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La poetessa Ada Negri
rievoca qui, con accenti profondamente commossi, l'alba di un lontano giorno
di Natale della sua infanzia. Siamo alla fine
dell'Ottocento (Ada Negri nacque il 1870 e morì nel 1944); il Natale è un
Natale povero, da povera gente, ancora l'illuminazione elettrica non è
diffusa ovunque (le "fiammelle del gas") ed il caffé non è una bevanda d'uso
comune (perciò da sorseggiare "con lentezza sapiente"), ma un lusso
"sibaritico" ( proverbiali erano il lusso e la mollezza degli abitanti di
Sibari, nella Magna Grecia). E' un Natale povero ma è
confortato dagli affetti, soprattutto quello che lega profondamente
alla sua mamma la poetessa bambina che, già di vivida
immaginazione, in chiesa fantastica, fra gli ori, le luci, i paramenti
sacri, le statuine del presepe e il Bambino, ma pure rivolge il suo
pensiero al futuro Calvario della via Crucis.
Per meglio incominciare la
festa, mia madre concedeva- lei così parsimoniosa- a sé ed a me il
sibaritico lusso d'una tazza di "nero bollente" al tavolino d'un caffeuccio,
già aperto a quell'ora sull'angolo di via Roma. Con lentezza sapiente
assaporavo la bevanda per me preziosa, e mi riempivo le nari del suo aroma;
non avrei voluto finire mai. Mi sentivo calda calda, con le vampe al viso; e
leggerissima. L'atmosfera fumosa e satura di alcool, il banco rivestito di
metallo bianco riflettente le fiammelle del gas, le bottiglie multicolori
allineate sulle scansie eccitavano la mia fantasia. - Presto, presto- diceva la
mamma, alzandosi snella e pagando al banco- presto, presto: che non s'arrivi
a messa già incominciata!... Ancora un tuffo nelle vie buie:
ancora ammiccar di fanali pazienti e saggi: poi, l'aprirsi di una porta
chiodata, il sollevarsi d'una pesante portiera: uno splendor di lumi,
un'ondata d'incenso, un fremere, un piangere d'organo. Beatitudine d'essere in chiesa!
I miei sensi già vigili si placavano in quell'armonia calda e ricca di
vermiglio e d'oro, di fiammelle, di riflessi, di sacerdoti dai movimenti
nobili e ritmici nei càmici di trina, nelle pianete di damasco. Fra quelle
bellezze potevo evadere dalla povertà di casa mia, dalla meschinità rigida e
nuda delle aule scolastiche, dalla chiassosa volgarità della strada. Cercava, la mamma, per farmi
felice- a quella messa mattiniera di Natale-di portarmi a sedere proprio
dinanzi al presepe, che era esposto a destra, sotto l'altare. A bocca
semichiusa, con occhi estatici ammiravo il Bambino, contavo i pastori, i
mandriani e le loro offerte, e rifacevo con la fantasia il viaggio dei Re
Magi, sotto la guida della stella di Oriente. Ma non potevo fare a meno di
guardare, volgendo la testa, anche i quadri della Via Crucis, appesi lungo
la navata centrale, e messi in luce dalle fiamme, dei molti candelabri, tra
festoni rossi frangiati d'oro.
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