L’amore fatale di Tristano e Isotta

...“De fole amor corage n’ont”

…Peccaminoso amore non è nei loro cuori.

Tristan et Iseut, Béroul

 

Duncan, Tristan and Isolde

 

Il romanzo più celebre della letteratura cortese, considerato ancora oggi tra i migliori della letteratura universale,  di matrice celtica (forse nato in Cornovaglia, come suggeriscono i nomi delle località, o basato su un’antica leggenda irlandese in cui Essylt, Isotta,  ama Drystan, Tristano), appartenente al ciclo arturiano, pervenuto in versioni frammentarie che hanno obbligato ad una paziente ricostruzione filologica, una delle storie più belle mai raccontate, quella d’una passione adulterina, destinata, dunque, a concludersi tragicamente, nec sine te nec tecum vivere possum,  il non posso vivere né senza di te né con te, la vittoria dell'amore (tout court su qualsiasi altro vincolo, in questo caso sul vincolo matrimoniale), anche se di un amore che regna senza splendore, è sicuramente la leggenda di Tristano e Isotta.
Non è noto chi per primo abbia dato forma alla materia, ma a noi sono giunte due ampie, seppur frammentarie,  redazioni, di Thomas, detto d’Angleterre, e del normanno Béroul, diverse nei toni e nell’ispirazione (più malinconica ed idealizzata  la prima,  più realistica e vicina alla  tradizione delle chansons de geste la seconda) dalle quali, insieme  ad alcuni componimenti minori in lingua d’oïl ispirati alle vicende dei due amanti infelici ("le Folies di Oxford e di Berna" e il "Lai del caprifoglio" di Maria di Francia),  alle versioni in prosa, francesi e italiane, del XIII secolo, e, soprattutto, dal confronto con le traduzioni e rielaborazioni apparse anche in altri paesi europei (Germania, Inghilterra, Norvegia), è stato possibile ricostruire  interamente il grande mito di amore e morte lasciato dal Medioevo in eredità all’età moderna (A. Roncaglia).

Imitato e rielaborato (alla storia del tragico sentimento ogni autore aggiunse elementi diversi, lasciando, tuttavia,  intatte le sequenze dell’amore adulterino fra Tristano e Isotta e della loro morte, ed esaltando, più o meno, le vicende intimistiche o l’aspetto avventuroso del protagonista e le sue qualità di condottiero, soprattutto nel passaggio dalle versione metriche al romanzo), mantenendosi, comunque, abbastanza fedele al modello originario, arricchito delle più grandi tradizioni spirituali del XII secolo, si diffuse, poi, nel Medioevo in tutta l’Europa, confluendo dalla cultura anglo-normanna a quella inglese, scandinava, tedesca ed italiana, molto affascinando la vicenda di Tristano, che contravviene ai codici dell'amore cavalleresco, ed il dramma, profondamente umano, della passione, pur se causato da  un evento soprannaturale.
Le versioni più famose del romanzo, probabilmente ispirate ad una storia anteriore, sono, appunto, quelle elaborate dopo il 1150 dai poeti anglo-normanni Béroul e Thomas d’ Angleterre.
Béroul, poeta normanno dalla vena popolare, uomo poco colto, forse un giullare, vissuto lontano dalle corti, che scrisse alla fine del XII secolo, ha lasciato una versione, “De Tristan et Iseut” (detta “comune”, di cui restano 4500 versi), che si presume vicina alla leggenda primitiva.
Nell’interpretazione di  Béroul, la vicenda di Tristano, per il suo carattere fatale, si contrappone decisamente  al codice cortese, che imponeva,  come in Lancillotto, che a prevalere fosse la ragione, e ad essere esaltato è soprattutto il desiderio invincibile e tragico di Tristano e Isotta.
Thomas, troviere anglonormanno, romanziere, probabilmente chierico, dunque uomo colto, visse  alla corte di Enrico II Plantageneto ed Eleonora d'Aquitania; dalla sua versione del romanzo, “De Tristan”, di cui restano circa 3000 versi, dei ventimila che dovevano costituire l’intera opera, che pure presenta elementi drammatici e patetici (come la morte di Tristano) tali da poter impressionare anche i meno raffinati,  si evince chiaramente che l’opera era rivolta ad un pubblico dotto.
La sua rielaborazione,  definita "cortese", presenta Tristano come un uomo in conflitto fra il dovere (gli obblighi morali)  e la passione d’amore, e la sua storia termina, come nella maggior parte delle versioni,  con la morte dei due amanti.

Leighton, Tristano e Isotta.

Lo abbraccia e s’abbandona distesa,

gli bacia la bocca ed il viso

e strettamente a sé lo stringe,

corpo a corpo, bocca a bocca, s’abbandona,

il suo spirito allora rende,

e muore così al suo fianco

per il dolore del suo amico.

Tristano è morto per il suo desiderio,

Isotta perché in tempo non poté giungere;

Tristano è morto per suo amore

e la bella Isotta di tenerezza.

(Trad. A. Roncaglia)

 

Pur con le diverse variazioni, la storia ebbe sempre come  nucleo centrale la  vicenda del giovane principe Tristano, nipote del re Marco di Cornovaglia, che, elevato a cavaliere dallo zio, si reca in Irlanda per condurre da lui la sua promessa sposa, la principessa Isotta la Bionda, e della passione, causata dall’aver bevuto per sbaglio un filtro d’amore (è probabile che il particolare del filtro d’amore sia stato aggiunto in seguito dai monaci trascrittori, per sfrondare da elementi pagani la storia),1 che li unirà per sempre in un legame fatale che li condurrà alla morte
Re Marco sposa Isotta, ma un giorno la sorprende insieme a Tristano: senz’esitazione li condanna.
I due amanti si rifugiano nella foresta e qui il re li ritrova, scoprendoli, però, in atteggiamento casto, riposano l’uno accanto all’altro separati dalla spada di Tristano; allora re Marco lascia la sua spada e l'anello nuziale, e si allontana in silenzio.
Al riveglio, compreso ciò che è accaduto, colpiti dalla generosità di re Marco, Tristano e Isotta decidono di separarsi: Isotta ritorna dal suo sposo,  Tristano sposa “Isotta dalle bianche mani”, ma continua a pensare all’amata, facendo ritorno in Cornovaglia, di tanto in tanto, sotto mentite spoglie (mendicante, lebbroso, pazzo) pur di rivederla, anche se per breve tempo.
Un brutto giorno Tristano viene ferito a morte in un combattimento: soltanto Isotta, con le sue conoscenze magiche e mediche,  potrebbe guarirlo!
Viene inviato a cercare il suo aiuto un messaggero, stabilendo con Tristano che se Isotta accetterà di seguirlo sulla nave sarà issata una vela bianca, diversamente la vela sarà nera.
Ingannato dalla moglie, che gli annuncia che la vela è nera, Tristano muore e con lui anche Isotta, di dolore,  quando, giunta troppo tardi, vede senza vita il bel corpo dell'amato.
In questo splendido romanzo si fondono amore e avventura, talvolta il secondo sembra prevalere sul primo, con il racconto delle due spedizioni in Irlanda, l’uccisione del terribile Morholt e del drago, l’incontro con Isotta, ma il tema fondamentale rimane quello della passione fatale fra i due infelici amanti.
Tristano e Isotta, legati dal potere del filtro che hanno bevuto per sbaglio, si amano con dolorosa fedeltà, anche quando sono lontani, e contro la loro stessa coscienza, fino a morirne.
.L’amore qui celebrato è quello invincibile (che supera le convenzioni e le leggi degli uomini, ed oltrepassa persino la morte), fatale (giacché gli amanti per errore bevono insieme il filtro), impossibile (dal momento che Isotta è sposa d’un altro), ed anche illegittimo perché adulterino, proprio per questo maggiormente drammatico e causa di sofferenze e lacerazioni.
In linea con la nuova morale cortese del tempo, che non vedeva coincidenti amore e matrimonio (giacché il matrimonio veniva contratto per ragioni politiche o economiche, mai per amore) il loro sentimento, vissuto fuori dal legame convenuto, regala solo brevi attimi di gioia, per il resto è passione totale, tormento e dolore, per i sensi di colpa che reca, per i rimorsi, e per l’impossibilità di essere vissuto, e irrimediabilmente conduce alla distruzione.
Oltre alle due citate versioni di Bèroul e Thomas, nel XII secolo la prima poetessa francese, Maria di Francia, raccontò la storia dell’infelice amore di Tristano e Isotta.
Maria, che fu donna di grande cultura (conosceva il latino, il francese, l’inglese), è famosa soprattutto per i suoi lais (la parola è di origine bretone e significa, etimologicamente, “canzone“), racconti fiabeschi, novelle in versi, brevi poemi narrativi in ottonari rimati, che i menestrelli bretoni recitavano accompagnandosi con una specie di arpa detta “rote”.
Dei lais ne restano una dozzina, di lunghezza variabile tra i 118 e i 1184 versi; redatti probabilmente prima del 1170, narrano vicende bretoni, spesso collegate al ciclo arturiano: tra questi c’è il tenero e breve  (non arriva a 120 versi) poemetto il “Lai du Chèvrefeuille” (“Il caprifoglio”), che narra un episodio marginale tratto dalla leggenda di Tristano.
Denunciato dai cortigiani invidiosi che hanno svelato il segreto del suo amore, Tristano, bandito dalla corte, è lontano da Isotta, e si strugge di nostalgia. Incapace di sopportare ulteriormente la lontananza dalla donna amata, torna in Cornovaglia, si nasconde nella foresta e riesce a comunicarle ugualmente la sua presenza: taglia un ramo di nocciòlo, vi incide sopra il suo nome e lo lascia nella foresta che Isotta dovrà attraversare per recarsi ad una festa.
Isotta vede il ramo e raggiunge Tristano. Si scambiano lacrime amare e dolci effusioni, ma la realtà ineluttabile s’impone, e sono costretti a separarsi di nuovo, ciascuno deve riprendere il proprio cammino: la Regina verso la corte ed il fasto che non ama, Tristano verso l’esilio.

Filo conduttore del semplice episodio, amabilmente narrato da Maria di Francia, è l’essenza dell’amore che lega Tristano e Isotta, l’infinito struggimento per l’impossibilità di vivere il loro sentimento alla luce del sole.

 

DE LAIS

Chievrefoil

D'euls deus fu il (tut) autresi

cume del chevrefoil esteit

ki a la codre se perneit:

quant il s'i est laciez e pris

e tut entur le fust s'est mis,

ensemble poënt bien durer;

mes ki puis les volt desevrer,

li codres muert hastivement

e li chevrefoil ensement.

 «bele amie, si est de nus:

ne vus sanz mei, ne mei sanz vus! »

 

DA LAIS

Caprifoglio

Avveniva di loro due

come del caprifoglio

che  si avvinghia al nocciòlo:

quando si è attaccato e stretto

e attorcigliato al fusto,

assieme possono durare a lungo,

ma se uno li separa

allora il nocciòlo subito muore

e il caprifoglio lo stesso.

"Mia bell’amica, così è di noi:

né voi senza di me, né io senza di voi".

 

(Trad. G. Angeli)

 

La metafora che sta alla base di questo lai è che i due amanti non possono vivere se non insieme, proprio come il nocciòlo e il caprifoglio; uniti i loro rami, muoiono se separati, di qui, la versione etimologica, oramai attestata, che Maria di Francia illustra: tristram, da "triste ramo".
In Germania la leggenda di Tristano e Isotta, ed insieme il tema della forza prepotente e distruttiva dell’amore (Eros e Thanatos)  arrivò con il minnesänger Gottfried von Strassburg che, intorno al 1210, scrisse  il  poema cavalleresco ”Tristan”, rimasto incompiuto, probabilmente a causa della morte dell’autore.
Fonte dell'opera fu Thomas d’Angleterre, ma mentre in Thomas l'amore tra i due fu sentito come forza fatale, in Gottfried la passione fu idealizzata come disposizione dello spirito verso ciò che di più nobile e di più alto esista nella vita, come scelta spontanea, ed inevitabile, d’un cuore gentile.
I due amanti sono condannati all’infelicità perché il loro amore necessita di una degna cornice, può realizzarsi solo all’interno della corte: concezione dell'amore cortese ed esaltazione dei valori della società feudale sono, dunque, complementari. nel complesso delle inquietudini e dei disagi dell’epoca di  passaggio dall’età medievale alla civiltà umanistico-borghese.

 

E chi ama veramente,

quanto più alla triste fiamma

si consuma nell'ardore,

ama con maggior passione.

Tanto dolce è questa pena,

fa sì bene questo male,

che gentil cuore non cede

poi che in esso vita acquista.

Su di questo non v'è dubbio,

questa pena ben conosco:

nobil cuore innamorato

ama storie pur d'amore

Chi ama le storie d'amore

non si diparta di qui:

che io vi voglio raccontare

di nobili amanti infelici

che all'amore diedero fama:

di un amante e d' una amante,

un uomo una donna, una donna un uomo.

Tristano Isotta, Isotta Tristano.

(Trad. L.Mancinelli)

 

Echi dell’amore fatale fra Tristano e Isotta (in generale hanno larga diffusione opere di volgarizzazione in prosa della materia romanzesca in lingua d’oil, soprattutto della materia bretone e arturiana), si ritrovano in Italia già a partire dal XII secolo, nella scuola poetica siciliana,  come, ad esempio, in “Donna audite”, componimento attribuito al poeta  Messer lo re Giovanni:

…………………………

quella c’amo più ‘n celato

che Tristano non facea

Isotta, como contato,

ancor che li fosse zia.

Lo re Marco era ‘nganato

Perché (‘n) lui si confidia:

ello n’era smisurato

e Tristan se ne godea

de lo bel viso rosato

ch’Isaotta blond’avìa:

ancor che fosse peccato,

altro far non ne potea

c’a la nave li fui dato

onde ciò li dovenia.

(V 24)

 

Ma anche in prosa ritroviamo in Italia la storia di Tristano e Isotta: nella seconda metà del Duecento nel  “Novellino”, una raccolta di cento novelle in volgare italiano, di autore anonimo, che predilige i valori della “cortesia”, compare la “bella novella d’amore”  di Tristano e Isotta, dove è in gioco l’accortezza dei due amanti:


"Amando messer Tristano di Cornovaglia Isotta la bionda, moglie del re Marco, si fecero tra loro un segnale d’amore di cotal guisa: che, quando messere Tristano le volea parlare, si andava ad un giardino del Re dov’era una fontana, ed intorbidava il rigagnolo che facea la fontana. E andava questo rigagnolo per lo palazzo, dove stava la detta  madonna Isotta, e quando ella vedea l’acqua intorbidata, si pensava che messere Tristano era alla fonte…"

(Il Novellino, LXV)


E della fine del XIII secolo è il “Tristano Riccardiano” (così chiamato perché se ne conserva un codice nella Biblioteca Riccardiana di Firenze),  traduzione toscana di un antico “Roman de Tristan” antecedente ai poemi di Thomas e Béroul, in cui appaiono notevoli differenze  con la versione francese: innanzitutto diversa è l’ambientazione, l’autore sembra essersi ispirato alla realtà delle guerre comunali del suo tempo, forse per offrire un carattere più civico e patriottico al romanzo, sono eliminati alcuni episodi ed aggiunti altri, mutano i nomi di alcuni personaggi, mutano anche alcune circostanze, Tristano, più figura ideale che reale,  passa da un’avventura all’altra sullo sfondo di un paesaggio immobile, in un’atmosfera in sospensione, trasognata, quasi fiabesca, e non è in conflitto fra amore e dovere.

Il filtro d’amore

"…e Tristano la beve bene piena la coppa, imperciò che gli facea bene sete; e l'altra coppa si empieo e diedela a madonna Isotta.  Ed ella iscoloe (sgocciolò)  la coppa in terra,   ed allora sì la lecoe una cagnuola (cagnolina)  per la grande sete ch'avea…  Adesso cambioe Tristano lo suo coraggio (cuore, animo)  e non fue più in quello senno ch'egli era da prima, e madonna Isotta sì fece lo somigliante, e cominciano a pensare ed a guardare l'uno l'altro.  Anzi che compiessero  quello giuoco, sì si levarono ed andarosine  (se ne andarono) ambodue disotto in una camera, e quivi incominciano quello giuoco insieme che infino a  loro vita lo giucarono volontieri."

(Tristano riccardiano, ed. Marti, in "Prosa", pp. 589-590).

 

La storia di Tristano e Isotta fu molto amata anche in epoca romantica e postromantica, rifiorendo soprattutto  per l’esaltazione dell’affascinante binomio Eros- Thanatos, e si deve a Wagner, il grande musicista tedesco dell’800, il merito d’aver immortalato anche in musica, facendone il suo capolavoro, il mito di Tristano e Isotta.
Ispirandosi  al poema epico, intriso di desiderio, sensualità, peccato, passione e morte, del XII secolo di Gottfried von Strassburg,  Wagner compose "Tristano e Isotta" fra il 1857 e il 1859, attratto dalla storia dell’amore proibito e del tradimento, che tanto gli ricordavano le sua relazioni adulterine (ma, in generale, sempre amò ispirarsi ai temi delle passioni impossibili e al binomio amore-morte).

Ardito fu da parte del compositore scegliere una storia che scandalizzava la mentalità conservatrice ottocentesca, con gli amanti, l’ adulterio, l’ inganno verso il re Marco, e il fatale epilogo finale, la morte, ma ebbe l’ammirazione incondizionata ed il sostegno del re sognatore (suo amico e finanziatore), Ludwig di Baviera.
Re Ludwig  fin da bambino in si era trovato immerso nelle leggende della Germania medievale, nelle storie narrategli dalla madre e dai precettori, e da adulto, poi,  nella camera da letto del suo castello da favola di Neuschwanstein aveva voluto scolpito nel legno un affresco  riproducente in toni romantici la vicenda amorosa di Tristano e Isotta:  in Wagner vedeva, ora, colui che faceva rivivere per lui il mondo fantastico della sua infanzia, favorendo la sua fuga dal secolo e dall’ambiente che detestava.

“…Il giorno felice è sempre più vicino- Tristano nascerà!...Oh, Tristano, Tristano verrà a me. Si realizzeranno i sogni della mia fanciullezza e della mia gioventù…”2

Ludwig!

“Tristan und Isolde”, la geniale interpretazione che Wagner diede dell'antica leggenda medievale fiorita intorno al nipote di re Marco di Cornovaglia e ad Isotta la Bionda, ebbe il battesimo della ribalta il 10 giugno 1865.
Il compositore Paul Dukas espresse sull'opera questo parere:


"Se dovessimo, fra le opere di Richard Wagner, indicare la più rappresentativa  della sua arte, la più conforme alle sue teorie, e, nello stesso tempo, quella che meglio esprime la sua personalità di poeta e di musicista, senza esitare indicheremmo il Tristano e Isotta. E', in verità, un'opera unica non soltanto fra le creazioni di Wagner, ma nel teatro universale. "


Opera di altissima poesia, questo romanzo, patrimonio della cultura celtica, che ha trasceso i limiti temporali e spaziali, per arrivare, con intatto fascino, fino ai giorni nostri, ebbe notevole sviluppo  anche nelle arti figurative, nella pittura monumentale e nei piccoli avori, soprattutto tra il XIV e il XV secolo, ma anche nell’Ottocento e nel Novecento.
Si colloca fra il 1330 e il 1360 l’ago discriminatorio in avorio, oggetto per tracciare la scriminatura dei capelli, decorato con soggetti sacri o profani,  molto diffuso nell’antichità,  conservato al Museo Civico d’Arte Antica di Torino, che propone l’incontro (frequentemente illustrato) di Tristano e Isotta presso una fonte sotto a un pino. Sono qui rappresentati Isotta con un cagnolino fra le braccia e Tristano che solleva la mano destra, come in atto di parlare; alla base ci sono un tronco che allude all’albero, ed una fonte, su cui è scolpito il volto di re Marco.
Nell’Ottocento ritroviamo le opere soprattutto dei preraffaelliti, di Rossetti, Burne- Jones, Leighton, Watherhouse, che rappresentano i vari momenti della vicenda d’amore.
Ed è  del 1944 lo straordinario dipinto di Salvador Dalì, “Tristano e Isotta”, preparato per un balletto da lui ideato e realizzato con coreografie di Léonide Massine e musiche di Wagner; nell’interpretazione del geniale artista del tragico amour fou resta solo la carica di pathos fra i due amanti, rappresentati in maniera astratta.

Francesca Santucci

Note

1) La materia irlandese non ottenne una forma scritta fino al VII secolo della nostra era; quella britannica dovette aspettare probabilmente almeno tre secoli ancora. In entrambi i casi ciò avvenne dopo la conversione ed è probabile che i trascrittori siano stati dei monaci che, guardando questo materiale clamorosamente pagano con occhi cristiani, operavano delle censure dove lo ritenessero necessario. Un probabile esempio di quanto s’è detto è costituito dalla storia di Tristano e Isotta: Il fatto che un uomo e una donna viaggiando insieme, diventassero amanti, sarebbe apparso del tutto normale ai Celti. Per un cristiano la cosa era scioccante e così fu aggiunto il particolare del filtro d’amore, che essi bevvero accidentalmente e che li portò ad innamorarsi l’uno dell’altra, salvando in tal modo la moralità (pag 39, Ward Rutherford, Tradizioni celtiche, , 1996, Neri Pozza Editore).

2) Lettera del 10 maggio 1865 a Wagner, in G. King, Ludwig, Mondadori, Milano, 1998.

 

Riferimenti bibliografi

Saulnier, Storia della Letteratura francese, Einaudi, Milano, 1991.

E. Balmas- M. Richter- G- Giorni, Antologia della letteratura francese, vol.I Fabbri editori, Milano, 1969.

La Biblioteca di Repubblica, Poesia straniera, francese, Firenze,  2004.

La Biblioteca di Repubblica, Poesia straniera, tedesca, Firenze,  2004.

Corriere della sera, La letteratura italiana, vol. I, Milano, 2005.

Ward Rutherford, Tradizioni celtiche, Neri Pozza Editore, Milano, 1996.

Il novellino, BUR, Milano, 1992.

G. King, Ludwig, Mondadori, Milano, 1998.