Solamente il silenzio
oltre il gelo dei mondi
oltre il solitario passo dei
vecchi
oltre il sonno dimenticato dei
morti
solo il silenzio vive.
Scrivere vuol dire scrivere di sé, in modo più o meno
dichiarato…scrivere per me è stato anche il tramite per entrare nelle vite
degli altri, così affermava Lalla Romano, importante scrittrice e
pittrice piemontese del ‘900, schiva e riservata, lontana dai clamori del
mondo intellettuale ufficiale eppure molto popolare.
Attenta al quotidiano, sempre relazionato all’universale, al
"privato", allo studio degli esseri umani e al tessuto dei loro
rapporti ed affetti familiari e quotidiani in sensibilità squisitamente
femminile, ma priva di sentimentalismo e vittimismo, ha attraversato per intero
il Novecento, con le sue ombre e con le sue luci, con silenzi lunghissimi e con
attività febbrile, come scrittrice di versi, racconti, saggi, recensioni,
dedicandovisi, ormai praticamente cieca, fino alla morte, avvenuta a 95 anni, il
26 giugno del 2001, nella sua amata casa milanese di via Brera.
Graziella, nome scelto dal padre dalla novella di Lamartine, in omaggio a
Napoli (detta Lalla) Romano nacque a Demonte, in provincia di Cuneo, l’11
novembre del 1906; laureata a pieni voti all’Università di Torino in
Letteratura romanza, con una tesi sui poeti del "dolce stil novo ",
inizialmente fu bibliotecaria a Cuneo e poi insegnante, prima a Torino e poi a
Milano, coltivando parallelamente la sua passione per la poesia e la pittura, e
mantenendo sempre intatto il suo legame con il Piemonte e la piemontesità.
Tra il 1925 e il 1928 frequentò lo studio del pittore Giovanni Guarlotti,
compì numerosi viaggi a Parigi, conobbe i nuovi fermenti artistici ed entrò in
contatto con Cesare Pavese (con cui era stata anche compagna d’Università e
per il quale, durante la guerra, tradusse i "Trois contes" di Flaubert), Mario
Soldati, Franco Antonicelli, Arnaldo Momigliano, e Carlo Dionisotti.
Iscritta al Partito d’Azione, prese parte attiva alla Resistenza,
esperienza i cui echi confluirono in molte sue opere.
Poetessa, narratrice, traduttrice, pittrice e critica d’arte, anche
appassionata di fotografia, si segnalò in campo letterario con raccolte di
poesie come "Fiore", "L’autunno", "Giovane è il tempo", e con racconti come
"Maria",
"Tetto Murato", "L’uomo che parlava solo", "La penombra che abbiamo attraversato",
"Le parole tra noi leggere", alcuni dei quali ebbero il riconoscimento di un
premio letterario come il Premio Veillon, il Premio Cesare Pavese e il Premio
Strega. Scrisse anche prose liriche come "Le metamorfosi", opere in prosa come
"Una
giovinezza inventata", "Inseparabile", "Un sogno del Nord", un poemetto
autobiografico nel ’91, "Le lune di Hvar " e, suoi più recenti lavori, "Un caso di
coscienza", del ’92, e "Ho sognato l’ospedale", del ’95.
I miei libri sono basati parecchio sulla memoria, ma penso si
debba distinguere tra due tipi di memorie: la memoria nel senso grande, che è
ricchezza per l’umanità, e i ricordi personali, che hanno una loro dignità
ma non sono niente, sono aneddoti, pettegolezzi…Adesso proliferano libri di
memorie che raccontano fatterelli, ma questo non ha niente a che fare con la
vera memoria.
Secondo la personale definizione dell’autrice il suo procedimento
letterario, sostenuto da uno stile originale, con una scrittura semplice,
evocativa e raffinata, si basò sulla memoria, memoria personale intima, ma mai
provinciale, sullo sfondo di una vicenda storica colta in lucidità
intellettuale e con il calore tipicamente femminile.
La prima opera narrativa di Lalla Romano, che sancì il suo passaggio
dalla poesia alla prosa, fu " Le metamorfosi", pubblicata nel 1951; precorritrice
della tematica del sogno, in atmosfere surrealiste e simboliste, tra sogno, mito
e favola, ma con radici profonde nella letteratura classica e medievale, con
questo lavoro l’autrice intese rendere materiale letterario le vicende
oniriche. Divisa in cinque parti, racconta i sogni di cinque personaggi legati
fra loro da legami di parentela, vicini all’autrice, ma innominati e, dunque,
di non facile riconoscimento.
Furono, però, "Maria" e "Tetto murato", rispettivamente del ’53 e del
’57, le opere che costituirono i veri e propri inizi della sua narrativa; il
primo, già in clima di Neorealismo, momento d’incontro fra mondo borghese e
mondo contadino, anche testimonianza della civiltà contadina in via di
estinzione, contrassegnato dal senso del Tempo e della Storia, poco considerato
dalla critica, narra la storia vera di un’umile donna, alter –ego
dell’autrice, realmente conosciuta, una contadina che, pur abbandonando la
terra per andare a servizio presso una famiglia, non dimentica mai le sue leggi
di onore e dedizione.
Il secondo, di spirito pavesiano, delinea quella che in futuro sarà una
tematica costante nella narrativa di Lalla Romano: l’indagine nella memoria.
La storia si svolge in una località di campagna del cuneese, in un
casale, il tetto murato, dove durante l’occupazione tedesca si rifugiano due
coppie di sfollati: Paolo, gravemente malato d’asma, e sua moglie Ada, e
Stefano, spesso assente per lavoro, e la moglie Giulia.
La malattia di Paolo e le premure della moglie, spingeranno Giulia,
nonostante l’anormalità della situazione, gli squilibri, le privazioni e le
difficoltà, a legare con la coppia in un’intensa affinità spirituale creando
una seconda vita simile a quella principale alla quale, però, alla fine della
guerra, i quattro personaggi ritorneranno.
"Le parole tra noi leggere", che ottenne un grande successo nel 1969 e
conseguì il premio Strega, è l’indagine del proprio rapporto di madre con il
figlio dal punto di vista materno. Il racconto si snoda in modo casuale, tra
ricordi che affiorano, appunti, annotazioni, foto, disegni, materiale autentico,
che servono a delineare, tra somiglianze e divergenze, la biografia del figlio,
la sua crescita ed anche il progressivo allontanamento dalla madre che arriva,
infine, a riconoscerne l’estraneità.
Il capolavoro di Lalla Romano è considerato "Una giovinezza inventata", del
1979, ricostruzione in stile essenziale, esente da compiacimento sentimentale,
della personale giovinezza dell’autrice vissuta negli anni Venti, divisa fra
gli studi, l’esistenza borghese, l’amore e i disagi della condizione
femminile del tempo. La ricostruzione dell’educazione culturale ed affettiva
non avviene in chiave nostalgica di recherche del tempo perduto e la memoria del
passato non è caricata di aura poetica, bensì vissuta come presente e guardata
dall’unico possibile punto di vista, quello senile.
Lalla Romano si dedicò soprattutto alla narrativa, ma i suoi esordi sono
legati ai componimenti poetici, cominciati a scrivere quando ancora pensava di
dedicarsi esclusivamente alla pittura, molti dei quali rivisti nella maturità,
in consapevolezza del distacco dalle emozioni che li produssero e rielaborati in
mutato sentimento, da personale e universale; a poche settimane dalla sua morte,
piace qui ricordarla con dei suoi versi inediti:
SILENZI
D’estate, nel silenzio dei
meriggi,
sopra la terra esausta ed
assopita,
incombe il peso d’una enorme
assenza.
Ma dai grandi silenzi
dell’inverno,
sopra la terra rispogliata e
nuda,
infinita certezza si disserta.
Tutto perdemmo: fu sprecato il
tempo
Sì breve del fiorire, ma ora
il cielo,
non più velato dalle foglie,
immenso,
di luce inonda gli orizzonti,
e nulla
fuorché il cielo è vivente
sulla terra,
una più vera vita è in
questa morte.
(Inedito di Lalla Romano, 1930)
Francesca Santucci
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