da
Eidola
(pp.
166-167)
Il
matrimonio attico si svolge
secondo un ben definito,
accattivante rituale, che
prevede, in due diversi
momenti, tutta una serie di
passaggi (19).
Lo stesso giorno dei proteleia
hiera (20) si compie il
rito di purificazione, cioè
il bagno dei futuri sposi, con
acqua attinta dai fiumi o, ad
Atene, dalla fonte Calliroe.
Il giorno successivo –
quello del gamos
vero e proprio – prevede la
decorazione della
porta con rami d'ulivo
e d'alloro; la preparazione
della sposa sotto la guida
della nympheytria;
l'arrivo degli invitati e
dello sposo seguito dal
testimone; il disvelamento
della fanciulla; il banchetto
offerto dal padre della sposa,
con le donne che restano
separate dagli uomini;
l'offerta dei pani – simbolo
della vita civile – da parte
di un pais
amphithales che,
inghirlandato di piante
spinose e
frutti di quercia –
simbolo della vita selvaggia
– pronuncia la formula
augurale ephugon
kakon, heuron ameinon: ad
esprimere, appunto, lo stretto
rapporto che intercorre tra
civilizzazione e matrimonio.
Altri oggetti simbolici
alludono a quello che sarà il
precipuo ruolo della giovane
moglie: la padella per tostare
l'orzo rituale; il setaccio;
il pestello da mortaio che va
appeso davanti alla camera
nuziale; i cereali e i
relativi strumenti da cucina:
tutto allude al complesso
legame che, complice Demetra,
verrà ad instaurarsi tra
agricoltura, fecondità e vita
sociale. Il banchetto nuziale
si protrae fino all'imbrunire,
quando, cioè, si forma il
corteo notturno dove, in una
cornice assai suggestiva,
molti dei partecipanti
giuocano un ruolo specifico:
la madre della giovane è
portatrice di fiaccola; la
coppia è affiancata, sul
carro, dal parochos;
la processione è guidata da
un proegetes,
mentre parenti e amici
intonano l'imeneo alla luce
delle torce e al suono del
flauto. Giunta alla sua nuova
casa, la sposa viene accolta
dai genitori del marito che le
offrono dolci e frutti – in
particolare una mela cotogna,
perspicuo simbolo della consummatio
matrimonii;
la conducono attorno al
focolare, spargendole sul capo
i tragemata
– datteri, noci, fichi secchi – così da sancire il
definitivo strappo dalla casa
paterna. A chiudere la
cerimonia, il coro di
fanciulle che canta l'hymenaios
(detto poi epithalamios,
a partire dall'età
ellenistica) accompagna i
giovani sposi fino
al thalamos,
ed invoca su di loro la
benedizione delle divinità a
ciò preposte… Vissuto
con particolare commozione –
e preoccupazione – dalla
fanciulla è l'abbandono della
condizione di vergine,
direttamente collegata ad
Artemide, e ciò rende
necessari sacrifici e offerte
preventive alla dea – i proteleia,
appunto: giocattoli, oggetti
personali, ciocche di capelli.
Ad Artemide, del resto, Zeus
ha concesso la facoltà di
"uccidere" le
fanciulle, che
"muoiono" nei
confronti della verginità nel
momento in cui scoprono la
propria sessualità… Per
questo è ad Artemide – e al
suo corteggio di Ninfe – che
devono pagare un tributo sia
le spose prima di accedere al
talamo nuziale, sia le
fanciulle quando escono
dall'adolescenza. Anche Zeus
ed Era, che portano l'epiteto
di Teleios e Teleia –
espressione della compiutezza
riconosciuta dai greci alle
nozze e alla vita familiare
– anch'essi, dunque,
rientrano tra le divinità cui
sono rivolti i sacrifici
preliminari. Infine, i doni
che il marito offre alla
moglie quasi a compensazione
della perduta verginità,
questi doni, dunque,
concludono il complesso rito
nuziale che, per le fanciulle,
segna il definitivo passaggio
dal dominio artemisio al giogo
di Eros…
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