Leone I, papa, detto Magno, dottore della Chiesa e santo, nacque, a Roma o nelle sue vicinanze alla fine del IV secolo. Fu eletto papa nel 440 e nel 452 arrestò l’esercito di Attila che marciava su Roma. Gli scritti autentici che di lui rimangono sono i  Sermoni e le Lettere. Gli argomenti dei primi riguardano per lo più le feste liturgiche e costituiscono il primo omiliario pontificio giunto sino a noi. Leone scriveva i sermoni di proprio pugno prima o dopo averli pronunciati. Il suo stile è colto, ma sobrio ed essenziale, volto alla comunicazione efficace delle verità cristiane. Qui si traducono a titolo di esempio il primo sermone di Natale (10 in tutto) ed il settimo dell’Epifania (8 in tutto).

Leone Magno

 

Sermone primo nella solennita'

del Natale di Gesu' Cristo Nostro

 Signore

 traduzione di Eleonora Bellini

 

Della gioia che dobbiamo provare in questa festa

e quali doni  Cristo ci  porti con la sua nascita

 

 

 

Esultiamo, carissimi: oggi[1] è nato il nostro Salvatore.
Non è lecito lasciar posto alla tristezza nel giorno in cui nasce la vita: quella vita che, distrutto il timore della morte, infonde in noi la gioia dell’eternità promessa. Nessuno è escluso dalla partecipazione a questa felicità, unico è  il motivo della gioia comune a tutti: il fatto che il Signore nostro, vincitore sul peccato e sulla morte, non avendo trovato nessun uomo immune da colpa, venne a liberarci tutti.
Esulti il santo, perché si avvicina alla palma della gloria. Si rallegri il peccatore, perché è invitato al perdono. Si faccia coraggio il gentile[2], perché è chiamato alla vita.
Infatti, giunta la pienezza dei tempi[3] stabilita dall’imperscrutabile profondità del volere divino[4], il figlio di Dio assunse la natura umana per riconciliare l’umanità con il Creatore, affinché l’artefice della morte[5], il demonio, fosse vinto proprio da quella stessa natura che aveva fatto schiava. E in questa battaglia, intrapresa per noi, combatté secondo il supremo e mirabile diritto che s'ispira alla giustizia, dal momento che Dio onnipotente si scontrò con l’orrendo nemico non rivestendosi della propria maestà, ma della nostra miseria, e gli oppose la nostra stessa forma e la nostra medesima natura, partecipe fino in fondo del nostro essere mortali, pur restando privo di ogni peccato.  In verità l'odierna nascita si sottrae a quanto è scritto per tutti: "Nessuno è esente dal peccato, nemmeno un bambino che conta un solo giorno di vita sulla terra[6]". Nulla, infatti, in questa nascita, che derivi dalla concupiscenza carnale, nulla che provenga dalla legge del peccato.
Fu scelta una Vergine fanciulla della regia stirpe di Davide, che, chiamata a portare dentro di sé quel sacro bambino, concepisse la prole divina con lo spirito prima che con il corpo[7]. Affinché ella, ignara della volontà dell’Altissimo, non temesse lo straordinario evento che lo Spirito Santo stava per operare in lei, lo apprese dalle parole dell’angelo. E non ritenne offesa la sua purezza dal fatto che presto sarebbe stata la madre di Dio. Perché infatti avrebbe dovuto dubitare della straordinarietà di questo concepimento colei alla quale veniva annunciato un evento dovuto alla potenza dell’Altissimo? La sua fede fu confermata anche dalla testimonianza di un miracolo già avvenuto: venne donata ad Elisabetta un’inattesa fecondità, affinché ella avesse la certezza che chi aveva donato un figlio ad una sterile, lo avrebbe potuto donare anche ad una vergine.
Dunque Dio, il Verbo di Dio, Figlio di Dio, che in principio era presso Dio, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose, e senza il quale nulla esisterebbe[8], si è fatto uomo per liberare l’uomo dalla morte eterna. Così, chinandosi a raccogliere la nostra pochezza senza diminuire la propria maestà,  restando qual era e divenendo ciò che non era[9], sposando la vera condizione di servo a quella condizione nella quale egli è uguale a Dio Padre,  congiunse l’una e l’altra natura con un patto tanto solido che la glorificazione non assorbì la natura inferiore, né l’incarnazione sminuì la divinità. Fatte salve, dunque, ed unite in una sola persona le caratteristiche della natura divina e di quella umana, la miseria si riveste di maestà, la debolezza di forza, la natura mortale di eternità. Per pagare il debito della nostra condizione, la natura immortale si è unita a quella mortale, e vero Dio e vero uomo si sono compenetrati nell’unità del Signore, affinché si verificasse ciò che esigeva la nostra salvezza: che un solo ed identico mediatore tra gli uomini e Dio potesse sia morire come uomo che risorgere come Dio. Con ragione dunque questo parto del Salvatore non introdusse nessun elemento di corruzione nell’integrità della Vergine, perché la nascita della Verità fu salvaguardia della purezza.
Tale nascita dunque, o carissimi, convenne a Cristo, virtù e sapienza di Dio[10], e grazie ad essa egli ci ha eguagliato nell'umanità e ci ha superato nella divinità. Se infatti non fosse vero Dio non ci recherebbe la salvezza; se non fosse vero uomo non ci offrirebbe l’esempio. E’ per questo che gli angeli esultanti cantano "Gloria a Dio nell’alto dei cieli" ed annunziano: "Pace in terra agli uomini di buona volontà[11]". Vedono infatti che la Gerusalemme celeste viene edificata nel mezzo di tutti i popoli del mondo: l'umile condizione umana non deve forse rallegrarsi per l'ineffabile opera della misericordia divina almeno quanto ne gioisce la sublime sfera degli angeli?
Rendiamo dunque grazie a Dio Padre[12] nello Spirito Santo per il dono di suo Figlio. Egli, a causa del grande amore con cui ci ha amati[13], ha sofferto per noi e, mentre eravamo morti a causa del peccato,  ci ha fatti rivivere con Cristo[14], affinché fossimo in lui creature nuove, nuove opere delle sue mani[15].
Deponiamo dunque l’uomo vecchio con le sue azioni[16], e, resi partecipi della nascita di Cristo, rinunciamo alle opere della carne[17].
Riconosci, o cristiano, la tua dignità, e, divenuto partecipe della natura divina[18], rifiuta di ritornare, a causa di pratiche indegne, alla primitiva viltà. Ricorda di quale capo e di quale corpo tu sei membro[19]. Rammenta che, sottratto al potere delle tenebre, sei stato portato alla luce di Dio, al suo regno[20]. Attraverso il sacramento del battesimo sei divenuto tempio dello Spirito Santo[21]. Non scacciare da te con azioni indegne un così grande ospite, e non assoggettarti di nuovo alla schiavitù del demonio: perché il prezzo del tuo riscatto è il sangue di Cristo[22], il quale ti ha redento nella misericordia e ti giudicherà nella verità. Egli che regna con il Padre e lo Spirito Santo nei secoli dei secoli. Amen.    

 


 

[1] Hodie  nel testo latino: le feste liturgiche in Leone non sono solo commemorazione, ma attualità vivente e presente degli eventi salvifici. A tale proposito cfr. M.B. De Soos, Le mystère liturgique d'après saint Lèon le Grand, Münster, 1958, p.26: "...per san Leone, le feste liturgiche sono insieme il memoriale di un avvenimento passato ed il rinnovarsi del dono divino che deriva dall'avvenimento commemorato. Questa sembra essere la ragione per cui egli impiega spesso la parola hodie".

[2] Questa esortazione alla gioia rivolta sia al santo che al peccatore che al pagano, comprensiva quindi della totalità degli esseri umani,  ricorda Agostino (cfr. PL 38, 996).

[3]  Gal 4, 4;  Ef  1, 10.

[4]  Rom 11, 33.

[5]  Sap  2, 24.

[6] Gb 14,  4 - 5, nella versione dei Settanta.

[7] Lc 1, 45;  S. Agostino: "Ella, piena di fede, concepì Cristo prima con la mente che con il ventre" (PL 38, 1074).

[8] Gv 1, 1 - 2.

[9] Fil 2, 7.

[10] 1 Cor 1, 30.

[11] Lc 2, 14.

[12] Col  1, 12.

[13] Ef  2, 4.

[14] Ef 2, 5.

[15] 2 Cor  5, 17.

[16] Ef 4, 22.

[17] Col 3, 5.

[18] 2 Pt 1, 4.

[19] 1 Cor 6, 16.

[20] Col 1, 13.

[21] 1 Cor 6, 19.

[22] 1 Cor  6, 20.