Fabio Lentini
I
canali di Hans
La chiatta scorreva lentamente lungo i canali
illuminati del Dam. Avvolto in un giubbotto di ruvida
pelle, Hans la guidava sicuro come aveva sempre fatto. Il
fragore strepitante del motore rimbombava sulle piccole
case inclinate percuotendole con rintocchi decisi ed
assordanti. Un fumo grigiastro ricopriva le effimere scie
del timone dileguandosi lentamente nell’aria mentre il
sordo fischio di una sirena preannunciava il blocco della
chiusa.
Senza pensare, si era accostato alla riva in attesa che
riaprisse. Quella manovra non aveva segreti e nessuno la
effettuava come lui. Allineate le barre, zigzagava con
sapienza sui comandi poi, con un colpo deciso, abbassava
una leva e, come per incanto, la barca scivolava verso
riva. “Lui Hollander” (“il pigro olandese”) era il
nome che le aveva dato ed in tutta Amsterdam non v’era
persona che non la conoscesse. Nessuno sapeva
destreggiarsi sui canali come era solito fare lui e si
diceva che una notte, cullato dalla suadente mano del
whisky, con le spalle alla prua li avesse percorsi a
ritroso senza mai compromettere la chiglia.
Diversamente dai lupi di mare, era un uomo gioviale e
divertente che detestava la solitudine e il silenzio. Di
bell’aspetto, esercitava un fascino innato che sperperava
con ogni donna restasse al suo fianco. Le amava tutte e
mai nessuna e, a scadenze cadenzate, puntualmente veniva
mollato ed allora lo si vedeva nei pub a tracannare birra
e a lamentarsi.
Chiunque lo incontrasse si guardava bene dal rivelargli
alcunché perché, in men che non si dica, quella voce si
sarebbe diffusa con la rapidità della piena di un fiume.
Non rispettava mai gli appuntamenti, raramente manteneva
la parola e il cicaleccio gli fioriva dalle labbra.
Conosceva le leggi del mare ma non si era mai spinto
oltre i piccoli isolotti che segnavano l’inizio del porto.
Quante volte aveva giurato di farlo, inoltrarsi in mare
aperto, veleggiare verso oceani dove il sole rischiarava i
fondali e le palme lambivano la spiaggia. Ne parlava
sempre di questo viaggio e spesso ne annunciava la
partenza salvo poi rivederlo il giorno dopo avanzare
blandamente sui canali. L’Amstel
era il suo paradiso, bramato e odiato come in ogni
autentica storia di amore. A che serviva spingersi lontano
quando il fiume appagava i suoi voleri? Così la sua
esistenza, priva di alcun slancio, si trascinava nella
vana speranza che le cose sarebbero sempre rimaste
immutate. Amava la vita ma ne rifuggiva le difficoltà e
così, vittima del suo stesso paradosso, in realtà era
morto già da un pezzo.
Forse per questo era sempre sui canali, privi di scogli
e di correnti ingannatrici. Eterno indeciso, tendeva a
rinviare tutto ciò che poteva e tanto meglio se un
ostacolo lo si poteva evitare.
Si guadagnava da vivere trasportando masserizie sui
canali ma lo faceva lo stretto necessario per campare e
per questo non si era mai arricchito. Riteneva il lavoro
la peggiore condanna dell’uomo e lo avrebbe evitato del
tutto se qualcuno avesse provveduto ai suoi bisogni.
Era un gran sognatore e spesso si fermava a meditare.
Osservava i gabbiani e una vena di rimpianto solcava il
suo volto. Perché non era libero e sereno come loro, così
leggiadro da sollevarsi in volo ma così forte da
attraversare il mare? Le amava tanto quelle bianche
creature al punto da sfamarle ogni mattina magari con gli
avanzi di quegli ottimi cibi che sapeva preparare.
Aveva pochi amici e non faceva molto per tenerseli cari
ma, al bisogno, non si negava mai. Sovente pensava alla
vecchiaia e una stretta di inquietudine gli serrava la
gola. La temeva quella bestia crudele ed impietosa al
punto che anelava a una morte improvvisa piuttosto che
vedersi sbeffeggiato da ragazzacci boriosi e senza storia.
Era raro che parlasse sul serio e quando una battuta
gli solcava le labbra la ripeteva costantemente per mesi
così bastavan pochi giorni per essere già stanchi della
sua compagnia.
Quando la chiusa riaprì, Hans non si mosse. Irrequieto,
ripensava a quel dannato referto medico. Malediceva il
mondo imprecando il fato e la sfortuna e continuava a
guardarsi il braccio con aria incredula e smarrita. La
diagnosi, è vero, lasciava aperta la speranza ma quella
porta non riusciva ad aprirla.
- «Non me la bevo! - mormorava fra sé e sé - con la
fortuna che mi ritrovo...!?!». Un’imperiosa voglia di
fuggire gli invigliacchiva i pensieri e non c’era modo di
poterla allontanare.
Con sguardo mesto, riprese a navigare quando la vista
del Magere Brug
lo contagiò di un insperato entusiasmo. Dannazione, non
era ancora finita. Lentamente, una selva di pensieri
cominciò a martellargli la coscienza. Chissà, forse era un
segno, un chiaro rintocco del destino alla sua vita
scialba e senza slanci. Ma certo, era proprio così e il
modo di provarlo era infliggere un taglio al passato.
Con rinato vigore, diede spinta alle leve accelerando
briosamente l’andatura. Cominciava già a gustarla, quella
sua nuova esistenza lontana dai pub e dall’inerzia, la
sentiva scorrere dentro, magari accanto a una donna e a
dei bambini, e di colpo emozioni perdute nel tempo
riaffiorarono dalla palude dell’indifferenza.
D’istinto, distolse lo sguardo dall’acqua e fu invaso
da mille voci. Era la gente che passeggiava sulla riva e
la cosa gli apparve alquanto strana. Come poteva non
averle mai udite? Con aria affranta, ripensò a quante
volte aveva preso senza mai concedere nulla e un inedito
senso di colpa lo raggelò sino al midollo.
- «E’ ora di cambiare!» proruppe, deciso e le luci
dei canali, come soli abbaglianti, illuminarono il suo
cuore e quella pace fu con lui tutta la notte.
Nei giorni a venire, l’olandese si gustò una nuova vita
e subito la voce si diffuse in città. La gente lo guardava
con affetto e, a poco a poco, ebbe chiaro il sentore che
un cambiamento così radicale avrebbe sistemato le cose.
Scorsero così giornate straordinarie e per un po’ di tempo
non lo si vide nei pub.
Quando la prognosi fu sciolta, Hans tirò un sospiro di
sollievo. Raggiante, spinse la chiatta sino ai limiti del
porto fermandosi a guardare i gabbiani. Non riusciva a
credere di averla scampata. Fissava il braccio, come un
amico perduto che improvvisamente ritorna da lontano.
Sentiva ancora il peso dell’angoscia, la tensione
instillata dal dubbio, il faticoso e travagliato riscatto
e lentamente l’eco della vecchia esistenza cominciò a
farsi breccia nella mente.
Quando i primi bocconi raggiunsero l’acqua, i gabbiani
picchiarono prendendo rapidamente a strepitare. Hans li
guardò con la solita punta di invidia. Erano liberi come
il mare ed un nuovo sussulto lo investì di orgoglio. Cosa
c’era di tanto sbagliato? In fondo, la sua vita era solo
un suo problema e, di certo, non faceva nulla di male.
Oppresso dai ricordi, prese a fissare l’orizzonte.
Lontano, gli uccelli marini accompagnavano i pescherecci
che stancamente rientravano dalla nottata. Hans li seguì
alle banchine scorgendo all’improvviso un volto familiare.
- «Allora a domani!».
- «Ehi, Hans – terminò l’altro a gran voce - non è che
mi pianti un’altra volta?».
- «Stai tranquillo!» rispose ben sapendo che non
sarebbe andato.
© Fabio Lentini 2003. Tutti i diritti riservati.
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