La marchesa Luisa Casati
(1881- 1957)
(Francesca Santucci, "Donne
protagoniste",
IL FOGLIO, maggio 2004, estratto)
Giovanni Boldini,
La Marchesa Luisa Casati con un levriero (1910)
Definita da Filippo Tommaso Marinetti La più grande
futurista del mondo, da
Jean Cocteau Il bel serpente del paradiso terrestre,
fu nel 1904, a Milano, che Luisa Amman, giovane della buona borghesia
milanese, nata nel 1881 in una famiglia di origini austriache, andata in
sposa giovanissima al marchese Camillo Casati, conobbe Gabriele
D’Annunzio, che di lei disse: È la sola donna che mi
abbia mai sbalordito, e con lui partecipò spesso a battute di
caccia.
Luisa allora aveva venticinque anni; era alta, con grandi occhi verdi, dal
fascino vagamente androgino, " femme fatal", come si diceva all'epoca,
decisamente bella, anche se, in nome dell'eccessivo che contraddistinse
l'intera sua esistenza, amava occultare la bellezza del viso sotto un
trucco esagerato che la faceva assomigliare ad un'icona di Moreau.
Era colta; frequentò i maggiori artisti europei degli
anni Venti e Trenta, oltre a D'Annunzio, Cocteau, Marinetti, Kerouac, Man Ray,
Cecil Beaton, dei quali fu musa ispiratrice, mecenate, amica, talvolta anche
amante.
Era raffinata, trasgressiva, stravagante; collezionava animali esotici
(pappagalli, pitoni, ghepardi), da esibire quando andava a passeggio.
Originale ed eccentrica nell’abbigliamento, amava vestirsi di nero (colore
che, come tramandato dal bellissimo ritratto che le fece Giovanni Boldini,
il pittore che trionfava nei salotti parigini con i suoi quadri di sensuale
bellezza femminile, esaltava il pallore del suo incarnato), adornarsi di
piume di struzzo, indossare lunghi fili di perle e pitoni veri e far
indossare collari tempestati di diamanti ai leopardi con i quali soleva
andare in giro.
Luisa non divenne subito l'amante di Gabriele (O Coré, inafferrabile come
un’ombra dell’Ade e desiderabile come “il frutto coronato”, tu sai che il
mio studio di te assiduo dura dal tempo delle cacce lombarde, quando il
Ticino improvvisamente apparito dinanzi ai galoppi sembrava ti avvolgesse
come una sciarpa azzurrina a te offerta dalla brughiera color di bronzo mal
dorato. E il mio studio ha il senso latino. Ardere studio dicevano i Latini
per ardere di attenzione e di brama.), ma solo molto tempo dopo, però
restò sempre legata a lui, almeno epistolarmente, anche dopo che
ebbero termine i loro
incontri d'amore al Vittoriale, come si desume da un documento inedito
emerso dalle innumerevoli carte dannunziane del Fondo Gentili, una lettera a
lei indirizzata, datata 27 marzo 1930, quando il poeta era prossimo ai
settant'anni
anni, indizio sicuro di un loro costante carteggio epistolare:
...Ora, letèa Coré, da alcuni giorni tu abiti divinamente la mia
immaginazione. Avendo ripreso nelle mani La figura di cera, per sempre più
acuto amore di artista, sento di continuo la tua presenza nella mia
malinconia. Ti vedo, ti interpreto, forse ti cerco...(27 marzo, 1930)
Luisa, da grande protagonista, era impegnata a rendere la sua vita
un’opera d’arte vivente, e questa sua padronanza della scena un po’
intimidiva il Vate che vedeva, così, offuscato il suo prestigio, salvo poi
ad imporsi, anni dopo, forte della gloria derivatagli con la guerra.
Fu solo allora che il poeta-soldato, non l’uomo Gabriele, riuscì a
conquistare la sfuggente donna, da lui prontamente ribattezzata Coré,
come la divinità degli Inferi rapita da Plutone (Ti giuro, stigia
Coré, che scrivo la verità semplice. Iersera la tua presenza divenne
implacabile, …Eri tu, averna Coré,...Ora, letèa Coré, da
alcuni giorni tu abiti divinamente la mia immaginazione).
Il loro rapporto, pur tuttavia discreto, durò circa dieci anni e si snodò tra
Firenze, Venezia e Parigi.
Il poeta la immortalò in Notes pur la figure de cire, nel suo "Libro
segreto".
Luisa morì nel 1957, in rovina economica e finanziaria, dopo aver dissipato
tutte le sue sostanze in folli spese e feste sfarzose (memorabile al tempo
fu quella data in Piazza San Marco, da lei presa in affitto per
l'occasione), riuscendo ad essere, però, esattamente ciò che aveva sempre
desiderato: un mito che, evidentemente ancora è sopravvissuto ai giorni
nostri se nel 1998 lo stilista francese Christian Dior
le ha dedicato una sfilata e scrittori e giornalisti, ancora oggi,
continuano ad indagare sulla sua inquietante, ambigua ed affascinante
personalità.
Francesca
Santucci
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http://www.marchesacasati.com
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