Burka
di Mirella Floris
Aveva un nome comune, Mario
Bianchi. Non aveva particolari qualità: era un giovane
di venticinque anni come tanti. Solo da pochi giorni si
trovava qui, nell’inferno di ghiaccio di questo paese
straniero. Aveva chiesto lui di partire per la guerra in
Afghanistan. Era stato preso dalla propaganda pervicace
dei politici e, perché no, dal desiderio di guadagno. L’aria rarefatta e pungente
procurava un leggero stordimento. Mai come quella notte
Mario aveva avuto nostalgia del mare: gli mancavano il
suono profondo della risacca e l’aroma della salsedine,
ma soprattutto lo struggeva la nostalgia degli occhi
della sua ragazza, verdazzurro come il mare. Il buio era sceso da poco. Nel
cielo terso si vedevano le stelle. Sembravano vicine più
che mai. Tutto il bianco che tra ombre lunghe invadeva
il paesaggio, se pur incantevole, sapeva di morte. Entrò nello stanzone adibito a
bar soprattutto per sfuggire al freddo. Si sedette a un
tavolo poco lontano dal bancone e ordinò un bicchiere di
birra. Negli occhi malinconia, nel cuore noia profonda,
sorseggiò la birra pentendosi d’averla ordinata. Un
uomo, visibilmente un americano, sepolto tra sciarpa e
passamontagna entrò nel bar. Una nuvola di vapore
circondò la sua barba biondiccia. Scosse le scarpe
lasciando cadere sulla griglia la neve ghiacciata; si
tolse lentamente il giaccone; srotolò la sciarpa. Emerse
infine dal passamontagna: era vigoroso, dalla faccia
simpatica. Chiese un whisky e bevve d’un fiato. Poi si
guardò intorno: la sua ricognizione s’appuntò sul volto
da bravo ragazzo di Mario; ne lesse l’espressione
malinconica e gli si avvicinò: - Where are
you from? - - Sono italiano. - - Ah, buono! - rispose l’uomo
in italiano stentato. - I’m
Thomas. Sorry, sono Thomas. - - Hallo, Thomas. Parlo
pochissimo inglese. - - Ah, no male, io parlo
italiano un poco. - Ordinarono da bere. Mario
chiese un the. Non pessimo come la birra, caldo;
Thomas ordinò di nuovo un whisky. “Questi devono forte!
- pensò Mario - “come faranno la mattina ad essere così
energici?!”. Thomas cominciò a parlare
dell’Italia. Era stato in vacanza a Napoli e ne
decantava il sole e... le donne. A Mario vennero le
lacrime agli occhi. Cercò di nasconderle: un soldato non
può commuoversi solo a sentir parlare del proprio paese! L’uomo riprese a parlare delle
donne. Descrisse quelle francesi piccanti e “hosé”,
quelle spagnole “calienti” e altre di varie nazionalità.
Per tutte aveva un elogio appropriato. - E le italiane? - chiese
Mario. . - Oh, le italiane! Essere
tender e passioned. - Anche qui le donne sono bbone.
- Mario restò sorpreso: credeva
che le donne afgane fossero inaccessibili, chiuse
com’erano nell’abito prigione del burka. Thomas gli spiegò che sotto il
burka si celavano delle ragazze mica male, che gli
uomini per pochi soldi le vendevano ai soldati. Non
erano gelosi come si poteva pensare; consideravano le
donne poco più di animali; non si facevano scrupoli, se
potevano ricavarne un tornaconto. - Se vuoi… - ammiccò Thomas.
“Perché no?!” si disse Mario. Quella sera era così
triste che solo il calore dì una donna poteva aiutarlo. Si accordarono per la cifra,
poi si imbacuccarono e lasciarono lo stanzone. - E’ qui vicino - lo rassicurò
Thomas. Fecero un breve percorso
cercando di non scivolare sulla neve ghiacciata. Di
nuovo Mario soffrì l’aria rigida e penetrante. Un
casolare si stagliò nella notte: il fumo usciva
rassicurante dal camino. - Aspettare - disse Thonas.
Bussò, poi scomparve nella casa. Si sentiva parlottare
in una lingua incomprensibile. L’americano uscì quasi
subito e guidò Mario dietro la casa verso un uscio
ricavato dalla pietra. L’interno era buio, ma caldo. Una
donna invisibile, avvolta dal burka, sedeva su una panca
presso la stufa a legna. Mario dietro la rete intravide
due grandi occhi neri. Una emozione inattesa lo
sorprese: il mistero che la donna celava lo attirava
stranamente. Mario si avvicinò intimidito.
Lei gli indicò un sedile di fronte. Gli occhi di lei
brillavano. Si era accorta della timidezza del giovane,
forse sorrideva sotto il burka. Lo prese per mano
rincuorandolo con voce dolce. Chissà cosa diceva, forse
parole di cortesia. Mario le sorrise. La donna cominciò
a scostare il lungo abito, liberandosi pian paino.
Depose il sacco sulla tavola e si girò verso di lui: era
bella, ancora giovane. Aveva i capelli nerissimi, legati
sulla nuca. Mario arrossì, quando lei gli si avvicinò.
La timidezza lo rese più tenero agli occhi della
straniera. Aveva un corpo ben fatto. La guardò con più
ardire. Una camicetta ricamata conteneva il seno
piccolo, una gonna a pieghe ricopriva i fianchi. La donna chiese in inglese: - What’s
your name? Where are you from? - Sembrava
intelligente e sicura di sé. Cercò nei ricordi della
scuola le parole per rispondere: - My name’s
Mario, I am from Italy. - - Ah, Italiano? - rispose lei
con sicurezza. Io sono Fatima - aggiunse. Lesse nei suoi
occhi la sorpresa. - Sono stata sei mesi in
Italia. - - Davvero?! - - Sì, sono laureata in
medicina. Sono stata sul lago di Garda per uno stage. -
Parlava con accento afgano un italiano corretto. - Parli bene la mia lingua. -
Si vergognò d’essere lì per un
incontro amoroso. Fatima gli spiegò come erano
cambiate le cose nel suo paese con i talebani. Mario
pensò che trovarsi così, di fronte alla concretezza dei
fatti, era tutt’altra cosa. - Lasciamo stare, le disse,
parliamo soltanto. - - No, gli rispose lei, devo
assolvere al mio compito. - - Perché? E’ un piccolo regalo.
- - Sono osservata, anche se non
vedi. - Mario si guardò intorno: nulla
faceva sospettare. Poi guardò meglio: sopra un piccolo
quadro si vedeva una feritoia. Ancora più imbarazzato
fece per alzarsi. Fatima gli strinse la mano, si
avvicinò a lui e cominciò a baciarlo con tenera
sapienza. Il calore della donna lo
convinse; si lasciò andare, più che a un impulso
sessuale, al desiderio d’amore.Nell’andar via, si
ricordò improvvisamente che quella era la notte di
Natale. Nel buio nessuno lo vedeva. Pianse lentamente,
in silenzio, calde lacrime salate. Si
raffreddavano rapidamente in quella straniera notte di
gelo.
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