrava nell’Urbe dopo una campagna militare; su un carro trionfale, vestito con la toga picta, scarlatta e trapuntata d’oro, con in mano lo scettro, simbolo del potere, e sul capo la corona d’alloro, simbolo della gloria, sfilava con il bottino strappato ai nemici, i prigionieri in catene, i sacerdoti e i tibicĩnes (i suonatori di tromba). Parenti, collaboratori, ufficiali e l’intero esercito lo acclamavano al grido di triumphe!, ma un servo sul cocchio gli ripeteva continuamente “ricordati che sei un uomo”, chiaro richiamo alla sua condizione di essere mortale e alla fugacità della gloria. L’immagine di quest’antica manifestazione pubblica incontrò grandissima fortuna nell’arte e nella letteratura italiana, soprattutto grazie al Petrarca, la cui creazione letteraria, i “Trionfi”, fu fonte per l’arte figurativa, alimentando l’iconografia della Morte vittoriosa sulle vanità terrene, sull’amore, sugli onori, sui titoli, sulle ricchezze, sulla fama e sul tempo. Il Trionfo della Morte, che, dal momento della sua prima apparizione in Italia, alla metà del XIV secolo, si affiancò alla rappresentazione del Giudizio finale, con il compiacimento macabro per la raffigurazione del disfacimento fisico, probabilmente influenzato anche dal mondo nordico, s’impose nella sensibilità trecentesca come monito profondo ai fedeli a non fondare la vita sui valori mondani, e stimolo a prepararsi alla morte dopo una vita di preghiera e penitenza. E notevole fortuna riscosse non solo nelle arti figurative, ma anche nelle rappresentazioni teatrali, dando pure vita ai carri allegorici allestiti in molte città italiane, a partire dal ‘400, in occasione del Carnevale. Nella “Vita di Piero di Cosimo”, nelle “Vite”,4 Giorgio Vasari così ricorda il carro del Trionfo della morte approntato dal pittore fiorentino in occasione del Carnevale del 1511:
Era il trionfo un carro grandissimo tirato da bufoli tutto nero e dipinto di ossa di morti, e di croci bianche, e sopra il carro era una morte grandissima in cima con la falce in mano, et aveva in giro al carro molti sepolcri col coperchio, et in tutti que' luoghi che il trionfo si fermava a cantare s'aprivano et uscivano alcuni vestiti di tela nera, sopra la quale erano dipinte tutte le ossature di morto nelle braccia, petto, rene e gambe, che il bianco sopra quel nero, et aparendo di lontano alcune di quelle torcie con maschere che pigliavano col teschio di morto il dinanzi e 'l dirieto e parimente la gola, oltra al parere cosa naturalissima era orribile e spaventosa a vedere. E questi morti al suono di certe trombe sorde, e con suon roco e morto, uscivano mezzi di que' sepolcri, e sedendovi sopra cantavano”…
Morti siam come vedete, così morti vedrem voi. Fummo già come voi siete, vo' sarete come noi, etc.
(Giorgio Vasari, Vite, Vita di Piero di Cosimo, pittore fiorentino, III parte)
Questa, invece, la descrizione che della morte diede il Petrarca in uno dei capitoli centrali dei suoi Triumphi, Il Trionfo della Morte:
( ) et una donna involta in veste negra,
(Petrarca, Triumphi, Triumphus Mortis, I, vv.31-36)
Inizialmente, infatti, la morte fu rappresentata come un corpo femminile parzialmente decomposto, a volte anche coperto di una veste lacera, e con lunghi capelli, successivamente come uno scheletro totalmente scarnificato che irrompe cavalcando e colpisce con frecce, talvolta anche con arco e falce (un attributo del Tempo) chiunque le capiti a tiro, ma, in genere, gli uomini colpiti per primi appartengono ai ceti più alti della società. E a nulla valgono i tentativi di corromperla con denaro, e nemmeno valgono le suppliche dei più poveri e derelitti: la Morte, “democraticamente”, tutti colpisce.
( ) ed ecco da traverso
(Petrarca, Triumphi, Triumphus Mortis, I, vv.73-90)
All’interno dei temi macabri il Trionfo della Morte segnò un’evoluzione, giacché non venivano più mostrati i morti, ma la Morte (concetto astratto), comune referente della condizione umana. In Italia l’iconografia del Trionfo della Morte si affermò a partire dal XIV secolo, con il celebre affresco del Camposanto di Pisa, opera articolata in diversi episodi, ed ispirata, oltre che dai testi della predicazione domenicana, dal volgarizzamento delle Vitae Patrum di Domenico Cavalca5 e dalle visioni dell’Apocalisse. Il tema fu ancora molto celebrato in Italia nel XV secolo, basti pensare al Trionfo della Morte di Palazzo Sclafani, a Palermo, un affresco risalente al 1450, in cui la Morte è rappresentata a cavallo, con arco e faretra; ai suoi piedi, trafitti dalle sue frecce mortali, giacciono pontefici, imperatori, dame e cavalieri, tutti coloro che godevano di ogni sorta di privilegi, giacché la nera signora colpisce rapidamente proprio i più beneficiati in vita. Punti di contatto con l’affresco siciliano mostra Il trionfo della Morte di Pieter Bruegel, tanto che alcuni studiosi hanno avanzato l’ipotesi che l’artista abbia soggiornato in Sicilia. Nella sua tavola, datata 1562-1563, conservata al Museo del Prado, a Madrid, in orrida visione è rappresentato un paese dominato dalla Morte: la morte violenta, la morte accidentale (l’annegamento), le esecuzioni pubbliche. Il cielo è rossastro di bagliori e fumi d’incendio, patiboli, forche e ruote mostrano cadaveri in decomposizione, battaglioni di scheletri avanzano a schiere serrate contro i viventi, il carro e la rete della Morte procedono in un campo in cui umani e scheletri si combattono, tutti lottano contro di lei oppure soccombono, l’imperatore, il cardinale, il pellegrino, il guerriero, e solo una coppia di amanti, in disparte, impegnata nella musica, pare noncurante di ciò che intorno accade.
Pieter Bruegel, Il trionfo della Morte
L’ultimo dei temi macabri ad apparire, in ordine di tempo, non privo di elementi di violenta satira sociale, fu la Danza macabra, tema iconografico e letterario correlato in letteratura alle Dances Macabres e alla leggenda dell’Incontro dei tre vivi e dei tre morti, e spesso legato al Trionfo della Morte, che si sviluppò in Francia nel XV secolo e sparì nel secolo successivo. In questa figurazione pittorica i morti, impietosi ed ironici, che, come attributi iconografici, spesso hanno dardi o picconi o bare, ma non colpiscono i vivi e non li colpiscono a tradimento, trascinano in una danza uomini di tutte le condizioni sociali, ma ogni scheletro è speculare al morto costretto a danzare (uno scheletro dai radi capelli e i seni flaccidi ghermisce la bella fanciulla che si rimira allo specchio, un altro con la mitria in testa afferra il vescovo che inutilmente s’aggrappa al tavolo ingombro di monete e di gioielli) e quasi sempre la rappresentazione di ogni personaggio è commentata da brevi strofe. Né la bellezza, né la ricchezza, né la fama, né il prestigio privilegiano, tutti indistintamente sono costretti a soccombere; morire è un destino inesorabile, una sorte comune a tutti gli uomini, ed in ciò la Morte ha carattere egalitario ed è riequilibratrice di ogni ingiustizia. La Danza macabra, che ebbe la sua origine letteraria nella Danse Macabré (nel linguaggio corrente Danse macabre) che nella Francia medievale designava i commenti in versi alle rappresentazioni dipinte o scolpite delle danze dei morti, e che inizialmente presentò solo uomini, ma poi si estese anche alle figure femminili (famosa La danse macabré des femmes, del 1486, componimento attribuito a Martial d’Auvergne, in cui la Morte sorprende la regina e la duchessa, la prostituta e la ragazzina, etc.), fu molto diffusa nell’area nordica e in Francia, ma anche in Spagna e nell’Italia del Nord, nelle chiese, dipinto sulle navate e sulle pareti dei chiostri che servivano da camposanto. La prima immagine documentata risale al 1424, quando venne rappresentata nel cimitero parigino dell’Église des Innocents (opera perduta nel 1669), ma forse il tema era noto in Francia dal XIV secolo e si definì solo in seguito, distaccandosi dall’iconografia dell’Incontro dei tre vivi e dei tre morti Appartenente ad un genere di pittura franco-germanica, opera citata in tutti i testi di storia dell’Arte, che contiene, insolitamente insieme, i due ultimi temi macabri, il Trionfo della Morte e la Danza macabra, è il grandioso affresco, purtroppo mancante di alcune parti, posto sulla facciata dell’ Oratorio dei Disciplini 6 a Clusone (Bg), in alta Val Seriana. L’affresco, risalente al XV secolo, esattamente al 1485, come riportato nella scritta di un suo cartiglio (ancora s’indaga sull’identità dell’autore, quasi certamente Zachom o Jacobus Burlonis o de Burlo, Giacomo Borlone o Giacomo Busca) comunemente è chiamato “Danza macabra” o “Trionfo della Morte”, ma i temi del dipinto sono tre, Il trionfo della morte, La danza macabra e l’Inferno e il Paradiso, e, trattando il tema escatologico, sarebbe più esatto chiamarlo “Affresco dei novissimi”, cioè delle ultime certissime realtà della vita umana: Morte, Giudizio, Inferno e Paradiso. L’affresco ha in alto il Trionfo della morte e nel registro inferiore un’interessante Danza macabra.
Io sonte la morte che porto corona ... sapienza beleza forteza niente vale
Il Trionfo della Morte presenta la “ donna involta in veste negra” raffigurata da uno scheletro con mandibole atteggiate decisamente a sorriso vittorioso, con un manto ed una corona sul capo, trionfante su un sarcofago entro cui giacciono un papa e un imperatore; le braccia sono spalancate e reggono due grandi cartigli che annunciano il suo trionfo, uguale e ineluttabile per tutti. I cartigli a sinistra così recitano: Gionto p(er) nome chiamata morteferisco a chi tochara la sorte O(gn) la omo more
Sui cartigli di destra si legge: Gionto la morte piena de equaleza sole voij ve volio e non vostra richeza Chi e fundato in la justitia e (nel bene) e lo alto Dio non discha (in
core) Accanto alla Morte trionfante ci sono due scheletri: quello di destra è impegnato con l’archibugio, puntato a bruciapelo su una schiera di prelati capeggiati da un pontefice che offre monete; quello di sinistra scaglia frecce con cui trafigge religiosi e cavalieri, riversi, disperati, con le mani sul volto o inutilmente in fuga. Ai piedi del sarcofago altri personaggi offrono doni alla Morte: a destra un cavaliere porge una corona, a sinistra un doge un vassoio di monete, un monaco un anello, al centro un re sta trattando con un ebreo, ma ai loro piedi sono già cadute due teste coronate perché, imparziale, incorruttibile, la Morte non si lascia comperare né dall’oro né dalla potenza umana; come recita il cartiglio, nulla le interessa, se non l’uomo: voij ve volio e non vostra richeza. Nella parte inferiore dell’affresco c’è La Danza Macabra, l’interpretazione del Giudizio, annunciata dall’ iscrizione che sembra invitare al ballo:
O ti che serve a Dio del bon core
I personaggi, provenienti da una porta dietro la quale si intravede un salone affollatissimo, appartenenti a tutte le classi sociali (la dama con lo specchio, il disciplino, riconoscibile dalla veste col cappuccio, un viandante con la sua bisaccia, un oste, un mercante, un soldato, un artigiano, un letterato) avanzano in fila condotti, per mano o sottobraccio, quasi a passo di danza, ognuno da uno scheletro verso un’altra porta, figura dell’ingresso alla vita eterna, dove li attende il giudizio divino. Nell’affresco è presente anche il richiamo all’ incertezza dell’ora della morte, rappresentato dal giovane cavaliere che, mentre è intento alla caccia, in compagnia, all’improvviso viene disarcionato. Nella terza parte del dipinto sono rappresentati l’Inferno e il Paradiso, ma molte parti (la raffigurazione del castigo dell’avarizia, il Paradiso, gli eletti, il Cristo) sono, purtroppo, andate distrutte. L’affresco di Clusone, pur se mutilo, tuttavia è sufficiente a far comprendere come all’autore interessasse non solo fare della satira sferzante, o terrorizzare, ma anche far riflettere sulla vita e sulla morte, ed esortare ad una vita basata sulle certezze e sulla via della salvezza offerte dalla fede cristiana, poiché, come scritto sul cartiglio:
Chi e fundato in la justitia e (nel bene) e lo alto Dio
non discha (in core)
Affresco di Clusone Francesca Santucci Note
1) Hélinand de Froidmont, o Helinandus, nato intorno al 1160, morto nel 1229, fu monaco cistercense del convento di Froidmont e scrittore; oltre ai Vers de la mort, scritti in francese, compose in latino sermoni, epistole ed una monumentale cronaca. 2) Trasposizione cristiana della leggendaria vita del Buddha. 3) Petronio Arbitro, Satyricon, 41. 4) Le “Vite” di Giorgio Vasari, pubblicate nel 1550, sono la prima storia critica dell’arte italiana. 5) Domenico Cavalca (c.1270, morto a Pisa nel 1342), fu predicatore domenicano ed autore di componimenti poetici, sonetti, laude e sirventesi e delle Vitae patrum, la più grande raccolta di leggende sulle vite dei santi. 6)La compagnia dei Disciplinati Bianchi, comunemente detti Disciplinati o Disciplini, era una confraternita radicale, estremista, che aveva le sue origini nelle esperienze duecentesche dei Flagellanti di Raniero Fasani in Umbria.
Riferimenti bibliografici
Angeli e demoni, II parte, Electa, 2004, Milano. Episodi e personaggi della letteratura, I parte, Electa, 2004, Milano. Bruegel, Classici dell’Arte, Rizzoli, Milano, 1967. L’enciclopedia tematica- Arte, vol.I , L’espresso grandi opere, Milano, 2005. Tra Terra e Cielo, SESAAB editrice, 2000. Clusone, edizioni Ferrari, Bergamo, 1975. Il Trionfo della Morte e le Danze macabre, dagli atti del VI Convegno Internazionale tenutosi in Clusone, Bergamo, 1997. N. Flocchini – P. Guidotti Bacci, Il nuovo libro degli autori, Bompiani, 1996. Giorgio Vasari, Vite, Vita di Piero di Cosimo, Newton, Roma, 1993. Francesco Petrarca, Trionfi, Rime stravaganti, Codice degli abbozzi, Mondadori, Milano, 1996. Petronio, Satyricon, Fabbri editori, Milano, 1994.
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