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Anna Radius Zuccari, in
arte
Neera
(1846-1918)
Anna
Radius Zuccari, scrittrice milanese che, con lo pseudonimo oraziano di Neera pubblicò saggi, novelle e romanzi, tradotti anche in
francese, tedesco ed inglese dagli stessi traduttori di D’Annunzio e
di Fogazzaro, in vita fu una scrittrice molto amata, annoverata, insieme
a Matilde Serao e a Grazia Deledda, fra le più note dell’epoca,
lodata persino da Benedetto Croce che, per la lucida analisi della
condizione femminile, sorprendentemente moderna in molti aspetti, e per
la sua carica di umanità, così si espresse: Quant’abbondanza
di pensieri e di affetti nei libri di Neera: a lei bastava aprire le
chiuse dell’anima perché ne prorompesse un’onda copiosa e
calda…sentiva e meditava come respirava e scriveva allo stesso modo,
senza sforzo.
Nata
a Milano nel 1846, Neera trascorse lunghi periodi felici a Caravaggio (paese del bergamasco dove vivevano i nonni
materni chiamato
affettuosamente Caro-viaggio e sempre ricordato ed amorevolmente
descritto nelle sue opere) poiché qui la madre, donna bellissima
ritratta anche dal pittore Giovanni Moriggia, trovava il giovamento
negato a Milano per la sua salute cagionevole. Neera
dimostrò fin da bambina poca propensione allo studio ed insofferenza
alla scuola, il cui insegnamento da adulta poi mise in discussione in
modo critico, ma profonda sensibilità e fervida immaginazione. Ben
presto, a causa della prematura morte della madre, e del tracollo
finanziario della famiglia materna, fu impossibilitata a continuare gli
studi, e ciò spiega certe sue imprecisioni formali. Costretta a vivere
con due zie nubili, sorelle di suo padre, severe ed affatto espansive,
zia Margherita e zia Nina, la seconda a lei fortemente ostile, che
ebbero un ruolo decisivo nella formazione della sua personalità schiva
ed appartata, maturò autonomamente (Non apparterrò mai a nessuna
scuola, non seguirò mai nessun metodo), distaccandosi dalle
figure di donna comuni al suo tempo e ripiegando in se stessa. Diceva: Leggere,
scrivere, pensare: ecco il riassunto della mia giovinezza. Erano le
gioie che avevo alla mia portata e le prendevo avidamente.
E
molto scrisse Neera, romanzi come: Un romanzo, 1876, Addio,
1877, La Regaldina, nel 1884, Il marito
dell’amica, 1885, Teresa, nel 1886, Lydia, nel 1887,
L’indomani, 1890, Fotografie matrimoniali, 1898,
La vecchia casa, Nel 1900, Una passione, nel 1903, Duello
d’anime, 1911”; novelle, pubblicate su riviste come Il
Pungolo, Il Fanfulla della Domenica, L’Illustrazione
italiana, Il Marzocco, Il Corriere della Sera; saggi,
come L’amor platonico, nel 1897, L’indomani, 1890, Fotografie
matrimoniali, 1898, Battaglie
per una idea, nel 1898, Le idee di una donna, nel 1903 e, in
collaborazione col Mantegazza, un Dizionario d’igiene per le
famiglie, nel 1881.
Notevoli
anche gli epistolari, comprendenti le lettere scambiate con i personaggi
più illustri del suo tempo, come Verga, Mantegazza, Marinetti, e il
libro di memorie, eccezionale documento autobiografico, Una
giovinezza del secolo XIX, iniziato a scrivere nel 1917, quando
era costretta a letto inferma, e lasciato incompiuto, sospeso solo
qualche giorno prima della morte, avvenuta a Milano nel 1918. Teresa,
Lydia, Marta, Myriam, Anna, le sue eroine letterarie, furono tutte donne
profondamente radicate nello spirito del tempo, vittime degli uomini,
della loro noncuranza e della loro indifferenza, spose e zitelle
costrette sovente a vivere senz’amore, a nascondere la loro
indifferenza, ma Nessuna vera donna sottoscrive a questa rinuncia
senza soffrire; talvolta la sofferenza è spasimo e disperazione , tal
altra è profonda mestizia o rassegnazione malinconica od anche fierezza
di silenzio, eppure, attraverso questi personaggi, Neera seppe
essere a tratti rivoluzionaria, esprimendo, anche se mai fu femminista,
certe inquietudini di sorprendente modernità, come in Teresa, dove per
prima affrontò il tema del desiderio femminile, asserendo: L’amore,
il vero, nasce da un complesso di circostanze, di affinità intime e
continue. E’ un certo modo di guardare, di sentire, di esporre le
idee; è una piega del labbro, la voce, il gesto, la forma della mano,
l’odore della pelle. E’ l’attrazione prolungata dei corpi, per cui
più si sta vicini e più si starebbe.
Lucidità di analisi, partecipazione emotiva, fine introspezione
psicologica sono le qualità che caratterizzano le opere di Neera,
autrice che, caduta per lungo tempo nell’oblio, recentemente è stata
riscoperta, grazie anche alla ripubblicazione del suo romanzo più famoso
ormai introvabile, Il castigo, ad opera proprio del comune del
paese da lei tanto amato: Caravaggio. Tacciata
a lungo di antifemminismo, causa non estranea all’oblio in cui è
scivolata, ad un’attenta rilettura dimostra invece intuizioni moderne
ed eternamente valide, come quando, nel brano che segue, sottolinea il
prepotente bisogno d’amore delle donne e il loro straordinario potere
di perpetuare la specie, affermazione, quest’ultima, che molto
somiglia a quella in voga negli anni di acceso femminismo e più che mai
valida in questi tempi in cui continuano a soffiare venti di guerra, e
cioè che, di contro agli uomini che sono quasi sempre portatori della
morte, le donne sono sempre portatrici della cultura della vita.
***
…Dunque
dico che piacere è l’istinto più importante che il fattore
dell’universo ha messo nella donna. Non importa se lungo la corruzione
dei secoli e dei costumi deviò dallo scopo fino a sopprimere lo scopo
stesso; esso è la voce del Creatore che affida con questo mezzo alla
donna l’alto dovere di imporre all’uomo la continuazione della
specie, al quale il suo egoismo lo sottrarrebbe immancabilmente se non
vi fosse l’esca di un diletto: La più frivola delle donne, che si
illude di infiocchettarsi e di civettare per seguire la propria vanità,
ubbidisce senza saperlo a questa legge suprema; ma la donna che sente
nobilmente di sé, che è pronta a tutti i doversi del suo sesso, ne
esige pure i diritti e vuole amare ed essere amata, perché le sue
labbra non devono chiudersi per sempre senza aver conosciuto il bacio
dell’uomo, né il suo grembo isterilirsi prima di avere comunicato i
misteri del suo essere alle generazioni future. Nessuna vera donna
sottoscrive a questa rinuncia senza soffrire; talvolta la sofferenza è
spasimo e disperazione , tal’altra è profonda mestizia o
rassegnazione malinconica od anche fierezza di silenzio, o vertigine di
oblio; ma qualunque sia il velo pudico che cela la sofferenza,
guardatele bene queste vergini canute e, salvo rare eccezioni,
sollevando un lembo di quel velo, troverete la lagrima, congelata fra
ruga e ruga…
(da
“Una giovinezza del secolo XIX”, Neera)
Francesca Santucci
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