Lo
scrittore inglese Thomas Hardy
(1840-1928) è considerato nel Regno
Unito uno dei grandi romanzieri della
letteratura inglese tardo-vittoriana,
in un certo senso paragonabile per
importanza ad un nostro Manzoni o un
Verga. Giunto alla veneranda età di
ottantotto anni e vissuto a cavallo di
due secoli, lasciò una produzione
ricchissima sia in prosa che in versi
e anche se lui stesso avrebbe
desiderato essere ricordato solo come
un poeta, sono i romanzi come Tess
dei D’Urbervilles e Via dalla
pazza folla, o il tanto contestato
Giuda l’Oscuro, tutti
ambientati nel nativo Dorset e in cui
la natura è protagonista assoluta, ad
averne stabilito la fama universale e
imperitura. In quanto grande appassionata
dell’opera di Thomas Hardy, mi sono
recata nell’agosto 2017 nei luoghi in
cui l’autore trascorse la maggior
parte della sua vita, e quindi a
Dorchester, la cittadina nel sud
d’Inghilterra che nei vari pubs e per
strada ricorda con orgoglio il suo
‘campione letterario’, avendogli
dedicato una statua in pietra che lo
riproduce in età senile. Una volta lì
è possibile individuare alcune
importanti tappe per effettuare un
‘tour hardyano’, visitando così i
luoghi preposti alla memoria
dell’autore: 1) il Dorset County
Museum 2) la ricca dimora denominata
Max Gate alla periferia della città 3)
il cottage natale di Hardy sito in
piena campagna a una decina di
chilometri di distanza da Dorchester e
raggiungibile solo in auto o
improbabilmente a piedi. Il Dorset County Museum, il
cui scopo principale è la custodia del
cospicuo retaggio storico e culturale
della contea inglese del Dorset,
annovera reperti di storia naturale e
fossili provenienti dalla vicina
Jurassic Coast oltre a ritrovamenti
archeologici relativi alle invasioni
romane, sassoni e vichinghe. Si può
ben dire che il Dorset County Museum
racchiuda fra le sue mura duecento
milioni di anni di storia esibendo fra
gli altri fossili soprattutto il
Pliosauro ritrovato nella vicina baia
di Weymouth e la cui mandibola misura
ben 2,4 metri! E’ stata però la galleria
dedicata alla letteratura a suscitare
in me il maggiore interesse perché lì
ho avuto modo di vedere e fotografare
senza alcun veto i diversi oggetti
personali appartenuti a Thomas Hardy,
fra cui il suo orologio, la borraccia,
il portapillole e le penne ma
soprattutto alcuni manoscritti dei
romanzi più famosi oltre a lettere,
biglietti e addirittura appunti con
note musicali scritti di suo pugno. Al
centro della sala la sagoma dello
scrittore a grandezza naturale e la
riproduzione gigantesca di una delle
illustrazioni per il suo romanzo Il
sindaco di Casterbridge, (quello
più descrittivo della città di
Dorchester e che la riproduce nei
minimi particolari) riuscivano a
renderne viva addirittura la presenza.
In un’altra zona della stessa ala del
museo dedicata agli scrittori del
Dorset ma soprattutto a Thomas Hardy,
ecco apparire quella che è
l’attrazione del museo stesso: lo
studio principale dell’autore,
trasportato lì nella sua interezza
dalla sua casa alla periferia della
città e ricostruito sin nei minimi
particolari. I suoi libri sugli
scaffali, il piccolo violoncello
posato verticalmente accanto al
camino, la grande lente
d’ingrandimento e gli altri oggetti
preposti alla scrittura sulla sua
scrivania, un vestito indossato dalla
moglie in mostra al centro della
stanza, restituiscono alla perfezione
l’immagine di un uomo del secolo
scorso dedito prevalentemente ad una
vita di studio e di meditazione. Un momento di grande emozione
per me che con questo viaggio a Dorchester avevo appena iniziato a
seguire le tracce lasciate dal mio
autore.
Maddalena
De Leo
(II)
MAX
GATE: UNA RICCHEZZA DA SOGNO
(2)
Thomas Hardy fu un ‘self-made man’.
Nato
da un’umile famiglia di muratori e
carpentieri del Dorset, imparò presto
che nella vita bisogna lottare per
ottenere ciò che si vuole e che non
tutti i sogni diventano realtà.
Applicandosi sui libri con lodevole
impegno divenne architetto trovando il
modo di dedicarsi con accanimento
anche allo studio del latino e del
greco ma rimpianse sempre il mancato
percorso accademico e la laurea che, a
causa dei limitati mezzi economici,
non potè mai conseguire. Tale
rimpianto affiora spesso nelle pagine
dei suoi romanzi ma soprattutto in
quello che è il più famoso e
controverso di tutti, Giuda
l’Oscuro. Una
volta divenuto ricco e famoso grazie
all’immenso successo dei suoi primi
scritti, l’obiettivo primario di Hardy
fu quello di progettare una casa
grande, comoda e imponente ove poter
vivere stabilmente con la moglie
scrivendo e ospitando i tanti
letterati del tempo con i quali, a
dispetto delle proprie umili origini e
del pregiudizio sociale vittoriano,
era riuscito a stabilire solidi
rapporti di amicizia. Max
Gate, maestosa villa a tre piani di
color marrone scuro sorge in quella
che ancor oggi è l’estrema periferia
di Dorchester ed è circondata da un
rigoglioso giardino prospiciente
l’autostrada. E’ proprietà del
National Trust in quanto Thomas Hardy
morì senza eredi ma chi la visita
riesce a comprendere subito non
soltanto la ricchezza a cui lo
scrittore era pervenuto, forte solo
del proprio intelletto, ma anche il
senso della proprietà che sempre egli
provò per quella dimora desiderata da
sempre. Lo
scrittore visse a Max Gate a partire
dal 1885, anno in cui la casa fu
costruita dal fratello, abitandovi
ininterrottamente sino alla sua morte,
dapprima insieme alla prima moglie
Emma Gifford sino al 1912 e poi sino
al 1928 con la seconda giovane
consorte che però non la considerò mai
come sua fissa dimora. La
casa invece, con le sue stanze piene
di suppellettili, quadri e mobili
raffinati, è meravigliosa e durante la
mia visita ha avuto il potere di
riportarmi mentalmente al tardo
periodo vittoriano e a quello
edoardiano di inizio novecento,
allorquando nella sontuosa sala da
pranzo adiacente all’ingresso gli
invitati d’eccezione dell’anziano
padrone di casa quali Virginia Woolf,
Lawrence d’Arabia e non ultimo nel
1923 il principe di Galles, futuro re
Edoardo VIII, si trattenevano a cena
chiacchierando amabilmente di
letteratura. Nella
sala attigua, ove ci si recava di
solito ad ascoltare Emma che suonava
il piano, sedendomi su una delle
eleganti poltrone variopinte mi sono
sentita anch’io un’invitata e,
indossando uno dei cappelli della
padrona di casa di allora, ho
immaginato retrospettivamente di
trovarmi lì per gustare un tè in
compagnia degli Hardy e dei loro
illustri amici letterati. Al
primo piano, immaginando che fosse
Emma a farmi fare il giro della sua
stupenda casa, ho scoperto i vari
‘studi’ in cui suo marito scrisse i
romanzi più famosi e addirittura una
moderna stanza da bagno con vasca,
lusso raro a inizio Novecento
riservato solo alle famiglie più
abbienti. Nel verde giardino ho poi
avuto modo di vedere il ‘cimitero dei
cani’, la zona in cui Hardy e la
moglie avevano seppellito i loro amati
animali erigendo delle lapidi che li
ricordassero e fra esse quella di
Wessex, il cane lupo che l’autore amò
più di tutti gli altri. Al
termine della mia visita, abbagliata
da tanta ricchezza, non ho potuto non
pensare alle umili origini di Thomas
Hardy e al sogno che, almeno in questo
caso, lo scrittore riuscì a
realizzare.
Maddalena
De Leo
NATURA E ISPIRAZIONE:
Il cottage natale di Thomas Hardy
(3)
L’ultima tappa del mio breve soggiorno
a Dorchester prevedeva la visita al
‘cottage’ natale del famoso scrittore
Thomas Hardy, sito nel cuore della
campagna del Dorset e proprio
antistante la vasta brughiera
meticolosamente da lui descritta in
molti suoi romanzi. Per raggiungere il
‘birthplace’ solo un taxi o i piedi e,
presupposto assolutamente necessario,
una rara giornata soleggiata che
consentisse di camminare all’asciutto
e vedere la natura nel suo splendore. Lo
spazioso e caratteristico ‘cottage’
con il tetto di paglia pressata ove
Hardy nacque e visse sino ai vent’anni
apparteneva alla sua umile famiglia da
due generazioni. Il padre e ancor
prima il nonno, abili costruttori
edili, l’avevano costruito nella zona
campestre di Higher Bockampton, non
molto lontano dalla città di
Dorchester, ove il giovane Thomas si
recava a piedi non senza fatica ogni
giorno per frequentare la scuola. Fu
in quella rustica casa paterna che lo
scrittore ebbe modo di ascoltare per
anni gli aneddoti e le tradizioni
popolari del Dorset narrate di sera
accanto al fuoco dalla nonna e da sua
madre; fu in quel cottage che il
padre, suo nonno e lui stesso si
dilettarono per anni a comporre e
suonare musica allegra al violino, le
cosiddette ‘country dances’, che
allietavano sempre i balli e le
riunioni contadine in occasione delle
più importanti feste religiose
dell’anno. Una
volta che con gran fatica si sia
giunti lì, la visita dell’interno del
cottage è un obbligo piacevolissimo
perché solo entrando in quelle
minuscole stanze rustiche e così ben
preservate dal National Trust
britannico si ha l’esatta percezione
di quella che doveva essere la vita
rurale nella seconda metà
dell’Ottocento nei luoghi in cui la
rivoluzione industriale stentava ad
arrivare. Al piano terra la stanza
d’intrattenimento con il camino offre
in bella vista i violini originali
della famiglia Hardy (di cui uno in
ebano) e le tante suppellettili di cui
si faceva uso quotidiano. E’ in questa
stanza che in alcuni momenti
dell’anno, in particolare a Natale,
Tim Laylock, studioso e cantore della
musica di Hardy, si esibisce negli
ultimi anni con il violino e la
fisarmonica eseguendo e commentando
dal vivo le ‘country dances’ più
famose e amate dallo scrittore
ricreandone con efficacia l’atmosfera
campestre. Al
secondo piano le camere da letto della
famiglia e, in particolare, quella del
giovane Thomas che proprio nell’angolo
prospiciente la finestra,
probabilmente riflettendo su quella
natura incontaminata da essa visibile,
scrisse due fra i primi popolari
romanzi, Under the Greenwood Tree
(in italiano tradotto con il
titolo ‘Sotto l’albero’) e il ben
conosciuto suo capolavoro Via dalla
pazza folla, ambedue ancora
improntati a una visione ottimistica
della vita. Per me, seduta sulla sedia
e nel luogo d’ispirazione di queste
due opere, un momento indimenticabile
e l’apoteosi del mio viaggio estivo
2017.
Maddalena De Leo
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