Raccontami una storia
di Gordiano Lupi
Un freddo vento di tramontana spazzava le nubi dal cielo.
Marco, nella sua casa di mare, guardava le isole lontane ed i rapidi
voli degli uccelli infreddoliti.
“Finalmente Natale, – pensava – finalmente mio padre è a casa”. Era
bello sentirsi protetti dal tepore di quelle mura domestiche, addobbate di
vischio e lustrini d’ogni colore. Era dolce pregustare l’attesa dei doni
disposti in bell’ordine sotto l’albero e le scorpacciate di dolci.
L’abete natalizio, perfettamente decorato, troneggiava nell’ampio
salone, proprio accanto al caminetto. Il presepe era ai piedi, ben
disposto su di una coltre di muschio. Ne era orgoglioso, perché anche lui
aveva contribuito a realizzarlo.
Però la cosa che più eccitava Marco era la presenza di suo padre. Lo
vedeva così poco! I suoi affari lo portavano spesso in giro per l’Italia e
lui era sempre solo in casa con sua madre. Sicuramente non avevano di che
lamentarsi, perché non era mai mancato niente. Tutt’altro. Vestiti, regali
nelle occasioni importanti, auto nuova, vacanze in montagna o al mare e
sempre nei luoghi più esclusivi, domestica in casa per badare alle
faccende e una tata per lui sin da quando era piccolino…Erano una famiglia
fortunata, non c’era niente da dire. Pochi tra i suoi amici possedevano le
cose che lui aveva.
Ad un tratto la voce del padre, che veniva dall’angolo più lontano del
salone, lo scosse dai suoi pensieri.
“Sei diventato grande ed io invecchio. Tra un po’ non sarò neppure
capace di tenerti in braccio”.
“Non è vero”, protestò Marco avvicinandosi alla poltrona dove il
genitore stava comodamente seduto. Quindi si gettò tra le sue braccia,
come per provare il contrario.
Il padre lo accolse protettivo.
“Ancora per poco. Il tempo corre…”.
Marco non comprendeva bene. In fondo aveva solo otto anni e faceva
fatica ad immaginare suo padre vecchio e debole. Nei suoi sogni era l’eroe
invincibile, che lo proteggeva da ogni pericolo.
“Babbo, raccontami una storia. E’ tanto che non lo fai”.
Il padre accarezzò i capelli riccioli di Marco e non si fece pregare
più di tanto. Pareva che attendesse solo quel momento.
“C’era una volta una famiglia poverissima, che viveva in una vecchia
casa cadente di periferia. La città per loro era solo un insieme di
occasioni non colte e sogni perduti. Dopo la chiusura dell’azienda
metalmeccanica, non potevano più contare su di uno stipendio sicuro. In
tre persone campavano di quel poco che il padre riusciva a raggranellare,
conducendo una vita fatta di espedienti. Piccoli furti, truffe,
elemosine…..
Arrivò un triste Natale, più duro e difficile di tanti altri.
Per il povero il periodo natalizio non è un bel momento, perché vede la
felicità riflessa negli occhi degli altri e sa che non può averla per sé e
che soprattutto non può darla ai suoi cari.
In quel periodo il padre della nostra famiglia si sentiva ancora più
inutile. Non possedeva neppure il denaro per acquistare un regalo al
figlio di otto anni. Fu così che decise di rubarlo, nel supermercato più
grande della città. La folla lo avrebbe nascosto e protetto, pensava. Si
impossessò della cosa più costosa che vide. Un giocattolo elettronico,
come quelli che piacevano tanto al suo bambino. Un’auto telecomandata.
Sarebbe stato felice. Già lo vedeva e sorrideva al solo pensiero. Una voce
alle spalle lo fece trasalire. “Mani in alto e posa quello che hai preso o
è peggio per te!” Lo avevano scoperto, ma lui non voleva passare il Natale
in galera, perché aveva un figlio che lo attendeva. Doveva portargli il
regalo che aveva scelto. Fuggì senza pensare, senza voltarsi. Il
poliziotto sparò alle gambe, per bloccarlo, ma mirò male e lo freddò con
un colpo alla schiena. Quando sua moglie lo seppe, in una piccola stazione
di polizia, strinse il piccolo al petto e non riuscì neppure a piangere.
“Papà non c’è più – gli disse – non è riuscito a farti il suo regalo di
Natale”.
Il bambino sembrò capire e pianse, a lungo, d’ un pianto silenzioso. La
voce del poliziotto infranse il suo dolore.
“Non seguire l’esempio di tuo padre, lo vedi come si finisce”. Le
lacrime divennero pietra e il volto si fece duro, trasfigurato dall’odio.
Non so cosa lo tenne dal non sputargli in volto. Proprio mentre udiva
quelle parole il bambino giurò a se stesso che non sarebbe cresciuto come
suo padre, ma sarebbe addirittura diventato migliore, seguendone le orme.
Per vendicarlo. Per non tradirne il ricordo. E per vedere morti due
stupidi poliziotti.
Fu così che crebbe e divenne un ladro abilissimo, entrò a far parte di
piccole bande e poi ne costituì una propria. Pian piano diventò un boss,
un gangster rispettato, un mandante di loschi affari, imprendibile e
scaltro.
Una notte d’inverno mandò i suoi sicari ad uccidere il poliziotto che
per errore aveva assassinato suo padre. Poco
tempo dopo catturò e fece giustiziare, dopo avergli spiegato chi era e
perché lo uccideva, il poliziotto che molti anni prima lo aveva ammonito a
non prendere esempio da suo padre.
In poco tempo divenne il criminale più importante della città ed anche
il più intoccabile, grazie ad amicizie politiche importanti, che aveva
contribuito a far insediare nei posti di potere. Fece del crimine un
impero e si costruì attorno un mondo dorato, nel quale faceva vivere la
sua famiglia.”
Marco era sconcertato.
“Non è una bella storia, babbo. Il cattivo vince. Non c’è il lieto
fine…”
“Quello devi mettercelo tu”.
“Che vuol dire?”
Il padre lo strinse a sé tra le sue braccia protettive e forti.
“Vuol dire che ti ho raccontato la mia storia. Vuol dire che passato il
Natale non sarò più con te per molto tempo e chissà se e quando ci
rivedremo…”
“Cosa dici, babbo?”
“Dico ciò che mi consigliò quel poliziotto in quella brutta notte di
tanti anni fa. Dico che tu devi essere veramente diverso da tuo padre.”
Marco non sapeva che rispondere. Suo padre un criminale? Che fiaba era
questa? Restò immobile qualche minuto e attese ancora qualche parola dalle
labbra del genitore.
Il padre lo baciò in fronte e gli disse:
“Ora vai a letto che domani è Natale”.
Marco lo abbracciò forte e gli dette un bacio.
Sorrideva e piangeva, non avrebbe saputo dirlo neppure lui. “Buon
Natale, papà”, disse mentre si avviava in camera. “Buon Natale, figliolo”,
fece eco il padre.
Domani sarebbe stato un nuovo giorno.
Poteva essere l’ultimo Natale in compagnia di suo figlio, ma era
importante che fosse indimenticabile.
Alzò gli occhi al cielo e d’un tratto gli parve di vedere il volto di
suo padre che sorrideva. Era tanto, troppo tempo che non lo rammentava
così. Sapeva bene che era solo un gioco della memoria in una notte
d’inverno, ma ne fu ugualmente contento. Ricambiò il sorriso, al pensiero
del vecchio genitore, che appariva e scompariva nel bel mezzo d’un volo di
uccelli marini, infreddoliti da una pungente tramontana.
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