Letizia Lanza
POESIE SOFFOCATE
Silloge poetica
Perché quelle parole?Io
sono convinta che nella scelta sta la spiegazione
di tutto. Che cosa conservare? In questo “che cosa”
sta il perché.
(Perché scrivo, Lalla
Romano)
Abituati alle disquisizioni di largo respiro di
Letizia Lanza, dotta studiosa di civiltà
antiche, da anni impegnata nell’indagine di
filologia storico- femminile, ove dispiegare il
pensiero in discettazioni varie, fra tesi,
antitesi e sintesi, si resta inizialmente
disorientati alla lettura delle sue composizioni
poetiche, perché trattasi, appunto, di una sua
insolita modalità di comunicazione ("balbettii
poetici" li definisce, a torto), che, però, ora ha
deciso di far conoscere, anche se solo a pochi (la
sua silloge è, infatti, pubblicata in numero
limitato di esemplari, e ciò dispiace perché ben
più vasto pubblico meriterebbe). E non stupisca se, dopo aver lungamente
indagato sulle donne dell’antichità, e pubblicato
importanti lavori sul tema, ma, in generale,
sull’antico e suoi riflessi/influssi sul moderno,
dopo un significativo percorso di vita e
interiore, Letizia Lanza, abbia ora sentito
l’esigenza di rivolgere l’attenzione verso se
stessa, concentrandosi nell’atto poetico. “Poesie soffocate”: così recita il titolo della
silloge, articolata, come sempre nelle sue
indagini, amando ricercare nel presente le tracce
del passato (è solita dire che “il presente ha
un cuore antico”) in due momenti temporali: “Martyrion”,
le poesie di oggi, “Prequel”, le poesie di ieri.
Generate da momenti di autentico dolore,
appartengono al presente composizioni fulminee,
lapidarie, come “Never more”, “Dies irae”,
“Afasia”; al momento passato composizioni
altrettanto misurate, come ”Sole”, “Gioia”,
“Filles de joie”. Avendo un’educazione letteraria classica,
approfondita, vivace, raffinata, il suo atto
poetico si configura disciplinato, complesso ed
elaborato, anche nel linguaggio ricercato, in cui
ama con/fondere diversi idiomi (greco, latino,
francese, inglese) ma, pur nell’acquisita
maturità, non si rileva un grande scarto fra le
composizioni di oggi e quelli di ieri, i versi
sono comunque organizzati in periodi brevissimi,
perfettamente conchiusi in se stessi, come se il
pudore dei propri sentimenti volesse in qualche
modo frenare l’espressione delle più intime
emozioni, non concedendo ampi spazi, perciò le
parole sono poche e preziose, sono parole
scavate, scarne, sono spasimi, grumi di dolore,
perché è il dolore che sottintende la sua poesia,
perché è sempre il vario dolore a generare la
poesia; e dove mai sarebbe possibile trovare
conforto agli affanni se non nel verso che lenisce
e che consola? La Poesia, essa
sola, è il naturale approdo dell’anima dolente,
come per il marinaio che, dopo aver attraversato
mille tempeste in mare, dopo essere stato
squassato da mille bufere, forte sente il bisogno
di riapprodare alla sua terra; similmente, dopo
aver lungamente ed in profondità esplorato gli
altrui tormenti, dilatandosi nelle esistenze delle
vite delle mitiche figure femminili dell’antichità
(Penelope, Elena, Medea, Semiramide, Cleopatra),
prepotente Letizia Lanza ha avvertito l’urgenza
di sondare ulteriormente un cuore di donna
(stavolta il suo), ritornando a sé, concentrandosi
nel luogo suo più intimo, se stessa, consegnandosi
alla parola scritta, concedendo alla lettura di
pochi, a noi, suoi estimatori ed amici, versi che
mai indulgono al sentimentalismo, ma pure lasciano
trapelare squarci della sua anima, versi
essenziali, perché quando autentico e smisurato è
l’affanno che lo genera il dolore non si urla, ma
si tace, oppure lo si affida, asciutto, a pochi e
con poche parole.
Sono nate, così, queste poesie, poesie soffocate
perché lungamente il palpito poetico è rimasto
costretto negli angusti spazi dell’interiorità.
(da “Martyrion)
NEVER MORE
Non più
ludominitanti
frecce dorate
-gioia di luce-
appuntate oramai
a breve ricamo
di esistenza.
Inaridio nihilo
Di rigagnolo-
E di fiume immenso.
DIES IRAE
Sbalestrata mente
ondivaga
per echi di
lontananza.
Giovinezza di roseo
velluto,
spessa coltre
di affetti,
scintillio pulchro.
Infanda, inabissante
perdita.
AFASIA
Crepitanti singhiozzi
in solitudine
bruma.
Sillabe di vuoto,
incerto in auscultabile
bar-bar
del cuore.
(da “Prequel”)
SOLE
E torna la verde illusione
a figgere l’anima
di sole:
malfido addio
al lugubre
buio?
GIOIA
Sembra quasi un sorriso
questo giorno
che ormai cede alla sera
e il sole scende
alla montagna bruna
e il cuore ride
immerso in questa luce
per un momento breve.
come l’occaso.
FILLES DE JOIE
(Da Marosia)
Donne
sulla strada-
fiori stanchi
gualciti.
Frantumo di vita.
Intatta purezza.
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