Ben poteva la pittura, quando questo
nobile artefice morì, morire anche ella che quando egli gli occhi chiuse, ella
quasi cieca rimase…
( Vasari, Le Vite)
Francesca
Santucci
La Madonna del
Granduca
di Raffaello Sanzio
La rappresentazione della Vergine insieme al Bambino arrivò in Occidente
attraverso l’iconografia bizantina ma, secondo la tradizione, la
rappresentazione classica voleva la Madonna in posizione frontale orientale, con
il Bambin Gesù benedicente; successivamente venne abbandonato questo tipo di
raffigurazione, che lasciò spazio ad una posizione più intima dei sacri
personaggi, con la Madre che allattava o stringeva o fissava in preghiera il Figlio, oppure
entrambi in trono, o insieme intenti ad una lettura.
Furono proprio le Madonne il tema prediletto da Raffaello, punta massima del
classicismo cinquecentesco, colui che più di ogni altro riuscì ad equilibrare
estetica e morale, trascendenza e realtà, fissando dei tipi che ebbero un tale
successo da tramandarsi fino a tutto l’Ottocento.
Sul tema, interpretato appunto nella nuova visione più intimistica, con opere
incantevoli, eseguite soprattutto durante il lungo soggiorno a Firenze,
Raffaello ci ha lasciato numerose variazioni, per le quali ancora oggi è
giustamente famoso, creazioni che sono tra le più belle dell’arte
rinascimentale, ultima testimonianza dell’elegante tradizione fiorentina
quattrocentesca che interpretò il tema della sacra maternità in modo
naturalistico ed umano, forte della concezione che il divino trascenda anche
nell’umano, sostituendo tale interpretazione a quella che la voleva statica e
ieratica.
Non si può, infatti, non restare colpiti dalla dolcezza dei volti delle Madonne
raffaellesche, dal loro lirismo, dai tratti delicati, con espressioni lievemente
malinconiche, con le palpebre abbassate come perse in un ricordo o smarrite in
una fantasticheria, che guardano teneramente verso terra, o hanno espressioni
sognanti o assorte, o i loro occhi sono intenti a fissare il Bambino che tengono
tra le braccia, oppure un vago sorriso illumina le loro labbra, ma è un sorriso
che però non le avvolge di mistero, come nelle figure leonardesche, isolandone
l’immagine, bensì rendendole più umane, più madri, e avvicinandola, così,
allo spettatore.
E le Madonne più belle di Raffaello sono proprio quelle in cui più sentito è il
motivo d’amore, come nel dipinto La Madonna del Granduca,
considerata dalla critica il prototipo della Madonna raffaellesca.
Il nome di quest’olio su tela è dovuto al granduca di Toscana Ferdinando III,
che, dopo aver acquistato l’opera, nel 1799 per la sua camera da letto, non se
ne separava mai, impedendone la visione ai numerosi copisti che ne facevano
richiesta.
La figura della Vergine in piedi, a tre quarti, che tiene tra le
braccia il Bambino dallo sguardo rivolto verso lo spettatore (a Raffaello derivò
dalla scultura gotica la rappresentazione della Vergine in piedi col figlio tra
le braccia), in movimento opposto che bilancia la composizione, in un moto
elicoidale che lascia presupporre che in origine l’opera doveva essere stata
concepita per una tavola tonda, o che, comunque, prevedeva un’inquadratura
all’interno di un cerchio, rappresentata, con un taglio piuttosto basso che ne
accentua la monumentalità, in evidente studio dello sfumato, è posta da
Raffaello su uno sfondo scuro (ma, secondo i risultati di un’indagine
radiografica, che, tra l’altro, ha permesso di postdatare l’opera, dal 1504
al 1506, dietro le figure in origine doveva esserci una finestra che si apriva
su un paesaggio), dal quale emerge gradualmente, racchiusa nel volume del manto,
il delicato modellato della figura, con una soluzione unica in quel tempo, che
maggiormente l’esalta pur nella semplicità strutturale.
Il quadro, che colpisce soprattutto per gli occhi abbassati, in atteggiamento di
grazia e modestia, del volto della Madonna, idealizzato, eppure profondamente
terreno, la cui immagine dolcissima è anche un poco mesta, come presaga del
destino di sofferenza che attende il Bambino e che colpirà lei nell’affetto
più grande, quello di madre, riduce all’essenziale il rapporto fra i due
personaggi, effigiati nell’atto di un abbraccio eterno che sancisce il loro
legame, umano e spirituale nel contempo. Perciò si qualifica d’intensa
bellezza, che rende ben chiaro ancora oggi come la pittura di Raffaello sia
stato da subito considerata formalmente perfetta, elegante, raffinata, eppure
disinvolta e naturale, priva di artificiosità, a tal punto da essere stata
comprensibile a tutti e apprezzata da persone di qualsiasi livello sociale.
|