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Al
reverendo Polwhele dovette proprio sembrare un segno del Cielo, un castigo
divino, la morte per parto di Mary Wollstonecraft, femminista, scrittrice e
pedagogista, donna ed intellettuale ribelle ad ogni convenzione, dalla vita
movimentata e discutibile, che aveva osato rivendicare l’uguaglianza delle
donne proponendosi, anche nel suo ultimo romanzo lasciato incompiuto,
“L’oppressione della donna”, di…mostrare le ingiustizie subite dalle
donne di varie condizioni, ugualmente opprimenti, anche se diverse
per via delle differenze nell’educazione, se, un anno dopo la sua morte,
precisò che era morta …d’una morte tale da provare ineluttabilmente la
differenza tra i sessi, e da evidenziare il destino delle donne…
Mary, che da ragazza s’era ripromessa di non sposarsi mai, morì il 30 agosto
del 1797 per febbre puerperale, dieci giorni dopo aver partorito la figlia
Mary (Mary Shelley, che sarebbe poi divenuta l’autrice del famoso romanzo di
Frankenstein).
Nell’imminenza del lieto evento aveva smesso di scrivere per prepararvisi in
serenità; aveva chiesto di essere aiutata soltanto dalla levatrice, di non
avere maschi intorno a sé, ed invece fu assistita da un medico negligente
che le causò l’infezione fatale. Si
capì appena subito dopo il parto che erano in atto complicazioni, e furono
chiamati diversi medici, ma nessuno riuscì a salvarla; morì fra atroci
dolori, a soli trentotto anni.
Mary Wollnstonecraft era nata a Londra il 27 aprile del 1759 da una famiglia
di condizioni economiche modeste; a diciannove anni, a causa della rovina
economica del padre, aveva cominciato a lavorare, dapprima aprendo una
scuola insieme alle sue sorelle, poi come istitutrice.
Parallelamente aveva iniziato anche a scrivere, riversando da subito nei
suoi libri la presa di coscienza delle ingiustizie subite dalla donne, di
cui fin da piccola si era resa conto, ribellandosi al padre violento che
infliggeva maltrattamenti alla moglie, alle figlie e persino al cane.
Nel 1787 pubblicò il libro “Riflessioni sull’educazione delle figlie”,
cominciò a collaborare con la rivista “Analitical Review” e a frequentare il
circolo Johnson, che radunava artisti ed intellettuali. Fu
in questo periodo fecondo e lieto della sua vita che s’innamorò del poeta
Fuseli, sposato; purtroppo l’amore con lui fu impossibile, e a nulla valse
nemmeno la scandalosa proposta di Mary alla moglie del poeta di vivere un
ménage a tre.
Nel 1792, forte della convinzione che l’educazione fosse fondamentale per la
liberazione della donne e che, educandole, lo Stato avrebbe formato delle
mogli, delle madri e delle cittadine migliori, pubblicò il libro
“Rivendicazione dei diritti della donna”, il primo manifesto del femminismo,
in cui si pose in coraggiosa difesa di metà degli esseri umani.
Nel dicembre dello stesso anno lasciò Londra, anche per allontanarsi dal
Fuseli, e si recò a Parigi, nella Francia rivoluzionaria; qui entrò in
contatto con i girondini, intellettuali schierati a favore delle donne, con
i quali predispose un progetto per l’istruzione popolare, e conobbe Gilbert
Imlay, un ufficiale dell’esercito americano, uomo solido e concreto, anche
uomo d’affari, per il quale cominciò a nutrire una profonda passione,
testimoniata nelle lettere scrittegli tra il 1793 e il 1795.
Amore mio, obbedisco a un impulso del cuore e, prima di andare a letto,
ti auguro la buonanotte, più teneramente di quanto domani potrei fare in
poche frettolose righe. ..Trattami con la dolcezza che solo in te ho
trovato, ed io, la tua “ragazzina”, cercherò di moderare l’irruenza che
spesso ti ha fatto dispiacere. Sì, sarò brava, e finché tu m’amerai mai più
potrò sprofondare nell’acuta tristezza che mi rendeva così penosa la vita!
(Neuilly-sur-Seine, 1793).
La passione
inizialmente fu ricambiata:
Nel ricordo il mio cuore è avvinto a te…Le tue labbra mi sembrano più
morbide che mai, e poggiando contro la tua guancia la mia…mi scordo del
mondo. Fuori del quadro non ho lasciato il rosso ardente, il colore
dell’amore, e l’immaginazione deve avermi infiammato pure le guance, perché
mi bruciano, mentre scovo una dolcissima lacrima nei miei occhi…Bisogna
proprio che te lo confessi apertamente che dopo averti confidato queste cose
mi sento più tranquilla?Non so come, ma quando tu non ci sei mi sento più
sicura del tuo affetto di quando sei con me. Sì, credo che tu mi ami…(Parigi,
dicembre 1793).
Con Imlay sognò una
vita insieme, da vivere romanticamente in una fattoria in America, insieme
alla loro figlia:
Non puoi immaginare
con quale gioia pregusti il giorno in cui potremo vivere insieme, e tu
sorrideresti ascoltando quanti progetti ho ora nella testa, adesso che,
finalmente, nel tuo cuore il mio ha trovato la pace! (Neuilly-sur-Seine,
1793).
Il
sogno di Mary non si realizzò; subito dopo la nascita della loro
figlia Fanny lui l’abbandonò.
Per la delusione e il tradimento, disperata, tentò il suicidio ingerendo del
laudano; subito dopo Imlay, per liberarsi di lei, la mandò in Svezia con
l’incarico di provvedere ad alcuni affari, insieme alla figlia, che Mary
andava educando secondo i suoi moderni principi, e ad una governante. In
riconquistata fiducia ed ottimismo, rinfrancata dal contatto con la bella
natura svedese, e sostenuta dall’affetto di persone care che l’aiutarono a
dimenticare gli orrori della Francia (aveva assistito anche alla
decapitazione di Luigi XVI), scrisse le “Lettere scritte durante una breve
permanenza in Svezia, Norvegia e Danimarca”.
Tornata a Parigi scoprì che Imlay aveva un’altra donna, e tentò nuovamente
il suicidio. Ripresasi, rifiutò l’ offerta dell’uomo di provvedere al
mantenimento suo e della figlia (Le continue tue affermazioni che
farai il possibile per provvedere al mio benessere, che per te è solo
pecuniario,mi sembra una deplorevole mancanza di tatto. Non è un
benessere così volgare che voglio…Volevo solo il tuo cuore…Quando io
sarò morta solo il rispetto per te stesso ti faranno aver cura della
nostra bambina...Adieu!..., Londra, 1795) e tornò in Inghilterra dove,
nel gennaio del 1796, già famosa per il suo libro “I diritti delle donne”,
ritrovò il filosofo e saggista William Godwin, figura di spicco tra i
letterati radicali, uomo di levatura umana ed intellettuale ben diversa da
quella del suo precedente compagno, che aveva già conosciuto nel 1791 e con
il quale allora, però, non s’era trovata in sintonia; nell’agosto dello
stesso anno Mary cominciò a scrivere il romanzo “L’oppressione della donna”.
Nel 1797, creando scandalo perché già incinta, Mary sposò William Godwin; il
10 settembre dello stesso anno morì.
Dopo la sua morte Godwin adottò la piccola Fanny e scrisse la biografia
della moglie.
Interrotto nell’imminenza del lieto evento, “L’oppressione della donna”,
libro della Wollnstonecraft in due volumi, non concluso, mancante di certe
parti, che, nelle intenzioni dell’autrice, secondo quanto riferito da Godwin,
il quale ne modificò certi passaggi per rendere maggiormente comprensibile
il pensiero della moglie, avrebbe dovuto avere un terzo volume, è un romanzo
prevalentemente biografico, in cui sono riconoscibili Imlay e Godwin in
Venables e Darnford, e la stessa Mary nel personaggio della borghese Mary,
ma è anche un documento della condizione femminile del ‘700.
Allora la donna “perbene” era relegata ai soli ruoli di moglie e madre, ma
veniva anche fatta “oggetto di scambio” (prostituzione legale la
definiva la Wollstonecraft) tra padre e marito con il matrimonio, e molto
diffusa, anche se illecita, tra le donne di scarsi mezzi di sussistenza, era
la prostituzione.
Notevole per quei tempi fu, perciò, la denuncia della Wollnstonecraft delle
ingiustizie subite dalle donne (costrette a subire leggi emanate dagli
uomini a favore degli uomini e che rendevano possibili agli uomini
tiranneggiare in questo modo le donne, impossibilitate ad essere padrone
di sé stesse, dei propri beni materiali, sottoposte ad una doppia morale
sicché ciò che era adatto ad un uomo non era valido per la donna, e
viceversa) e la sua esortazione alla necessità dell’istruzione (la
curiosità, ben poco esercitata dal pensiero o dall’informazione, di rado si
muove sul lago stagnante dell’ignoranza) e alla liberazione dal
bisogno, poiché l’indigenza costringe a preoccuparsi solo della
sopravvivenza e non del miglioramento (La mente è necessariamente
imprigionata nel proprio piccolo spazio e, sempre impegnata del tutto
impegnata a difenderlo).
Fondamentali anche le sue asserzioni sull’uguaglianza politica e sociale fra
i due sessi, l’individuazione del legame fra dipendenza morale e dipendenza
economica e, dunque, la necessaria conseguente acquisizione dell’autonomia
economica della donna, in conquista di una piena padronanza di sé per non
essere più assoggettata all’uomo, ma anche le critiche mosse al sistema,
alla denuncia della disparità fra i ricchi e i poveri (finché i ricchi
non daranno più che una parte delle loro ricchezze, e finché non
avranno tempo e attenzioni per i bisogni degli infelici, che essi non
parlino di carità. Che essi aprano i loro cuori più che le loro borse),
della condizione infelice dei bimbi abbandonati, dell’inefficienza del
sistema ospedaliero (ogni cosa sembrava funzionare secondo i
comodi dei medici e dei loro allievi, che venivano a fare esperimenti sui
poveri, a beneficio dei ricchi) e delle cattive condizioni in cui
nei manicomi (la Wollstonecraft aveva visitato un manicomio nel febbraio del
17971) versavano gli infelici (Che cosa è mai la visione di
una colonna caduta, di un arco in rovina, della più squisita opera di
cui l’uomo è artefice, in confronto a questo memento vivente della
fragilità, della instabilità della ragione). E
persino il pronunciamento a favore del divorzio, non solo, come contemplato
al suo tempo, in caso di crudeltà fisica o adulterio del marito, ma come
libera scelta (la condizione di sposa è, parlando generalmente,
quella in cui la donna può maggiormente essere utile; ma sono ben lontano
dal credere che le donne, una volta sposate, debbano considerare
indissolubile il legame, specialmente se non vi sono figli a
compensarle del sacrificio dei propri sentimenti, nel caso in cui il marito
non meriti né amore né stima…non si possono porre troppi ostacoli sulla
strada del divorzio, se si vuole mantenere la santità del matrimonio).
Romanzo di denuncia sociale, anticipatore dei grandi romanzi sociali
dell’800, sorprendentemente moderno per il conflitto fra sensibilità
individuale e confronto con la realtà, “L’oppressione della donna” è anche
la testimonianza personale della vita di una donna in grande anticipo sui
tempi, orgogliosa, coraggiosa, ribelle alle convenzioni (M’inculcò, con
gran calore, il rispetto di me stessa, ed una orgogliosa convinzione
d’essere nel giusto, indipendentemente dalla censura, o
dall’applauso, del mondo), bisognosa, come ogni donna, di ogni tempo,
dell’appagamento nell’amore (e ciò è avvalorato dalle varie esperienze
sentimentali), ma anche fermamente convinta di voler essere padrona del
proprio destino, affermandosi in piena libertà ed autonomia.
Era questo il sogno di Mary Wollstonecraft!
La condizione di sposa è, parlando generalmente, quella in cui la donna
può maggiormente essere utile; ma sono ben lontano dal credere che le donne,
una volta sposate, debbano considerare indissolubile il legame (specialmente
se non vi sono figli a compensarle del sacrificio dei propri sentimenti) nel
caso in cui il marito non meriti né amore né stima.
La stima spesso prende il posto dell'amore e impedisce ad una donna di
sentirsi disgraziata, sebbene non possa sentirsi felice. La grandezza di un
sacrificio dovrebbe essere sempre proporzionata al beneficio che se ne vede;
e per una donna vivere con un uomo per il quale non può nutrire ne affetto
ne stima, o sentirsi utile se non quale governante, è una condizione
abbietta, il cui perdurare non può in nessun caso diventare un dovere ne
davanti a Dio ne davanti agli uomini. Se invece ella si adatta a questo per
esser mantenuta nell'ozio non ha diritto a piangere il suo destino; o ad
agire, come invece può fare una donna di carattere più indipendente,
arrogandosi il diritto di infrangere le regole generali. — Ma la disgrazia è che molte donne si sottomettono apparentemente e
rinunciano al rispetto di se stesse per assicurarsi una buona fama nel
mondo. La situazione di una donna separata dal marito è indubbiamente molto
differente da quella di un uomo che ha lasciato sua moglie. Egli s'è
liberato, con signorile contegno, d'una palla al piede; e il fatto che egli
le paghi il vitto ed il vestiario è considerato sufficiente a proteggere la
sua reputazione. E s'ella fosse stata leggera egli verrà lodato per la sua
generosità e capacità di sopportazione. Tale è il rispetto tributato al
passepartout della proprietà!Una donna, al contrario, se si separa da quello
che è considerato il suo naturale protettore (sebbene magari non lo fosse
che di nome) vien disprezzata ed evitata per aver affermato l'indipendenza
spirituale d'un essere razionale e per aver rifiutato la schiavitù. 2
1)Nota in
MaryWollstonecraft, “L’oppressione della donna”, Editrice Lestoille, 1978,
pag. 29.
2) MaryWollstonecraft, “L’oppressione della
donna”, vol. II cap. X.
(Francesca Santucci,
Donna non sol ma torna musa
all'arte, IL FOGLIO,II edizione
novembre 2003)
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