estratto dall’introduzione
Maria Branwell (1783-1821) fu la madre
di Charlotte, Emily e Anne Brontë,
autrici inglesi vissute nel primo
periodo vittoriano e divenute poi
famose nella letteratura mondiale per
aver scritto romanzi come Cime
Tempestose e Jane Eyre. Di
lei e della sua breve vita si conosce
poco o nulla al di là del fatto che,
venuta per caso nello Yorkshire dalla
terra natale di Cornovaglia, Maria
incontrò e sposò nel 1812 un focoso
parroco irlandese di nome Patrick
Brontë dando vita ad una progenie di
geni letterari. La morte precoce della madre delle Brontë (dovuta, come oggi si sa, ad un
cancro alle ovaie), ma soprattutto la
terra ricca di miti e leggende
celtiche da cui ella proveniva hanno
da sempre esercitato su di me un
fascino particolare per cui in qualità
di studiosa dell’opera di Charlotte e
Emily non ho esitato a visitare di
recente, oltre a tutti i luoghi che
fanno parte della loro biografia,
anche la Cornovaglia e soprattutto la
città natale e la casa della loro
madre. Mi si è aperto così un intero
universo di informazioni, curiosità,
dubbi e supposizioni legate alla
personalità per così dire “oscurata”
di questo personaggio importante nella
saga Brontë, inspiegabilmente rimasto
per quasi due secoli dietro le quinte.
L’informazione, le fonti consultate ma
soprattutto la mia immaginazione hanno
prodotto tutto il resto, perché mi è
sembrato giusto reinventare su basi
vere e documentate quelle che poterono
essere la vita, l’allegria e il
carattere superstizioso di Maria
Branwell a partire dai vent’anni sino
alla morte precoce. Partendo
dall’episodio biografico in cui nel
febbraio 1850 Charlotte Brontë fu
invitata dal padre a leggere il
pacchetto di lettere a lui scritte da
Maria durante il periodo del loro
fidanzamento, ho immaginato che la
stessa autrice di Jane Eyre
potesse aver elaborato un ipotetico
diario scritto da sua madre al fine di
ricrearne la personalità, i desideri,
le speranze ma anche i dolori. In esso
Maria sin da giovinetta avrebbe
registrato gli episodi più importanti
della propria vita lasciando così
inconsapevolmente ai posteri,
attraverso la fama letteraria
acquisita poi dalla figlia, una
traccia autobiografica del suo
passaggio terreno. In appendice infine
ho tradotto, per la prima volta in
lingua italiana, il testo completo
delle lettere che sono il centro
propulsore e l’ispirazione dell’intero
romanzo.
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Febbraio 1850.
Charlotte era perplessa e
piacevolmente sorpresa. Per la prima
volta nella sua vita stava per leggere
quelle lettere, riappropriandosi di
qualcosa che le apparteneva e che,
nonostante i suoi trentaquattro anni,
ancora non conosceva.
Aprì con delicatezza il nastrino
azzurro pallido che teneva unito il
pacchetto e si predispose con emozione
alla lettura. In esse avrebbe riconosciuto
finalmente sua madre: il suo modo di
pensare, il suo carattere, la radice
di quello spirito indirettamente suo.
Solo ora suo padre, fidandosi di lei,
le aveva consegnato quel pacchetto di
lettere ingiallite dal tempo. Lettere
segrete, perché di quelle parole
scritte sulla carta tanti anni prima,
le sue sorelle scomparse non avevano
saputo mai nulla. Segrete, perché di
quelle parole scritte sulla carta anni
addietro, nessuno era a conoscenza. Perché solo ora il padre le aveva
concesso di leggerle? La stimava una
scrittrice riconosciuta? La vedeva
troppo sola nella fredda canonica,
dopo la scomparsa delle sorelle?
Charlotte teneva tra le mani quelle
lettere: che tristezza pensare che
solo qualche anno prima tutte e tre
insieme, come sempre all'insaputa del
fratello, avrebbero potuto leggerle e
commentarne i particolari ogni sera,
proprio come facevano con le loro
storie. Avrebbero finalmente
immaginato, resa viva, quella loro
mamma mai conosciuta e tanto
desiderata negli anni della
fanciullezza. Si decise ad aprirle e
ciò che provò non le diede pace: nove
lettere indirizzate a suo padre,
l’uomo che ormai da tanti anni era il
severo reverendo Brontë, parroco di un
remoto paesino dell'Inghilterra del
Nord. Erano lettere d'amore,
appassionate, che apparivano genuine e
persino spiritose, scritte da una
donna intelligente, libera e
perdutamente innamorata. Che
incredibile sorpresa!
Quegli scritti ricoprivano l'arco di
tempo del loro fidanzamento da quando
sua madre, Maria, era partita dalla
lontana Cornovaglia senza fare più
ritorno. Si fermò a pensare al coraggio di
quella giovane donna non ancora
trentenne che aveva abbandonato tutto
per andare incontro all'ignoto. La
forza di stabilirsi e adattarsi a
vivere in un luogo così diverso e
freddo, per amore.
La zia Elizabeth, ad esempio, venuta
ad abitare nel remoto e brumoso
Yorkshire per allevare i sei figli di
Maria rimasti orfani alla sua morte,
non era riuscita a dimenticare il
clima mite e le bellezze del suo Sud e
mai si era conciliata con il gelido
vento di Haworth. Quante storie e
quali particolari mondani aveva
raccontato alle nipoti ripensando agli
anni felici trascorsi a Penzance,
quella piccola realtà così lontana.
Sempre orgogliosa, non faceva a meno
di sottolineare il benessere e la
distinzione sociale di cui lei e la
sorella avevano goduto insieme
all'unico fratello e alle altre due
sorelle prima della morte dei
genitori. Questa sua mamma sconosciuta
appariva a Charlotte spiritosa e
spensierata. Solo a pochi mesi dalla
conoscenza dichiarava apertamente e
senza alcun riserbo di amare il suo
Patrick dal più profondo del cuore,
già sicura di possederne tutto
l'affetto, prendendolo perfino
bonariamente in giro. Non esitava in
alcuni momenti a stuzzicarne la vanità
e l'amor proprio vezzeggiandolo, “Dear
saucy Pat”, rilevando
inconsapevolmente il carattere “impetuoso”
del suo futuro marito. Quel tratto del
carattere che lei, sua figlia, non
vedeva né sapeva immaginare, avendolo
conosciuto da sempre come vedovo
serio, burbero e dal contegno
altamente rispettabile. Le sembrò di
leggere la seducente storia di due
amanti, già pronta tra le sue mani, e
fu allora che la potente immaginazione
di Charlotte Brontë, già autrice di
Jane Eyre, iniziò il processo di
creazione di un nuovo personaggio.
Questa volta, la protagonista della
storia sarebbe stata sua madre, Maria
Branwell, morta da più di trent'anni,
tornata a rivivere per lei attraverso
quelle parole così vivide, ancora
impresse sui pochi fogli consumati dal
tempo.
Lei, la sua unica figlia
sopravvissuta, avrebbe scritto per
Maria un resoconto annuale ricreando
la giovane donna di allora con
speranze e aspettative sconosciute a
tutti e inghiottite per sempre dalla
voracità del tempo.
"Mai più nell'oscurità", recensione di
Francesca Santucci
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