LetiziaLanza

 

 

 

 

 

 

da Ritorno ad Omero

(pp. 49-51)

 

Con ogni probabilità, i primi ad essere trascritti alfabeticamente furono proprio i versi omerici (130) (quali? quanti?), nei cui confronti, come si è visto, i greci d'età arcaica erano totalmente «dipendenti» (131). E con ogni probabilità l'esistenza stessa della scrittura può aver influenzato la composizione di alcuni brani epici, mentre è assai improbabile che essa sia stata utilizzata «in fase molto antica per la fissazione, nella loro interezza, di poemi della portata di un'Iliade o di un'Odissea» (132), che certamente inglobano una grossa parte del patrimonio epico diffuso nell'VIII secolo, del quale per altro non conosciamo con sicurezza l'estensione (133). Ma anche ammettendo in via d'ipotesi che i due poemi siano stati trascritti subito integralmente, e nella redazione in cui ci sono pervenuti, «quale fu il materiale scrittorio adoperato per la trascrizione? Non certo il papiro che non era ancora d'uso comune nella Grecia di quel tempo, ma che lo divenne, com'è noto, soltanto nell'ultimo quarto del VII secolo, quando l'Egitto ne favorì l'esportazione verso i mercati stranieri. Erodoto (5, 58) narra che, quando fu introdotto presso i Greci l'alfabeto fenicio, il materiale scrittorio disponibile non era il papiro, difficile da reperire, ma le pelli di capra e di pecora. Ora, è possibile ammettere che i 24 libri dell'Iliade e i 24 libri dell'Odissea fossero fissati per iscritto su pelli, in un'epoca in cui la tecnologia della scrittura non consentiva ancora trascrizioni su larga scala?» (134). Un'epoca, cioè, che dovette richiedere inevitabilmente un periodo di sperimentazione, di natura non precisata e di durata incerta, al fine di risolvere l'imperizia scrittoria che è certo rivelata dalle più antiche epigrafi reperite, una dozzina in tutto, distribuite dall'estremità orientale a quella occidentale dell'area mediterranea (Atene, Beozia, Egina, Argolide, Rodi, Gordion, Itaca, Cuma, Eretria – oltre al già ricordato graffito di Pitecusa) e che costituiscono l'unico sicuro terminus post quem per l'arrivo in Grecia dell'alfabeto fenicio.
A ben vedere, quindi, «la contestualità materiale della cultura tra VIII e VII secolo a. C., più che suffragare, sembra smentire la tesi di un testo omerico già confezionato e trascritto ad uso dei rapsodi» (135), e sembra invece convalidare l'ipotesi di una trascrizione parziale, magari anche in funzione mnemonica, di singoli versi prima, di brani sempre più lunghi poi (136), avvenuta nel corso di una fase, di durata imprecisabile, che diviene «mista» sia per la composizione sia per la trasmissione, mentre per la pubblicazione continua ad essere «orale – prima esclusivamente e poi comunque in misura prevalente – fino al IV secolo» (137). Non si dimentichi infatti che la produzione e la circolazione del libro maturano soltanto nella seconda metà del V secolo, e non a caso proprio a partire dal secondo quarto dello stesso secolo diventano via via più numerosi, nella poesia e nell'arte, i riferimenti all'uso della nuova tecnica» (138).