L’INGRATITUDE
IN TRADUZIONE ITALIANA
La favola che
segue è il primo dei componimenti in lingua
francese scritti da Charlotte Brontë durante
il primo anno trascorso a Bruxelles in
qualità di allieva del Pensionato Héger con
la sorella Emily. Il manoscritto, ritrovato
casualmente a fine febbraio 2012 dal
bibliografo Brian Bracken nel Musée Royal de
Mariemont, fu scritto da Charlotte Brontë a
distanza di un mese dall’arrivo in Belgio
come compito assegnato dal professor
Constantin Héger che ne curava
l’apprendimento della lingua francese. E’
datato 16 marzo 1842 e si ispira alle favole
di La Fontaine e J.P. Florian. Contiene
naturalmente numerosi errori grammaticali e
ortografici malgrado si avverta una
conoscenza superficiale della lingua da
parte dell’allieva.
La mia
traduzione in lingua italiana vuole essere
di compendio a quella effettuata in inglese
dalla studiosa Sue Lonoff. Essa, insieme
all’originario testo in francese, è stata
pubblicata on-line dal sito web della London
Review of Books non appena si è diffusa la
notizia della scoperta di un nuovo
manoscritto giovanile di Charlotte Brontë.
Maddalena De Leo
L’INGRATITUDINE
Un ratto,
stanco di vivere nelle città (dal momento
che si era dato da fare in passato in
palazzi reali e nei saloni di grandi
signori), un ratto che l’esperienza aveva
reso saggio, in breve, un ratto che da
cortigiano era divenuto filosofo, si era
ritirato nella sua dimora di campagna (un
buco scavato nel tronco di un grande olmo),
ove viveva da eremita impiegando tutto il
proprio tempo e le cure per istruire l’unico
suo figlio.
Il giovane
ratto, non avendo ancora ricevuto quelle
lezioni severe ma salutari che vengono
impartite dall’esperienza, era alquanto
distratto; gli avveduti consigli del padre
gli apparivano noiosi; l’ombra e la
tranquillità del bosco, anziché calmargli lo
spirito, riuscivano solo a stancarlo. Con
impazienza cominciò a desiderare di
viaggiare per vedere il mondo.
Un bel
giorno, alzatosi di buon’ora, dopo essersi
preparato un fagotto con del formaggio e del
grano, senza far parola a nessuno, l’ingrato
abbandonò il padre e la casa paterna
avviandosi verso luoghi sconosciuti.
Inizialmente
tutto gli sembrava magnifico; i fiori
avevano una freschezza e gli alberi erano di
un verde che mai aveva visto nel luogo
natale – e vide anche tante altre
meraviglie: un animale dalla coda più grande
del proprio corpo (si trattava di uno
scoiattolo), una bestiolina che portava la
propria casa sulla schiena (era una lumaca).
Dopo parecchie ore raggiunse una fattoria e,
attratto dal profumo del cibo cucinato,
entrò nel cortile – lì vide un uccello
gigantesco che emetteva un verso terribile
mentre camminava tronfio e altero. Si
trattava di un tacchino ma il nostro ratto
lo prese per un mostro e, spaventato dal suo
aspetto, scappò all’istante.
Verso sera
entrò nel bosco ove, sfinito, sedette ai
piedi di un albero, aprì il suo fagotto,
cenò e si addormentò.
Svegliato dal
canto dell’allodola, sentì di avere le
membra intirizzite dal freddo e intorpidite
dal duro giaciglio; pensando allora al
padre, l’ingrato ricordò le cure e la
tenerezza del buon vecchio ratto, formulò
vaghi propositi per il futuro ma ormai era
troppo tardi, il freddo gli aveva congelato
il sangue. L’Esperienza fu per lui padrona
severa, non gli diede altro che una lezione
e una punizione, era sopraggiunta la morte.
L’indomani un
taglialegna ne trovò la carcassa, la
considerò repellente e la calpestò senza
immaginare che si trattava di un figlio
ingrato nei confronti di un padre premuroso.
Charlotte Brontë – 16 Marzo 1842
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