da
Scripta
selecta
(pp.
78-80)
Per
tornare, ora, al contesto
omerico, ed in particolare
alla teoria di Parry –
successivamente ripresa da
Albert Bates Lord – c'è da
dire che il suo punto debole
si individua soprattutto nella
tendenza a dilatare le, sia
pur ampie, corrispondenze di
struttura esistenti tra la
poesia dei bardi serbi e
l'epica omerica, così da
concludere che le tecniche, i
meccanismi di composizione
dovettero essere perfettamente
identici: e ciò
presupponendo, in entrambi i
casi, un'assoluta e totale
improvvisazione (23).
Senza dubbio, le deduzioni di
Parry e dei suoi seguaci si
fondano sul presupposto
comparativistico, teorizzato
già da Tucidide nel V secolo
a. C., secondo il quale le
aree arretrate tendono a
conservare «fossili»
indicativi di una realtà
cronologicamente assai remota
e, a suo tempo, generalizzata:
e tuttavia un tale criterio,
che comunque non ha validità
universale, qui, oltre tutto,
non riesce a risolvere il
problema del legame tra
l'epica omerica e la sommersa
realtà dei regni micenei: è
assai improbabile, infatti,
che un guslari
slavo potesse serbare
un'altrettale eco di una tanto
grande civiltà scomparsa! E
se è vero, poi, che quello
dell'oralità è sì un
fenomeno comune a molti tipi
di società «passata e
presente, illetterata o
letterata, la cui cultura
conosca o non conosca la
diffusione del libro come
principale strumento di
comunicazione, nei più
diversi contesti economici,
siano essi industriali o in
via di sviluppo» (24),
è per altro vero che la
diversità di condizioni nelle
singole realtà geografiche e
temporali non autorizza «formulazioni
troppo rigide e restrittive,
che, generalizzando, finiscono
con l'assumere a rango di
definizione universale
dell'oralità i caratteri
storici di una determinata
cultura orale» (25). Per tutte queste ragioni,
dunque, la «Parry-Lord theory»
è stata rivista da parecchi
studiosi, in particolare da
Murray – che ha sostenuto il
prevalere della «tradizione»
sull'«originalità» del
canto omerico, introducendo il
concetto di «libro
tradizionale» (26)
– ed è stata messa a punto
soprattutto da Havelock, che
è riuscito a cogliere il
fenomeno omerico nella sua
dimensione enciclopedica ed
ecumenica, illustrando come il
cantore, attraverso il
continuo riciclaggio delle
vicende mitico-eroiche,
trasmetta al suo pubblico
tutto il sapere giuridico,
religioso, scientifico e
tecnico del tempo (27).
In altri termini, benché
l'epica omerica non sia
esplicitamente parenetica e
tenda invece a svolgere una
narrazione di fatto
imparziale, ciò non ostante
«il paradigma della pratica
ritenuta giusta o del sentire
considerato appropriato viene
proposto di continuo, in
contrasto con quanto può
essere insolito, o
sconveniente ed eccessivo, o
imprudente» (28):
ou
kata kosmon, per
intenderci! La poesia aedica,
insomma, proponendosi di
esprimere valori universali,
diviene effettivamente il
veicolo dei contenuti
essenziali della cultura greca
arcaica, che guarda al mondo
miceneo come a un mondo eroico
e magnifico. Ciò si spiega
bene con il fatto che anche la
società ellenica – come
ogni altra civiltà, del resto
– tende a mantenere e a
rafforzare la propria identità
grazie al permanere dei propri
usi e costumi, e ciò nella
radicata convinzione che una
coscienza sociale formatasi
come consenso è, per così
dire, «immagazzinata per
poter essere riutilizzata. Le
società a cultura scritta per
ottenere questo scopo
ricorrono alla documentazione;
le società preletterarie (a
cultura orale) ottengono lo
stesso risultato tramite la
composizione di poemi
narrativi che fungono anche da
enciclopedia del
comportamento. Essi esistono e
sono trasmessi tramite un
processo di memorizzazione, ed
essendo recitati di continuo
costituiscono una esposizione
– e una riconferma – delle
tradizioni comuni, ed anche
una esortazione ad attenervisi»
(29).
In particolare, nel contesto
della grecità arcaica tale
ruolo è svolto dall'epica
omerica, che non è altro che
il riflesso parziale di
quell'immane corpus poetico
– di cui fa parte l'intero Ciclo
epico – sistemato,
probabilmente a più riprese,
in tutta una serie di poemi
– Ciprie,
Etiopide, Ritorni, Edipodia,
etc. – più brevi rispetto
alla monumentalità
caratteristica di quelli
omerici (30):
i quali ultimi, per altro,
restano creazione tipica della
fase orale/aurale della grecità,
dove la composizione, la
trasmissione e la
pubblicazione del
"testo" sono
integralmente orali. Una fase
non alfabetizzata (da Omero
fino all'introduzione
dell'alfabeto fenicio), cui
fanno seguito una seconda
fase, alfabetizzata, senza per
altro che il mezzo scrittorio
diventi il protagonista unico
(e neanche il principale)
della comunicazione
(approssimativamente dall'VIII
al V-IV secolo), ed infine una
terza, in cui la parola
scritta assurge a sempre
maggiore importanza (l'età
ellenistica) (31).
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